Motori di ricerca, smartphone, applicazioni, social network: le recenti tecnologie digitali sono entrate prepotentemente nella nostra vita quotidiana. Ma non solo come strumenti esterni, da usare per semplificare la comunicazione e il rapporto con il mondo: esse piuttosto disegnano uno spazio antropologico nuovo che sta cambiando il nostro modo di pensare, di conoscere la realtà e di intrattenere le relazioni umane. A questo punto, la domanda che Antonio Spadaro si pone e ci pone è: la rivoluzione digitale tocca in qualche modo la fede? Non si deve forse cominciare a riflettere su come il cristianesimo deve pensarsi e dirsi in questo nuovo paesaggio umano? Forse, egli risponde, è giunto il momento di considerare la possibilità di una ‘cyberteologia’, intesa come intelligenza della fede (intellectus fidei) al tempo della rete. Non si tratta però, semplicemente, di cercare nella rete nuovi strumenti per l’evangelizzazione o di intraprendere una riflessione sociologica sulla religiosità in internet. Si tratta piuttosto – e qui sta la pionieristica novità di Spadaro – di trovare i punti di contatto e di feconda interazione tra la rete e il pensiero cristiano. La logica della rete, con le sue potenti metafore, offre spunti inediti alla nostra capacità di parlare di comunione, di dono, di trascendenza. E, dal canto suo, il pensiero teologico può aiutare l’uomo in rete a trovare nuovi sentieri nel suo cammino verso Dio. È un territorio ancora inesplorato, nel quale Spadaro entra con indiscusso background teologico e grande competenza tecnica, ma soprattutto con spirito di fiducia nella capacità del cristianesimo e della Chiesa di essere presenti là dove l’uomo sviluppa la sua capacità di conoscenza e relazione. La rete è un contesto in cui la fede è chiamata a esprimersi non per una mera ‘volontà di presenza’, ma per una connaturalità del cristianesimo con la vita degli uomini. La sfida, dunque, non è come ‘usare’ bene la rete, ma come ‘vivere’ bene al tempo della rete.
Antonio Spadaro, gesuita, è direttore della rivista «La Civiltà Cattolica» e docente presso la Pontificia Università Gregoriana, dove ha conseguito il dottorato in Teologia. È Consultore del Pontificio Consiglio della Cultura e del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Autore di molti volumi sulla cultura contemporanea, ha già dedicato a internet i saggi: Connessioni. Nuove forme della cultura al tempo di Internet (2006) e Web 2.0. Reti di relazione (2010). Con Vita e Pensiero ha pubblicato Svolta di respiro. Spiritualità della vita contemporanea (2010). Molto attivo in rete, nel 1998 ha fondato uno dei primi siti italiani di scritture creative, Bombacarta.it. Dal gennaio 2011 è autore del blog Cyberteologia.it (premio WeCa 2012).
L'appello di Benedetto XVI a "una nuova e ap-profondita riflessione sul senso dell'economia e dei suoi fini" e a "una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo" (Caritas in ventate, 32) è stato raccolto da un gruppo di studiosi, in gran parte economisti, che da alcuni anni collaborano con il Centro di Ateneo per la dottrina sociale della Chiesa dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Il presente volume - frutto del comune lavoro di ricerca, avviato all'indomani della pubblicazione dell'enciclica - si presenta come un tentativo di ripensare lo sviluppo, misurandosi con alcune delle sfide più rilevanti che il fenomeno della globalizzazione comporta e provando a indicare prospettive di soluzione per alcuni dei problemi più pressanti che assillano il nostro mondo in questo tempo di crisi. Facendo leva sulle rispettive competenze disciplinari, e insieme collocandosi nel comune orizzonte dello sviluppo umano integrale - tematizzato da Benedetto XVI sulla scia della "Populorum progressio" di Paolo VI -, i contributi qui raccolti si interrogano su questioni come i possibili effetti della più recente ondata di globalizzazione, l'insicurezza alimentare e la sostenibilità in agricoltura, le problematiche ambientali dell'energia e del clima, la crisi demografica e le sue ricadute su famiglie, anziani e immigrati, i limiti del paradigma economicistico e l'eticità intrinseca all'agire economico, i possibili percorsi di avvicinamento e di "contaminazione" tra profit e non profit...
Dall’autunno del 2007 «L’Osservatore Romano» ha intrapreso un rinnovamento radicale, divenendo una presenza più netta e interessante nel panorama giornalistico e culturale, italiano e non solo. Soprattutto, seguendo il desiderio del suo editore, il Papa, ha ampliato il suo respiro con una larga apertura alle questioni internazionali, che segue con logiche diverse da quelle degli altri media, spesso grazie a fonti privilegiate o addirittura uniche.
Nel centocinquantesimo anniversario del giornale (che uscì per la prima volta con la data del 1° luglio 1861), si raccolgono qui, in ordine cronologico e con le titolazioni originali, cento editoriali pubblicati in questi ultimi quattro anni, scelti sia perché costituiscono uno specchio del giornale nel commentare l’attività della Santa Sede e del Papa, sia perché rivelano un nuovo modo di affrontare i problemi che la Chiesa ha incontrato, dalla discussione sul fine-vita al rapporto tra scienza e interessi economici, dall’irruzione di Internet nella vita quotidiana fino allo scandalo della pedofilia.
La complessità e la ricchezza con cui la Chiesa cattolica vive la sua presenza culturale nel mondo risaltano anche nelle firme degli editoriali, tra cui compaiono molti non cattolici – cristiani di altre confessioni, esponenti dell’ebraismo e dell’islam, intellettuali laici – a testimonianza di un confronto chiaro e pacato con le questioni della contemporaneità e secondo una linea di fedeltà alla tradizione cattolica, senza rinunciare alla vivacità di un dibattito culturale aperto.
«Poco dopo il centenario del quotidiano, fu Montini – nel 1963 divenuto Papa con il nome di Paolo VI – ad avviarne un primo rinnovamento, in qualche modo invocato da un celebre romanzo d’ambiente vaticano di Morris West. Proprio in quell’anno apparve infatti The Shoes of the Fisherman (in italiano Nei panni di Pietro), che un quindicennio prima dell’inizio del pontificato di Giovanni Paolo II racconta la storia dell’elezione di un Papa slavo, Kiril I: “Appena possibile bisogna che io mi occupi dell’Osservatore: se la mia voce dev’essere udita nel mondo, è bene che gli giunga nei suoi toni autentici”, scrive in un memoriale il nuovo pontefice, appena liberato dalla prigionia sovietica ed evidentemente non tanto soddisfatto del suo quotidiano, sul quale dimostra però di avere idee piuttosto chiare. E se sul giornale il romanzo non aggiunge altro, nel mezzo secolo trascorso da quella efficace annotazione “L’Osservatore Romano”, che resta difficilissimo e singolarissimo, si è forse avvicinato al desiderio di quel Papa, immaginario ma non troppo».
(dall’Introduzione di Giovanni Maria Vian)
Il tema della sostenibilità economica degli enti ecclesiastici (diocesi, parrocchie e istituti religiosi) è centrale per il perseguimento della missione degli enti della Chiesa nel tempo a favore della società (non solo in Italia). Questo aspetto, che diventerà ancora più critico nei prossimi anni, porta a considerare sotto una nuova prospettiva i temi dell'amministrazione e dei bilanci, ma anche, più in generale, il modo di agire di queste organizzazioni, tanto che esse dovranno passare sempre più dall'amministrazione a una gestione moderna per la missione. I concetti di missione della Chiesa e sostenibilità economica, infatti, non sono assolutamente antitetici. Anzi la sostenibilità economica, specie nel contesto dei prossimi anni, rafforzerà la prima. Questo libro affronta i temi della sostenibilità economica, del bilancio e dei principi contabili applicabili alle tre maggiori tipologie di enti ecclesiastici: le diocesi, le parrocchie e gli istituti religiosi. Si tratta del primo studio a livello nazionale e internazionale sullo specifico argomento della sostenibilità economica e dei bilanci degli enti ecclesiastici. Esso discende da analisi pluriennali condotte dell'autore in Italia e all'estero. Il contenuto dell'appendice è disponibile al download sul sito dell'editore: vitaepensiero.it.
Il volume propone una ricerca per documentare la ragionevolezza e la 'convenienza' per l'intero sistema economico del prendere in considerazione il principio qualificante della dottrina cattolica che dichiara il lavoro "chiave della questione sociale" e insieme ne afferma la priorità sul capitale. Il tutto in riferimento alle grandi trasformazioni degli ultimi decenni: che differenza fa, quali problemi pone passare dal lavoro sulla propria terra o nel proprio negozio artigiano, vendendo su un mercato locale, al lavorare nella grande impresa o per un mercato globale? È evidente come ciò rifletta una concezione dell'uomo e della società, propria sebbene non esclusiva della Chiesa, che poi influisce sulla concezione dell'economia.
II volume di s. e. il card. Angelo Scola, Patriarca di Venezia, inaugura una nuova, agile linea di pubblicazioni: "Contributi", a cura del Centro di Ateneo per la dottrina sociale della Chiesa dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. In questo primo Contributo viene offerto al lettore l'intervento che il Patriarca ha pronunciato il 16 marzo 2007 in Università Cattolica, in occasione del "battesimo" pubblico del nuovo Centro. Preceduto dal saluto del rettore dell'Ateneo, Lorenzo Ornaghi, e dall'introduzione del Direttore del Centro, Evandro Botto, il card. Scola, nella sua relazione, ragiona con speciale finezza intellettuale sul valore e l'attualità della dottrina sociale della Chiesa, evidenziandone il prezioso ruoto di "risorsa", in particolare per l'odierna società italiana, sempre più attraversata da fragilità e incertezze.
Il Concilio Vaticano II è stato «la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel XX secolo: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre». Così affermava all’alba del nuovo millennio Giovanni Paolo II.
Con il Concilio infatti la Chiesa cattolica aveva assunto nuovi orientamenti per proseguire la sua missione di sempre in un contesto storico fortemente mutato. Come quel «padrone di casa che attinge dal suo tesoro cose nuove e cose antiche», i padri conciliari, nella loro laboriosa opera di aggiornamento, si riferirono alla grande Tradizione ecclesiale, soprattutto dei primi secoli, ponendo in primo piano aspetti che le circostanze storiche avevano messo in disparte. L’evento conciliare generò un clima di grande entusiasmo e di slancio, una sorta di «nuova Pentecoste», in forza della quale la Chiesa rinnovava la sua fedeltà a Dio e pensava di poter parlare al mondo facendosi capire, dopo un lungo periodo di allontanamento.
Come peraltro successe per molti concili, la recezione del Vaticano II incontrò tuttavia gravi difficoltà, che ne resero problematica l’assimilazione nel concreto della vita ecclesiale. Anzitutto il ’68, con il suo portato di sovvertimento dell’ethos tradizionale, delle istituzioni e della politica, segnò la crisi della modernità avviando il processo della destrutturazione sociale postmoderna. Ma anche la Chiesa stessa sperimentò profondi travagli, per la fatica che inevitabilmente comportano i passaggi di crescita, con la formazione di nuove pratiche, mentalità e paradigmi di pensiero, ma soprattutto per i conflitti, talvolta laceranti, tra le diverse interpretazioni del Concilio. Alcune, convergendo da prospettive opposte, identificavano nel Vaticano II una rottura nei confronti della tradizione: da un lato il movimento scismatico di mons. Lefebvre, che condannava nel Concilio un’eresia di matrice liberale e neo-modernista; dall’altro le interpretazioni che salutavano nel Vaticano II un nuovo inizio nella storia della Chiesa, riferendosi, oltre i testi conciliari stessi, a uno ‘spirito’ che avrebbe autorizzato cambiamenti radicali negli assetti della Chiesa.
Quest’opera, rigorosa e documentata, in continuità con «l’ermeneutica della riforma» promossa da Benedetto XVI, mostra come, nonostante la congiuntura storica sfavorevole, importanti acquisizioni sono state compiute nella quotidianità del cammino postconciliare: basti pensare, solo per fare alcuni esempi, alla riforma liturgica, al primato della parola di Dio, alla corresponsabilità dei laici e all’apertura mondiale della cattolicità. Ma, a quarant’anni dal Concilio – afferma Routhier – non abbiamo esaurito la sua linfa né consentito a tutti i suoi fermenti di lavorare il corpo ecclesiale e di rinnovarlo in profondità. «È suonata l’ora della seconda scelta: l’ora di un bilancio, ma anche, dopo un momento di perplessità, di fluttuazioni e di grandi interrogativi, l’ora dell’approfondimento, l’ora del nuovo slancio sapendo che non si acquisisce nulla senza spendervi tempo e perseveranza, e senza acconsentire a un impegno nella durata e nella quotidianità».
Gilles Routhier (1953) è professore di Ecclesiologia e Teologia pratica all’Université Laval (Québec) e all’Institut Catholique di Parigi. Ha conseguito un dottorato in teologia, antropologia religiosa e storia delle religioni alla Sorbona di Parigi. Si occupa in particolare del Concilio Vaticano II, della sua storia, recezione ed ermeneutica, nonché della sua influenza sull’evoluzione del cattolicesimo post-conciliare.
«Questo principio – cioè che il lavoro non è una merce qualsiasi, che la dignità della persona umana del lavoratore è un criterio di valutazione giuridica prevalente sulla considerazione economica del lavoro come fattore della produzione – a noi sembra molto semplice e intuitivo, ma all’epoca della “Rerum novarum” era un principio rivoluzionario, perché si poneva in contrasto col concetto di libertà su cui era fondata la società uscita dal rivolgimento del 1789, e di esso postulava una radicale modificazione. L’avere rivendicato questo principio al sistema dei valori cristiani, l’averlo formulato come principio di progresso sociale, e non di violenta distruzione dell’ordine esistente, tale fu l’opera della “Rerum novarum”».
«La preoccupazione centrale del Pontefice (Giovanni Paolo II), profondamente radicata nella teologia e nell’antropologia bibliche, è che l’uomo produttore non perda il contatto con l’uomo sapienziale: senza la sapienza l’uomo è “incapace di comprendere la giustizia”. Un tempo l’homo faber e l’homo sapiens (nel senso etimologico di “assaporatore”, ossia dotato della sensibilità ai valori) erano uniti; nella società moderna tendono a separarsi perché la forma di pensiero del primo è divenuta radicalmente diversa».
Gli studi raccolti in questo volume testimoniano l’impegno del professor Luigi Mengoni nell’indagine diretta della dottrina sociale della Chiesa, condotta con il rigoroso metodo del maestro di Diritto e di attento osservatore della realtà sociale. La pubblicazione intende offrire ai giovani e agli studiosi di scienze umane e sociali un primo approccio all’elaborazione etico-culturale di questo esemplare studioso del Novecento, anche come sollecitazione a scoprire e visitare l’opera scientifica complessiva.
Luigi Mengoni (Trento 1922 - Milano 2001) è stato Professore Emerito di Diritto civile nell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove ha insegnato anche Diritto del lavoro, e Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale. Tra la sua vasta produzione scientifica vanno ricordati i volumi: Diritto e valori (1985), Ermeneutica e Dogmatica giuridica. Saggi (1996), Il contratto di lavoro (Vita e Pensiero, Milano 2004).
Mario Napoli è Professore Ordinario di Diritto del lavoro nell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Per Vita e Pensiero ha curato Costituzione, lavoro, pluralismo sociale (Milano, 1998); Principio di sussidiarietà, Europa, Stato sociale (Milano, 2003); Lavoro, mercato, valori (Milano, 2003); La professionalità (Milano, 2004).
Per le sue esplicite finalità, per il metodo coerentemente applicato, per la sua stessa articolazione, questo Dizionario si presenta come un’opera speciale. Essa consiste di dieci voci fondamentali, centotrentuno tematiche e quattordici approfondimenti, dedicati al magistero sociale della Chiesa. Gli autori sono per grandissima parte scienziati sociali, che, nei loro contributi, intendono individuare e illustrare non solo i punti di più feconda intersezione tra il Magistero e le scienze sociali, ma anche le concrete forme con cui i principi fondamentali della dottrina sociale sono collocabili alla base e a guida dei comportamenti e delle azioni di singoli, gruppi, grandi collettività.
Come tutti i repertori sistematici (siano essi dizionari, enciclopedie, o meno esaustive raccolte di lemmi e concetti fondamentali per delimitare aree del sapere e dell’agire) che non casualmente compaiono in certi snodi della cultura e della vita associata, anche questo Dizionario porta già in sé un significato e un valore. Analizza le ricadute concrete dei principi fondamentali della dottrina sociale, che auspica espressamente il confronto e l’apporto delle scienze politiche ed economiche. Più che per ciò che delimita, è importante per i nuovi campi che apre.
A cura del Centro di ricerche per lo studio della dottrina sociale della Chiesa
Comitato di direzione: Carlo Beretta, Evandro Botto, Ferdinando Citterio, Michele Colasanto, Alessandro Colombo, Giorgio Feliciani, Lorenzo Ornaghi, Daniela Parisi, Eugenia Scabini, Sergio Zaninelli
Il principio di sussidiarietà occupa un posto di grande rilievo nella Dottrina sociale della Chiesa. Troppo a lungo dimenticato, viene oggi riscoperto quale centro del ‘crocevia istituzionale’ rappresentato dai complessi e delicati rapporti tra Unione europea, Stato e Regioni. Mediante i contributi di alcuni tra i massimi esperti della materia, questo volume ne analizza la portata e l’impatto, in riferimento all’esperienza concreta dell’Europa comunitaria e dell’ordinamento interno italiano. Vengono così messi in luce e analizzati i fondamenti e i precedenti istituzionali indispensabili per cogliere il reale significato del principio di sussidiarietà, sancito ora, tra l’altro, nel nuovo testo dell’articolo 18 della Costituzione.
Mario Napoli è ordinario di Diritto del Lavoro presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Per i tipi di Vita e Pensiero ha curato: “Costituzione, lavoro, pluralismo sociale” (Milano, 1998).