Il poeta della mistica dei sensi ci insegna a formulare le giuste domande. C'è un momento in cui ci rendiamo conto che sono le domande (non le risposte) ad avvicinarci al punto vero delle questioni. Sappiamo che le risposte sono utili, sì, e ne abbiamo sempre bisogno - ma la vita trasforma le risposte stesse in domande ancora più grandi. La spiritualità deve essere un'occasione di incontro con domande fondamentali, anche se sono sempre messe da parte in una vita quotidiana che ci disperde e allontana dall'essenziale: «Chi sono io? Da dove vengo? Dove sto andando? A chi appartengo? Da chi o perché posso essere salvato?». Forse abbiamo organizzato la religione troppo rapidamente dal lato della risposta - e dimenticato le grandi domande che non ha mai mancato di affrontare. Guidati da uno dei più importanti saggisti cristiani di oggi - un poeta, un pensatore, con una grande esperienza di ascolto degli altri - in questo libro sapido si è come invitati a un viaggio di reinvenzione di noi stessi. Sulla scia delle sue fortunate opere precedenti - teologiche, filosofiche, letterarie -, il portoghese José Tolentino Mendonça apre qui le pagine di un libro singolare e coraggioso: una piccola via, quasi un percorso, delle grandi domande sulla nostra vita.
I giovani d'oggi crescono con la consapevolezza di un mondo in continua distruzione: estinzione o rischio d'estinzione per la maggior parte delle specie, catastrofi naturali, riscaldamento climatico, inquinamento, pandemie, etc. La tristezza, la paura e l'angoscia sono entrate nei nostri corpi, perfino nei bambini. Come agire e pensare in mezzo a questo caos? Come vivere questa epoca tragica ed "eroica" al tempo stesso? Provano a rispondere Miguel Benasayag, filosofo e psicoanalista argentino, «un "veterano" che ha vissuto e sperimentato tanto», e Teodoro Cohen, giovane laureato della Sorbona, membro del Collectif Malgré Tout: «Questa lettera indirizzata ai giovani vuole essere un gesto di amicizia, una mano tesa verso chi vivrà, più di tutti, le conseguenze di un mondo oscuro». Rifiutando le tendenze apocalittiche e quelle depressive che dichiarano lapidariamente che "è tutto finito", gli autori cercano di capire «con umiltà e sforzo, per dove continua la vita». Sviluppare alternative, creare nuovi modi di vivere e di relazionarsi agli altri e al contesto: un libro per tendere la mano a chi, "sentendo" in modo profondo il mondo e l'epoca, "preferisce di no".
Cosa vuol dire curare un territorio? La cultura può essere uno strumento di cura? Cura e cultura come possono essere strumenti di rigenerazione di territori fragili? Il testo racconta, a partire dalla case history di un nuovo luogo nella periferia nord di Milano, Magnete, i modi in cui si può progettare e rigenerare la città. Valorizzare la dimensione culturale è la leva per la cura di tessuti sociali complessi, attraversati dalla iperdiversità - generazionale, di genere, provenienza geografica, background migratori, condizioni lavorative, abitative, di salute. Il volume descrive le tappe del percorso, gli attori in gioco, gli scenari in movimento, le difficoltà della progettazione in tempi interrotti dalla pandemia, le insidie dell'accesso da outsider in un quartiere, ma anche le potenzialità e gli elementi che hanno contribuito alla riuscita di un intervento. Magnete rappresenta un esempio di come si possa rispondere alla sfida di creare spazi pubblici a base culturale, abilitando comunità e territori al cambiamento, imparando prospettive e pratiche del fare insieme.
La dolcezza è un enigma difficile da identificare. È il nome di un'emozione che non sappiamo più descrivere, venuta da un tempo in cui l'umano non era separato dal resto della vita, dagli animali, dagli elementi, dalla luce, dagli spiriti. È selvatica e raffinata, come ben sa la cultura orientale, è spirituale e carnale, è una festa dei sensi alla quale il tatto, il gusto, i profumi, i suoni aprono l'accesso. Soprattutto, è una potenza, una forza simbolica di resistenza capace di trasformare la vita. In questo saggio particolarissimo, scritto all'incrocio tra filosofia e psicanalisi, Anne Dufourmantelle insegue e ripercorre le tracce della dolcezza nell'esperienza delle donne e degli uomini, dialogando con Tolstoj e Dostoevskij, passando per Flaubert e Hugo, senza dimenticare Lévinas. E arriva a toccare l'origine stessa della dolcezza, che è il nome segreto dell'infanzia, un ricordo a se stessi che inventa il futuro e che si fa potenza di relazione con l'altro, in grado di trasformare anche il dolore in creazione di una nuova promessa di sollievo e ripartenza.
Domande all'apparenza semplici quali «come va?» o «da dove vieni?» o «come ti chiami?», se colte nel loro senso più profondo, ci conducono al centro della nostra anima, là dove - ci spiega il filosofo catalano Josep Maria Esquirol nel saggio Umano più umano - siamo toccati da quattro realtà fondamentali con cui abbiamo a che fare per tutta la nostra esistenza: la vita, la morte, il tu e il mondo. L'incontro con questi «infiniti essenziali» segna una «ferita», un'apertura inesauribile che sottrae a ogni pretesa di autosufficienza e che ci costituisce nella nostra umanità. Imparare a vivere è imparare ad accompagnare queste ferite, non a suturarle. Esse infatti sempre ci sorpassano con il loro eccesso e chiedono la pazienza di continue risposte. Risposte da cercare non nell'oltre postulato dalle odierne tendenze transumanistiche, ma restando dentro questa condizione, intessuta di vulnerabilità e debolezza.
Luigino Bruni continua il percorso iniziato del best seller "Il capitalismo e il sacro" rispondendo a nuovi interrogativi: che cosa del cristianesimo è entrato nel capitalismo? Che cosa è rimasto fuori? Come è entrato? Dai trenta denari a oggi, storia della contaminazione tra economia e religione. C'è un'importante tradizione di pensiero che ha letto il capitalismo come figlio del cristianesimo europeo e occidentale. Ma sebbene prima Marx e poi Benjamin avessero avanzato dubbi profondi sulla natura cristiana del capitalismo, il mito dello "spirito" cristiano del capitalismo ha retto per tutto il XX secolo. Eppure, quella tesi era in origine e resta ancora controversa e debole, in particolare se andiamo a interrogarla a monte (primi secoli cristiani) e non a valle (modernità), quando l'Europa ha formulato le sue prime promesse in rapporto all'economia. In realtà la nascita del capitalismo è stato un allontanamento dallo spirito evangelico, un abbandono della sua principale eredità: la gratuità. L'arte della gratuità non è entrata tra le competenze sviluppate dalla cultura capitalistica, che avendone intuita la natura sovversiva l'ha sostituita con la filantropia.
I "Fridays for Future" li conosciamo tutti: sono le giornate di mobilitazione per l'ambiente divenute celebri grazie alla figura di Greta Thunberg. Ma esiste un'altra realtà, quella dei "Saturdays for Future", i fine settimana dedicati all'acquisto consapevole duranti i quali si è inviati a «votare con il portafoglio», secondo l'ormai celebre espressione dell'editorialista di "Avvenire" Leonardo Becchetti. In questo pamphlet Becchetti traccia il profilo di un nuovo soggetto, il "cittadino consum-attore" - interessato all'etica più che alla convenienza, allo sviluppo più che alla comodità - che è forse il vero protagonista del cambiamento sociale, economico e civile in corso nei nostri anni.
L'individuo deve ricrearsi la fede con un atto di decisione; perché la fuga, non più la fede, esiste oggi come mondo oggettivo. La fuga davanti a Dio è un pamphlet scritto nel 1934, in piena epoca nazista. In un clima storico in cui si assiste all'affermarsi dell'industrialismo e del dominio tecnologico della macchina, del culto futuristico della velocità, al disfarsi dei legami sociali, alle mattanze dei totalitarismi e delle guerre mondiali, Picard descrive la fuga dell'umanità dalla divinità, dal fondamento dell'essere, dal paradigma stesso dell'esistenza. La sua diagnosi è netta: «Nel mondo della fuga l'uomo non esiste come singolo essere delimitato, ma come coacervo di sensazioni, volontà e azioni continuamente mutevoli». La critica di Picard risuona oggi lungimirante e visionaria. La sua analisi della mobilità inesausta, dell'accelerazione della vita e del continuo cambiamento dei rapporti tra gli esseri umani individua problematiche sollevate da filosofi come Morin, Baudrillard, Virilio, Debord. La sua descrizione del dissolvimento dell'oggettività e dell'avvento di una realtà virtuale e fantasmagorica costituita da grumi di materiali informativi fluttuanti in un continuum di immagini, ci ricorda la società liquida di Bauman e il dominio planetario della rete. La lezione di Picard oggi assume un valore particolare in riferimento al cuore stesso delle sue riflessioni: ricentrare l'essere umano intorno ad alcuni nuclei essenziali e imprescindibili, per riconoscere il mondo come donazione, ma anche per riaffermare le ragioni neglette di un principio di umanità da opporre alle forze omologanti che oggi sembrano imporsi su scala planetaria. Come scrive Hermann Hesse nel testo che lo accompagna: «Molte sono le ragioni che rendono importante questo libro... È un'opera spaventosa e confortante allo stesso tempo, ma lasciamo che il libro parli da sé.
Ezio Franceschini (1906-1983) si laureò a Padova nel 1928, relatore della sua tesi Concetto Marchesi; insieme furono attivi nella Resistenza dal 1943 al 1945. Nel 1936 approdò alla Università Cattolica come professore incaricato di Storia della letteratura latina medievale, lì divenne di ruolo nel 1939 e insegnò per il resto della sua vita. La sua ricerca scientifica ebbe come obbiettivi privilegiati la sopravvivenza della sapienza pagana nel medioevo cristiano e la storia del movimento francescano nei suoi testi e nella sua spiritualità. Nel triennio 1965-1968, gli anni in cui si formò ed esplose la contestazione giovanile, fu rettore dell'Università Cattolica. Durante i sit-in parlava in piazza con gli studenti; partecipava alle loro assemblee; cercava sempre di capire e di aiutare, fedele al suo compito di educatore. Per raggiungere i ragazzi si serviva dei loro stessi mezzi di comunicazione: volantinaggio e cartelli, oltre le lettere normali e quelle pubblicate a stampa in «Itinerarium cordis», l'apposito foglio periodico di informazione interna per gli studenti dell'Università Cattolica. Le lettere e i messaggi, raccolti in questo libro, intendono mettere in luce l'affetto, la cura e la speranza, riposti nei suoi "cari studenti", e l'impegno con cui anche nelle situazioni dure continuava a insegnare l'esercizio lento e faticoso della libertà. Alcune sue riflessioni sui fatti e sui problemi dei giovani di quegli anni sono pure edite qui, tolte da appunti manoscritti.
Un grande narratore italiano riflette sullo stato della letteratura chiedendosi se la scrittura abbia ancora un senso, e quale, nella società di oggi. Una società senza più punti di riferimento, senza forma e volto, anonima e virtuale, che ha contaminato anche la narrativa. Lo scrittore pare infatti ormai adattato al linguaggio di massa, e infine separato dalla propria identità più profonda. Scrive Parazzoli: «Ogni nuova opera è per lo scrittore il clic del percussore del gioco della roulette russa finché non esplode il bang. È il rischio ciò che conta, non il successo o il fallimento». Ecco: è proprio la 'pallottola d'argento' del rischio che sembra essersi persa, quello stimolo di inquietudine che è invito a trovare nella pagina il luogo della vertigine verso l'alto del senso come verso il basso dell'abisso umano, e non l'amalgama piatto e orizzontale della cronaca e della 'dittatura' tecnologica. Con critiche graffianti e appassionate, nella libertà del suo stile di narratore, Parazzoli mette a fuoco il problema e insieme regala, in una sorta di piccola 'scuola di scrittura', preziose indicazioni stilistiche per chi voglia riprendersi il rischio della vera letteratura. Prefazione di Giuseppe Lupo.
Carlo Ossola, in questo prezioso e raffinatissimo libro, ci racconta il suo viaggio alla ricerca di quelle tracce che fanno dell'Europa un patrimonio di civiltà condiviso, di ciò che può essere identificato come valore che sostiene la nostra civiltà. Un viaggio dapprima reale, che tocca luoghi europei anche piccoli e meno noti – da Reggio Calabria ai prati irlandesi di Glendalough, da Odessa alla pietra bianca portoghese di Belém – dove un paesaggio, un manufatto artistico, un personaggio, un libro riaccendono il sapore di una pluralità viva e condivisa nella quale ci riconosciamo e che nutre il nostro immaginario. E poi un viaggio del pensiero, complementare, nei miti che dai Greci in poi ci hanno fornito una matrice di identità: Ulisse e Enea, Eros e Psiche, l’unità di tempo e luogo di Aristotele, il filo insospettabile che lega san Benedetto e Lenin. Un viaggio che va oltre la profonda crisi di coscienza e di cultura che investe il vecchio continente, dove tutto sembra ridursi al calcolo economico e alle procedure burocratiche. Una lettura per ‘ritrovare’ l’Europa e riportare alla luce ciò che accomuna i suoi popoli e ci rende europei.
Le cosiddette primavere arabe, con il loro sostanziale fallimento, hanno suscitato nel mondo occidentale una delusione che ha portato molti a concludere che il rapporto tra islam e democrazia sia impossibile. Questo libro affronta finalmente il problema nella prospettiva corretta, mettendo in luce i meccanismi attraverso i quali culture e storie politiche diverse finiscono per fraintendersi. La prima cosa da capire - ci dice Riccardo Redaelli, che da anni si occupa di geopolitica e storia del Medio Oriente - è che la religione islamica non è una realtà monolitica, bensì storicamente diversificata secondo le etnie, le culture e le regioni di quel mondo. Il secondo punto è che i concetti di democrazia e di Stato nazionale, affermatisi nei nostri sistemi occidentali e basati sul concetto di libertà individuale, risultano difficilmente applicabili nelle società islamiche perché estranei alle loro tradizioni. È invece la rivelazione coranica il fondamento dei loro sistemi politici e statuali, pur se in declinazioni molto diverse. Ma le esperienze di (teo)democrazia islamica sono state finora deludenti, come mostra qui Redaelli analizzando le più significative, e spesso hanno addirittura finito per dividere e polarizzare quelle società. A complicare la situazione, le visioni radicali e militanti hanno rinverdito il mito del califfato islamico da riportare in vita sulle ceneri degli Stati nazionali moderni.