Mito, simbolo e rito sono le costanti del sacro e dall’alba dell’umanità accompagnano i gruppi umani e i popoli innervando le loro culture. Con la sedentarizzazione, dopo centinaia di migliaia d’anni di storia dell’uomo, nascono le divinità e gli dei. Nel lungo percorso culturale dell’umanità, alle costanti del sacro si accompagnano credenze e concettualizzazioni sino al formarsi di quelle che noi oggi chiamiamo «le grandi religioni» (induismo, buddhismo, taoismo, scintoismo, ebraismo, cristianesimo, islam...). Se al fondo di ogni religione c’è la comunanza dell’homo religiosus, si sviluppano anche rilevantissime diversità (politeismo, monoteismi, dualismo, panteismi, ateismi...). La creatività religiosa dell’uomo ha sviluppato così credenze complesse, sistemi di riferimento per la vita di intere popolazioni che di volta in volta hanno subito crisi e sono stati riformati.
Per motivi di spazio e maneggevolezza questo secondo volume del Dizionario degli dei è stato separato dal primo che raccoglie Mediterraneo, Eurasia ed Estremo Oriente. In questo caso abbiamo ritenuto di mantenere distinte le tre regioni interessate: Africa, Americhe e Oceania. L’indice finale delle voci è unitario e permette una ricerca immediata indicando la parte e la pagina; abbiamo inoltre aggiunto l’indice del primo volume perché chi cercasse una data fi gura potesse individuare dove si trova.
A differenza dei legami spazio-temporali che caratterizzano il rapporto tra le macro-aree del primo volume, questo concerne continenti la cui separazione fra loro sul piano spazio-tempo è quasi assoluta, sino alla colonizzazione europea. Evento che, come nota l’antropologo delle religioni Julien Ries, non ostante le distruzioni operate sul piano demografi co e culturale, non ha potuto cancellare l’esistenza in queste aree di «luoghi di conservazione della creatività religiosa originale dell’uomo, che provocano la realtà odierna a non perdere il contatto con il simbolo che troppo spesso i fedeli delle grandi religioni vivono formalmente e sono indotti a sovvertire in fondamentalismi». Abbiamo infine premesso ad ognuna delle tre parti di questo volume brevi testi di Julien Ries e Lawrence E. Sullivan, autori dell’Enciclopedia delle religioni diretta da Mircea Eliade. Tali testi ci danno modo di affrontare il Dizionario degli dei come testimonianza di fi gure che incidono sulla realtà culturale del presente e non sono riducibili a una pura ricostruzione antropologica e archeologica o museografica.
Il ruolo svolto dal Mediterraneo nel processo di costruzione, diffusione e incontro tra le diverse culture ha arricchito la storia dell’umanità. Quella diversità che oggi sembra tanto temuta è stata una linfa vitale, basti pensare alla deferenza dei Greci nei confronti della religione egizia. Bacino di conoscenza e centro di gravità di un mondo complesso e articolato, il Mediterraneo è stata la culla delle religioni del Libro, e ancor prima delle divinità egizie e mesopotamiche, dei culti fenici ed etruschi, quindi del pantheon greco e latino. Per la realizzazione di questo volume Julien Ries si è avvalso dell’apporto di eminenti studiosi, invitati non tanto a proporre una sintesi dottrinale delle varie religioni, quanto ad accogliere lo specifico approccio epistemologico dell’Antropologia del Sacro: porre in evidenza l’homo religiosus, ossia l’uomo che innerva le religioni e che produce etiche, visioni del mondo, pratiche culturali e cultuali.
Quando nascono gli dei? Nel Vicino Oriente l’Homo sapiens sapiens ha compiuto un notevole e subitaneo progresso, assicurando il passaggio decisivo verso l’umanità moderna. Tale avvenimento si articola in tre livelli: sedentarizzazione, cultura, religiosità. La sedentarizzazione è un processo progressivo di stanziamento sul suolo in agglomerati di abitazioni, costruite da comunità umane che vivono delle risorse di un ambiente naturale favorevole, dando origine così al villaggio agricolo, base della futura civiltà urbana. I primi villaggi natufiani del IX millennio a.C. ne sono un esempio, sebbene non conoscessero ancora l’agricoltura. A partire dall’8000 a.C. l’umidificazione del clima rende le steppe circostanti molto ricche di graminacee e favorisce la proliferazione naturale di cereali selvatici. L’agricoltura non doveva perciò rispondere direttamente a una necessità alimentare, ma all’interno della società preneolitica, in continua espansione a causa dell’aumento della popolazione, si poneva ormai un problema di equilibrio. La comparsa dell’agricoltura sembra essere la soluzione a tale problema, perché i campi coltivati costituiscono un luogo di lavoro collettivo e simultaneo. È alla fine del Natufiano, all’antivigilia dell’invenzione dell’agricoltura, che assistiamo alla «nascita degli dei». Intorno all’8000 a.C., nella regione dell’Eufrate, figure antropomorfe femminili affiancano sempre più spesso le espressioni artistiche che raffigurano principalmente forme animali proprie del Paleolitico recente. Dopo averne compiuto uno studio sistematico, Cauvin non esita a scrivere che all’inizio dell’VIII millennio, in un ambiente paesano sedentarizzato ma che ancora non conosce l’agricoltura, vediamo ritrarre la figura che sarà la «Grande Dea orientale». La sua comparsa non simboleggia perciò un’idea di fecondità agricola – che si preciserà più tardi – ma un nuovo senso del divino. Intorno al 7000 a.C. una seconda figura umana maschile accompagna talvolta la dea, ma occorrerà attendere fino al vi millennio per trovare questo dio nel pantheon neolitico. Comincia così la straordinaria avventura nel sacro che questo libro ci invita a percorrere attraverso sentieri spesso poco conosciuti ma in cui riusciamo, malgrado le differenze, a riconoscerci.
Il volume raccoglie i contributi relativi all'ottavo Seminario internazionale organizzato nel novembre 2017 dall'Archivio «Julien Ries» per l'antropologia simbolica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, dedicato al tema Religione e Potere. L'opportunità che diviene tentazione. La religione può essere definita come un sistema di pratiche identificabili con narrazioni e celebrazioni, cioè miti e riti. In quanto sistema, essa si configura necessariamente come prescrittiva: la sua normatività dovrebbe essere al servizio dell'uomo, favorendolo nel coltivare la dimensione del rapporto con Dio. È accaduto e accade, tuttavia, che l'aspetto prescrittivo tenda a prendere il sopravvento, con l'esito di trasformare la religione, che è al servizio di Dío e degli uomini, in uno strumento che sí serve di Dio per dominare gli uomini.
Tutta l’esperienza religiosa nasce dal tentativo dell’uomo di inserirsi nel reale, nel sacro, per mezzo di atti fisiologici fondamentali, da lui trasformati in cerimonie e riti. Scrive Eliade: “Siccome il rito consiste sempre nella ripetizione di un gesto archetipico, compiuto in illo tempore (ai primordi della “storia”) dagli antenati o dagli dèi, si tenta di “onticizzare”, per mezzo della ierofania, gli atti più banali e insignificanti. Il rito coincide, per la ripetizione, col suo “archetipo”, il tempo profano è abolito. Trasformando tutti gli atti fisiologici in cerimonie, l’uomo arcaico si sforza di “passare oltre”, di proiettarsi oltre il tempo (del divenire), nell’eternità”. “Attraverso i simboli il mondo si rivela e tramite il mito e il rito “il mondo ‘parla’ all’uomo”.
"Non so se il termine «pluriversalismo» compaia nei testi pubblicati da Raimon Panikkar. Io non ve l'ho trovato né ritrovato. Per contro, l'idea vi è ben presente, nell'ambito dell'analisi dell'irriducibile diversità culturale e dell'impostura rappresentata dall'universalismo occidentale. E compare in modo ancor più esplicito in espressioni attestate quali «pluriprospettivismo». Ricordo perfettamente di aver ascoltato il nostro amico denunciare quello che oggi verrebbe definito «il pensiero unico» dell'universum (un unico verso, rivolto verso l'uno) e pronunciarsi a favore di un «pluriversum», un mondo plurale nonché pluralista. «Ci si domanderà», scrive, «se ciò che occorre sia l'universitas o non, piuttosto, una pluriversitas». Fatto sta che nella maggior parte dei casi egli si accontenta di utilizzare il termine più ambiguo «pluralismo». Non si tratta tuttavia, come precisa talvolta egli stesso, di quell'innegabile pluralità de facto che caratterizza le società contemporanee, bensì di un pluralismo de iure che tanto fatica a imporsi. Con il «pluriversalismo» si tratta proprio di promuovere una «democrazia delle culture», per riprendere un'altra delle sue espressioni." (Serge Latouche)
Testimonianza conclusiva di una vita interamente dedicata alla ricerca scientifica e alla scrittura letteraria, il "Diario 1970-1985" di Mircea Eliade si presenta quale documento poliedrico di una feconda e appassionata apertura all'universo umano e alla sua storia. Note e riflessioni critiche, riletture ad appunti di viaggio ma soprattutto incontri e conversazioni e, al centro, una «geografia spirituale»: Parigi (la città dell'esilio); Bucarest e la terra romena (sempre dolorosamente presenti nella consapevolezza dell'impossibilità del ritorno); Chicago (il luogo dell'affermazione professionale) e l'Italia (direttamente scoperta nella prima giovinezza e sempre rivisitata, frequentata o sognata). «La vita come iniziazione labirintica», cifra dell'esistenza e personale religiosità, è il tema costante del Diario.
In questo libro traspaiono la pregnanza e la centralità del ricco patrimonio mitico, simbolico e religioso delle culture popolari dell'Europa balcanica (e in particolare di quella romena, quale «ponte» tra Oriente e Occidente), frutto dell'attività di ricerca e di docenza di Eliade in Romania prima dell'esilio. Tra i modelli simbolici trasmessi dalla spiritualità arcaica al Cristianesimo, e da questo assimilati e trasfigurati, viene qui illustrato il tema iniziatico del sacrificio creatore nei suoi molteplici rapporti e connessioni con i miti cosmogonici e antropogonici e con le leggende popolari relative ai rituali di costruzione, alle piante della vita, alla valorizzazione della morte, alla reintegrazione armoniosa nel Cosmo.
"I dizionari delle religioni esistenti sono abbastanza numerosi, compilazioni di un solo autore oppure opere collettive. Ma non c'è bisogno di dire che scrivere un dizionario delle religioni che sia, a un tempo, corretto (dal punto di vista scientifico) e accessibile è un'impresa insensata, a meno che l'autore o gli autori non dispongano di un filtro che consenta loro di gettare una luce originale sul sistema delle religioni. Mircea Eliade aveva senza dubbio un suo filtro ermeneutico, non meno che un'incomparabile esperienza nello studio delle religioni. Inoltre era dotato di una curiosità rara quanto la sua duttilità metodologica. Infatti, alla fine della sua carriera, egli invidiava la libertà e la creatività di cui godevano gli scienziati rispetto agli storici e agli altri studiosi universitari nel settore delle scienze umane, le cui inibizioni egli attribuiva a un grande complesso di inferiorità. Negli articoli più complessi di questo dizionario si sottolineerà il carattere sistemico della religione; questa concezione, benché espressa in maniera diversa, è presente in Mircea Eliade sin dai suoi primi libri. (...) Fedele a un ideale che egli aveva più volte enunciato, ho cercato continuamente di ampliare l'orizzonte delle mie conoscenze di storia delle religioni fino a integrare la bibliografia essenziale di tutte le religioni conosciute. Senza tutti gli articoli che dal 1974 Eliade pubblicò su 'Aevum, Revue de l'histoire des religions, History of Religions, Studi e materiali di Storia delle religioni, Journal for the Study of Judaism, Journal of Religion, Church History' e altri, mi sarebbe stato impossibile portare a termine felicemente questo progetto di dizionario delle religioni. A partire dal 23 marzo 1986 e fino alla sua morte, avvenuta il 22 aprile, ho visto Mircea Eliade tutti i giorni. Fino al 13 aprile le nostre discussioni di lavoro ebbero in generale come oggetto questo dizionario. [...] Mircea Eliade non è più fra noi per darci l'approvazione finale a questo lavoro. Tuttavia, poiché desiderava che questo progetto venisse realizzato a ogni costo, non ho voluto abbandonarlo. (...) Chiunque lo abbia conosciuto si ricorderà la straordinaria generosità di un uomo, la cui sola ambizione professionale era quella di far progredire la disciplina della storia delle religioni. Sono convinto che egli avrebbe accettato con entusiasmo tutto ciò che questo dizionario comporta di nuovo, in termini di metodo, ma sento di dovermene anche assumere la piena responsabilità, per quanto riguarda il contenuto e la forma." (Ioan P. Couliano)
Questo libro riporta fedelmente la trascrizione di un corso inedito che Panikkar tenne alla Pontificia Università Lateranense di Roma durante l'anno accademico 1962-1963. In esso vengono messe a confronto la cultura occidentale e quella orientale, il cristianesimo e l'induismo, in un momento cruciale della loro storia, quando entrambe entrano in una crisi che, come scrive Panikkar, «potrebbe anche apparire senza via d'uscita», nell'ipotesi che ciascuna possa trovare nell'altra gli elementi vitali attraverso cui rinnovarsi. In modo emblematico le figure scelte da Panikkar come simboli delle due culture, Kierkegaard e Sànkara, non soltanto incarnano il prototipo delle mentalità e delle psicologie occidentali e orientali - ognuna con le sue inclinazioni, la sua ricchezza e i suoi limiti -, ma entrambe condividono il fatto di vivere in tempi di decadenza religiosa e, proprio per questo, di anelare alla verità assoluta. Completano la pubblicazione una selezione di schemi e grafici riassuntivi redatti da Panikkar stesso come canovaccio delle lezioni.
L'uomo fu sin dalla preistoria un creatore di simboli, i quali costituiscono un ponte rispetto alle proprie origini, al cosmo e al destino. Le voci di questo Dizionario, selezionate dall'amplissimo repertorio in 17 volumi dell'Enciclopedia delle Religioni diretta da Mircea Eliade in collaborazione con Ioan P. Couliano e curate da massimi esperti internazionali, sottolineano l'emergere e il persistere di tale creatività, non solo in solenni circostanze, ma soprattutto nelle osservazioni, nei gesti e negli oggetti quotidiani. Per secoli i simboli sono stati vissuti come portatori di un significato capace di sfondare gli orizzonti del limite umano per proiettarsi in una presenza che si poneva come «altra». Si scopre così che anche gli oggetti più usuali - una chiave, un tessuto, uno specchio, un gioiello - o i gesti più comuni come mangiare, dormire, offrire un dono, giocare, non sono aspetti scontati della nostra vita: nella storia dell'umanità, infatti, sono stati caricati di un senso che noi possiamo aver scordato, ma che attesta come la ricerca di un significato sia impressa nelle profondità del desiderio umano. Le grandi articolazioni di questa ricerca sono tratteggiate nel saggio dello storico delle religioni Jacques Vidal che introduce la nuova edizione.