Jacob ha un quoziente intellettivo più elevato di quello di Einstein, una straordinaria memoria fotografica e ha imparato l'analisi matematica da solo in due settimane. A nove anni ha cominciato a elaborare un'originale teoria astrofisica che gli studiosi ritengono potrebbe un giorno metterlo in lizza per il premio Nobel e a dodici è diventato ricercatore in fisica quantistica. Ma la storia di Jake è ancor più straordinaria se si considera che, quando aveva poco più di due anni, i medici gli diagnosticarono l'autismo e dissero a sua madre Kristine che, da adulto, avrebbe potuto non essere nemmeno in grado di allacciarsi le scarpe. "Il mio bambino speciale" è il memoir di una madre e di suo figlio. Mentre gli esperti cercavano di far emergere quelle capacità "standard" che lo avrebbero reso più simile a tutti gli altri, Jake non migliorava, scivolando sempre di più nel suo mondo fino al punto di smettere completamente di parlare. Kristine, in cuor suo, sapeva che qualcosa doveva cambiare e che toccava a lei agire. E così, contro il parere del marito Michael, diede retta al suo istinto, togliendo Jake dalle scuole "speciali" e preparandolo lei stessa a frequentare l'asilo tradizionale, decisa anche ad assecondare le sue inclinazioni e i suoi interessi. Questa filosofia, insieme alla fiducia nel potere delle semplici esperienze dell'infanzia come il gioco, le diedero ragione. E i risultati andarono al di là di quello che lei stessa avrebbe immaginato.
"Per quelli che mi incontrano la prima volta, sono stupido. Profondamente stupido. Di colpo però, quando mi capita di nominare l'autismo, alcuni cambiano completamente atteggiamento. Da idiota che ero, divento un piccolo genio. Il che, in Fin dei conti, è lo stesso, fatta eccezione per la capacità di estrarre radici tredicesime." Josef Schovanec ha la sindrome di Asperger: muto fino all'età di sei anni, è solo grazie alla determinazione dei suoi genitori che si è salvato dall'ospedale psichiatrico. La diagnosi sbagliata di un trauma psichico irreversibile ci avrebbe infatti privato per sempre di un'intelligenza fuori dal comune: il bambino che non era stato giudicato idoneo a frequentare la prima elementare, l'adolescente tanto spesso trattato come un ritardato mentale, l'uomo che fatica a dire buongiorno o a entrare in un caffè, e per il quale l'atto quotidiano più insignificante, come comprare il pane o fare una telefonata, diviene una fonte d'angoscia insostenibile, oggi ha un dottorato in filosofia, parla correntemente diverse lingue, scrive discorsi e tiene conferenze in tutto il mondo. Il suo stato di autistico, racconta in questo libro, non è però qualcosa di lontano dalla normalità (un handicap o un tratto di genialità "aliena"), ma una condizione quotidiana, con vantaggi e svantaggi: dall'attaccamento ad alcune passioni (lui le definisce "manie" o "dipendenze") ai piccoli problemi di tutti i giorni.
Manuel ha cinque anni e un grande cuore indomito. Un giorno, quando si squarcia il velo sui misteri più reconditi della sua giovanissima vita, risponde al richiamo che la natura intorno al suo villaggio gli lancia e fugge tra i boschi del Cile. In molti probabilmente sapevano perché non aveva una mamma, e perché vivesse insieme a un uomo che chiamava nonno ma in realtà era un estraneo. Un uomo che nascondeva un segreto sconvolgente sul passato di quel bambino e di sua madre, un segreto di cui Manuel aveva perso ogni ricordo. Quando la verità riemerge dall'oblio, Manuel decide che la sua famiglia sarebbero stati gli alberi, i ruscelli, i cespugli di frutti selvatici che tante volte lo avevano sfamato. Se il mondo degli uomini lo escludeva e lo maltrattava, la natura sembrava accoglierlo, gli uccelli cantavano la forza della vita, le fronde stormivano e i prati lo accarezzavano come nessuno aveva mai fatto. Se casa è un posto dove sentirsi protetti, lì era casa sua. Per molti mesi, anni, Manuel vive da solo nel bosco, in silenzio, mangiando frutti selvatici, imparando a cacciare dai gatti, a costruirsi una fionda, a pescare a mani nude. Un piccolo ragazzo selvaggio che coltiva dentro di sé la libertà. Niente lo avrebbe convinto a tornare nella prigione di prima, nemmeno l'inverno, nemmeno il vento gelido. Fino a quando il destino non inizia il suo lungo viaggio in cerca del bambino invisibile...
Tra le numerose pubblicazioni sul tumore – l’innominabile – questo libretto ha una caratteristica che lo rende unico: far sentire in contemporanea e sullo stesso argomento due voci. La voce di un malato che da anni combatte con un tumore, e quella di un oncologo di grande esperienza. Due punti di osservazione sulla stessa realtà – la cura della malattia – vissuta e raccontata da posizioni diverse ma in continua relazione. Dobbiamo essere riconoscenti agli autori, che hanno scritto a quattro mani questo prezioso libretto in cui si propongono di «parlarne insieme»: in modo che il malato sappia cosa pensa l’oncologo, l’oncologo sappia cosa pensa il malato, i famigliari e gli amici sappiano cosa pensano il malato e l’oncologo. È un piccolo manuale di consultazione per tutti coloro che a vario titolo entrano a con- tatto col vasto mondo dei tumori.
Come vivere il lutto all’interno di una coppia quando l’essere amato è ancora vivo? Ci sono i primi segnali, le parole che si sovrappongono e si perdono, i ricordi che si stingono. Poi la diagnosi. Ma per Cécile e Daniel, uniti da una vita felice per più di trent’anni, l’amore è più forte della paura. Magnifico omaggio che una moglie attenta e preoccupata rende a suo marito, questo racconto dà voce ai malati, ma anche ai medici e ai familiari, poichè l’Alzheimer colpisce tutti coloro che stanno al loro fianco. Svelandone lo smarrimento, la solitudine, la paura della perdita, l’impotenza, nelle parole di Cécile che dopo il rifiuto iniziale combatte, forza, inventa per strappare il suo Daniel alla morsa dell’oblio, fino al punto di portarlo con sè in Africa, nel tentativo di cambiar vita e liberarsi da ogni preoccupazione. Ben diverso dovrà essere però il percorso per proseguire insieme il loro cammino, e Cécile scoprirà come anche chi ama il malato, in assenza di certezze, possa aver bisogno di aiuto: per capire, per accettare, per amare ancora di più. Alzheimer mon amour, sconvolgente lavoro di ricostruzione, è una testimonianza che turba e che insieme solleva, che canta la musica della vita, e permette allo sguardo di noi tutti di andare più lontano.
"Le lettere e le storie di questo libro non sono di semplici delinquenti. Sono "i mafiosi" e non quelli che hanno avuto a che fare con la mafia: ergastolani perché hanno ammazzato e ordinato di far ammazzare. Eppure l'Alta Sicurezza per loro non è la migliore difesa per noi. Perché il carcere che funziona non è quello che priva della libertà ma quello che produce libertà. Tra chi è "dentro" e chi è "fuori" si gioca la partita vera della legalità."
"La mia esperienza personale vissuta al fianco di tanti ragazzi ridotti male per aver bevuto troppo è stata in alcuni casi così traumatizzante che mi ha fatto capire l'importanza di trasmetterla ai giovani per farli partecipi dei rischi che si corrono quando si esagera con l'alcol. Così ho cominciato ad andare in giro per le scuole medie superiori di Milano e della provincia a raccontare quello che mi era capitato. Ora ho deciso di metterlo anche nero su bianco per raggiungere un numero maggiore di studenti. Così è nato questo libro, nel quale descrivo i casi clinici di due giovani alcolisti". Con l'alcol non si scherza. In questo libro il professor Fassati, un chirurgo esperto nei trapianti di fegato, da anni impegnato nelle scuole nella lotta contro l'alcol, racconta due storie esemplari, schiette e ricche di spunti di riflessione. L'autore mette la sua grande esperienza al servizio dei giovani, dando preziose indicazioni su come riconoscere, combattere ed evitare questa dipendenza.
L'ultimo studio sulla detenzione femminile nelle carceri italiane risale agli anni '90. Dopo oltre un anno di inchiesta, Cristina Scanu ci svela un mondo di confine: dai grandi problemi di una normativa mancante alla mala-prigione. Il 90% delle detenute è madre di uno o più figli. Molte li hanno lasciati fuori dal carcere; altre hanno scelto di tenerli con sé, dal momento che la legge lo consente. Nella sua drammaticità un libro appassionante, un dialogo serrato con le detenute e con chi nelle prigioni lavora (educatori, volontari, direttori, assistenti sociali e agenti di polizia penitenziaria). I racconti delle detenute e di chi vive e lavora a contatto con loro dipingono un quadro sconvolgente delle carceri italiane. Dove bambini crescono accanto a madri frustrate che aggiungono alla sofferenza della pena il dolore di una maternità mutilata. Bimbi costretti a vivere in celle umide e buie, a essere svegliati dal rumore delle chiavi che aprono i cancelli dei blindati, a giocare in un cortile di cemento. Il carcere non è un posto per bambini, vittime di errori che non hanno commesso. Eppure, ogni giorno, molti di loro aprono gli occhi dentro una cella. Sono loro il filo conduttore di questo lavoro.
Non siamo tutti uguali di fronte a una persona malata: le dinamiche, gli equilibri, i ruoli di un rapporto, tra amici o tra parenti, spesso vengono influenzati dalla malattia, che ne siamo consapevoli o no. Di fronte a qualcuno che soffre le antiche amicizie possono incrinarsi e le persone fragili possono perdere completamente la testa, ma c'è anche chi diventa ossessivo, chi iperprotettivo e, chi invece, ipercritico. C'è chi non sa comportarsi e commette una serie di gaffe, chi reagisce con nervosismo, chi evita qualunque contatto con la persona malata e preferisce non andare neanche a trovarla. E non tutti i malati sono uguali: c'è chi ama ricevere mille attenzioni e chi invece preferisce restare appartato, ma tutti i malati, in vari modi, hanno sperimentato lealtà e abbandono. Scritto da una donna che ha lottato e ha vinto contro il cancro, questo libro è il "galateo" della malattia, ma non c'è niente di formale nei rapporti che regolano le vere relazioni umane. Letty Cottin Pogrebin ha raccolto direttamente, nelle sale d'attesa e dalla voce dei pazienti, testimonianze preziosissime che si traducono in una serie di comportamenti concreti a cui fare attenzione quando siamo vicino a qualcuno che soffre.
Il gioco d'azzardo, quando diventa un'ossessione, rientra nelle "dipendenze senza sostanze" ed è considerato un disturbo del comportamento. Il giocare d'azzardo diventa una patologia quando aumentano il numero delle giocate e quando si spendono somme che vanno oltre le proprie possibilità nel tentativo di recuperare il denaro perso. I debiti di gioco causano rotture famigliari e perdite di patrimoni. Oggi esiste anche il giocatore d'azzardo online ancora più pericoloso perché nascosto a sguardi indiscreti e giudicanti. Questo libro mette in evidenza le conseguenze drastiche alle quali si potrebbe andare incontro.
"Un giorno di molti anni fa ho incontrato il Male: sembrava poca cosa, appena un leggero impaccio alla mano. E invece... malattia di Parkinson giovanile. Avevo trentasei anni e trentanove al momento della diagnosi. Ho 'dato fuori di matto' e ho fatto un mucchio di sciocchezze - proprio non ne volevo sapere! Eppure, eccomi qua, ventisei anni più tardi, con due elettrodi piantati nel cervello e due batterie sotto la pelle ma VIVA, fuori dal letto e in piedi." Lucilla Bossi è nata sotto una buonissima stella. Figlia unica di una bella famiglia milanese, è stata una splendida ballerina della Scala di Milano, in seguito una spensierata giramondo e infine sposa e mamma di Federico. Poi è arrivato quel maledetto giorno in cui la mano destra non riusciva ad arrotolare gli spaghetti nel piatto. Il primo sintomo, inequivocabile, di quello che qualche anno dopo le verrà diagnosticato: Parkison giovanile. Da quella terribile scoperta, Lucilla Bossi ha provato tutto e il contrario di tutto: sia luminari della medicina che icone della spiritualità. Una lunga via crucis che però ha avuto il merito di guidarla inconsapevolmente al centro più profondo del suo essere. Molto spesso i malati di Parkinson sembrano persone depredate dell'anima. Le spire della malattia li trasformano in gusci vuoti e tremanti, privi di quella scintilla vitale che sta nascosta dentro di noi. Lucilla Bossi non è riuscita ovviamente a debellare la malattia, ma si è tenuta l'anima.
"La forza degli anni" raccoglie contributi qualificati (tra cui tre interventi di Andrea Riccardi) su aspetti diversi della condizione degli anziani nel mondo contemporaneo (sociali, medici e culturali) e dell'attività di Sant'Egidio per gli anziani stessi (le iniziative per favorire la domiciliarità e per umanizzare gli istituti, le case famiglia, la religiosità, la vita spirituale e così via). L'attività della Comunità di Sant'Egidio con gli anziani ha ormai quarant'anni di vita: si tratta dunque di una lunga esperienza. Pertanto il libro si configura come una raccolta preziosa di indicazioni e consigli, anche pratici, per l'incontro con gli anziani e per la cura e l'assistenza, ma anche come un'articolata, colta e profonda meditazione sulla condizione degli anziani, espressione di una sapienza maturata in tutti questi anni di amicizia, di solidarietà concreta, di accoglienza, di compagnia, di condivisione di vita.