Ci invadono. Ci rubano il lavoro. Attentano alla nostra cultura. Portano le malattie. Rubano. Mentono. Sono ignoranti. Complottano per prendersi il nostro Paese... La verità, invece, è che senza "negri" non possiamo stare. I negri ci rubano il lavoro. I negri si prendono le case popolari e i contributi. I negri vogliono la nostra terra. E ancora: portano malattie, rubano, violentano le nostre donne. All'indomani di qualche fatto di cronaca, in TV e sui giornali i titoli forti sugli immigrati ? spesso costruiti su dichiarazioni di politici ? sovrastano la realtà delle cifre. Eppure i numeri dicono tutt'altro. Dicono che senza gli immigrati l'Italia semplicemente si fermerebbe. Come attestano Confindustria e associazioni degli agricoltori, il Made in Italy senza i lavoratori immigrati crollerebbe. Persino le eccellenze enogastronomiche per cui siamo giustamente famosi nel mondo ? vino, olio, formaggi, ortaggi, salumi ? senza manodopera "negra" rischierebbero il tracollo. Altro che invasione. La verità è che non possiamo fare a meno di "loro". L'amato Belpaese faticherebbe persino a erogare le pensioni senza i contributi versati dai lavoratori immigrati. È lo stesso presidente dell'Inps a certificarlo. Ingegnere chimico, figlio di due nigeriani arrivati in Italia negli anni Settanta, l'autore, commentando i dati reali sull'immigrazione e analizzando fatti di cronaca, cerca di capire come stanno davvero le cose. Chi meglio di un "negro" italiano può raccontare questa realtà? E aiutarci a valutare se ci conviene davvero mandarli tutti a casa.
Il sistema scolastico, il lavoro, la cultura capitalista, la Chiesa, il ruolo della donna, la politica: come movimento di massa il Sessantotto intercettò i problemi innescati da un mondo che stava cambiando, e con la sua forte carica contestataria mise in discussione ogni singolo ambito della vita sociale. Se le risposte che diede furono spesso velleitarie o sbagliate, esso tuttavia registrò e accompagnò quella transizione di civiltà di dimensioni epocali che si sarebbe manifestata appieno più tardi e che oggi ci sfida prepotentemente.
Una tangente non è mai solo una questione di costi e benefici; ogni comportamento, più o meno lecito, è influenzato dal luogo e dall'epoca, dalle leggi in vigore e dalle norme morali: in una parola dalla nostra stessa cultura. Anche per questo leggere una commedia di Aristofane, un dramma di Shakespeare o un romanzo di Balzac può aiutarci a indagare sulla corruzione nella storia almeno quanto cronache, studi e documenti. A ben guardare, governanti e uomini d'affari accusati di malversazione nel corso del tempo sono altrettanti personaggi romanzeschi: dal latino Verre ai «barattieri» descritti da Dante, dal sovrintendente del Re Sole, Fouquet, al lobbista Jack Abramoff, dai venditori di cariche pubbliche nell'Italia spagnola ai gerarchi fascisti prezzolati, da Bonifacio VIII a Francis Bacon, dai boss della criminalità organizzata ai protagonisti dell'Iraqgate. Questo libro ne ripercorre le storie e le mette a confronto spaziando dalle civiltà mesopotamiche, dove ungere le ruote era considerato lecito, alla Roma di Giulio Cesare, in cui il favore interessato era un costume condannato ma ampiamente diffuso, dall'Europa di Lutero, che denunciò la decadenza della Chiesa, all'irrisolta questione morale dei giorni nostri. Una cavalcata tra i secoli che intreccia politica e letteratura, storia dei fatti e delle idee, e che illumina l'origine e l'evoluzione della «cultura della mazzetta» attraverso saggi e satire, testimonianze, favole e film, dal Principe di Machiavelli al Pinocchio di Collodi: per ricostruire la trama del grande romanzo della corruzione e comprenderne le mutazioni e i devastanti effetti ma anche per ribadire la necessità di continuare a opporvi la più cocciuta resistenza.
A cento anni dalla frattura epocale della Grande Guerra (1914-1918), primo eccidio industriale di massa, l’umanità assiste ad una crescita costante delle spese in armamenti. L’instabilità mondiale, dalla scarsità delle risorse al fenomeno delle migrazioni, sposta le frontiere oltre i confini tradizionali degli stati alimentando la “terza guerra mondiale a pezzi” evocata da papa Francesco. Chi ricerca ancora la pace secondo giustizia non può ignorare il decisivo ruolo esercitato dalle industrie delle armi. Dal monito del presidente statunitense Eisenhower nel 1961 all’export italiano dei nostri giorni.
Lo Stato italiano spende sei-sette miliardi di euro all’anno per l’accoglienza dei migranti, un fiume di soldi. Dove vanno? A chi vanno? Chi guadagna dietro il grande business che si è venuto a creare con l’arrivo in Italia di centinaia di migliaia di immigrati? Migranti Spa cerca di rispondere a queste domande proponendo storie, analisi e dati sui flussi di denaro che gravitano intorno al mondo dell’accoglienza. Ne viene fuori un affresco composito: da una parte migliaia di volontari che eroicamente si affannano per portare un aiuto ai tanti disperarti che arrivano sulle nostre coste, dall’altro centinaia di improvvisate coop sociali, associazioni e avventurose società che cercano di sfruttare il nuovo business. Per non parlare di dubbie ong. Lo Stato osserva ma non controlla, anche perché è una situazione che fa comodo a molti.
Le guerre finiscono con la vittoria o la sconfitta. L'11 settembre 2001 le frange radicali dell'islam hanno dichiarato guerra all'Occidente. Dopo diciassette anni di conflitti e attentati, che hanno causato la morte di 1500 europei, stiamo perdendo. Ci siamo ritirati dai fronti militari con la coda fra le gambe, ci siamo abituati all'orrore nelle nostre strade, abbiamo cantato Inshallah al Bataclan, abbiamo accettato che i nostri confini crollassero consentendo a milioni di varcarli, abbiamo tradito Israele e abbandonato i cristiani d'Oriente, abbiamo liquidato la tradizione giudaico-cristiana su cui l'Europa è fondata. La causa di tutto questo non sono soltanto gli islamisti asserragliati nei ghetti dell'«Eurabia», ma anche i relativisti, gli edonisti e i decostruzionisti. L'Occidente è ancora forte militarmente, ma si è suicidato culturalmente. Non pensiamo più che ci sia qualcosa per cui valga la pena lottare. Siamo arrivati stanchi alla sfida dell'islam radicale. Se non ritroveremo la volontà di difendere la nostra cultura e i nostri valori, la nostra civiltà finirà prima con uno schianto e poi con un lamento.
“Noi italiani, oggi, siamo culturalmente degradati, cioè corrotti. Il linguaggio, la condotta, il pensiero, il gusto, ciò che si coagula nel termine ‘civiltà’ oggi in Italia è deteriorato, rovinato come un pane bianco caduto a terra.” Nella sua appassionata denuncia, Vittorio V. Alberti affronta alla radice la piaga originaria che consuma la società italiana e mina alle basi qualunque prospettiva di progresso civile. E la radice va ricercata proprio in una cultura che disprezza il merito, la riflessione, la ricerca della bellezza in nome di miopi interessi personali o di gruppo. È contro la cultura della mafia e della corruzione che è indispensabile battersi, come sostengono nel saggio introduttivo il procuratore della repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, e nella postfazione il fondatore dell’associazione Libera, don Luigi Ciotti. “La corruzione e la mafia sono simboli maledetti di questa grande corruzione culturale, sono bruttezza. Per ricucire un futuro la strada è nel passato, nel nostro patrimonio, che è bellezza. Ecco l’idea: la potenza culturale italiana per combattere la corruzione e le mafie. Il patrimonio di intelligenza e bellezza, che è il nostro valore, la nostra identità, è nostro e nessuna forza oscura può togliercelo a meno che non glielo lasciamo fare, come spesso avviene per nostra colpa.”
Tre forze silenziose dominano oggi la società italiana: la ricchezza patrimoniale di milioni di famiglie, la povertà demografica di un Paese nel quale le nascite di nuovi bambini sono sempre più rare (mentre i giovani emigrano) e la fragilità culturale evidente in una proporzione di laureati e diplomati fra le più basse dell'Occidente. Il modo in cui queste forze si combineranno fra loro è destinato a decidere del nostro futuro.
L'Italia di oggi è un Paese pietrificato, dove la mobilità sociale è bloccata e i discendenti di chi in passato ha costruito grandi fortune sono ancora al vertice, mentre i pronipoti delle classi popolari di un tempo sono sempre fermi sui gradini più bassi. È quanto emerge da uno studio di due ricercatori della Banca d'Italia che, confrontando la Firenze attuale con quella quattrocentesca dei Medici, hanno fatto la clamorosa e desolante scoperta che le famiglie più ricche e quelle più povere sono rimaste le stesse di sei secoli e venti generazioni fa.
Per capire come mai un Paese a democrazia matura e welfare avanzato come il nostro presenti una tale rigidità sociale, Federico Fubini ha condotto una serie di test, soprattutto su bambini e ragazzi in età scolare, per verificare quali sono i maggiori ostacoli che impediscono ai più svantaggiati di cambiare la propria condizione d'origine. Per esempio, quanta fiducia in se stessi, nella loro intelligenza, nel futuro e nel prossimo hanno gli allievi di un prestigioso liceo classico milanese e di un collegio universitario esclusivo del Nord, e quelli di un istituto professionale di Mondragone (Caserta), uno di quell'1,5% di comuni italiani in cui si guadagna di meno e dove si registra un alto tasso di criminalità? O, nel quartiere più giovane di Napoli, infestato dalla camorra, fra bambini appartenenti a famiglie che vivono nella legalità, e figli di genitori che vivono fuori o ai margini della legalità?
La risposta è sempre impietosamente la stessa e conferma l'influenza decisiva dell'ambiente nel tracciare, fin dalla più tenera età, il successivo percorso di vita: «Già a cinque anni l'attitudine a fidarsi, investire, interagire nel proprio interesse, era molto diversa in base al luogo di nascita».
A partire da questa consapevolezza, però, Fubini mostra che esistono non solo problemi radicati nella storia, ma anche soluzioni pratiche. Se l'Italia stenta a riprendersi dalla crisi economica, afflitta com'è da un debito pubblico che lievita in modo inversamente proporzionale alla crescita, dal drammatico calo delle nascite, dai patrimoni dinastici e da «una povertà educativa sorprendente per una nazione con la nostra storia», l'immobilismo sociale è un'ulteriore, inaccettabile complicazione che penalizza e paralizza le nuove generazioni. Per risolverla, è necessario che la scuola porti il suo aiuto molto presto e con più efficacia, sapendo che un asilo d'infanzia «rende più di un bond». Perché è solo nei primi anni di vita che si può cambiare una mentalità e, quindi, un destino.
Come possiamo spiegare le origini della grande ondata di odio paranoico che sembra travolgere il mondo? In L'età della rabbia, Pankaj Mishra risponde al nostro sbigottimento spingendo lo sguardo indietro al XVIII secolo, prima di riportarci al presente. L'autore dimostra che quando nel mondo irruppe la modernità, quelli che non riuscivano a rispettare le sue promesse - libertà, stabilità e prosperità - furono vittime della demagogia. I tanti arrivati in ritardo in questo nuovo mondo hanno reagito in modi orribilmente simili: odio intenso verso nemici inventati, tentativi di ricreare un'epoca d'oro immaginaria e affermazione di se attraverso violenze spettacolari. Fu tra i ranghi dei disagiati che si reclutavano i militanti del diciannovesimo secolo: giovani arrabbiati che diventavano nazionalisti in Germania, rivoluzionari messianici in Russia, operai bellicosi in Italia e terroristi anarchici a livello internazionale. Oggi, proprio come allora, la tecnologia, il mito del perseguimento della ricchezza e l'individualismo hanno spinto molti milioni di persone in un mondo letteralmente demoralizzato, sradicato dalla tradizione ma ancora lontano dalla modernità - con gli stessi terribili risultati.
Questo agile libro spiega in termini semplici e comprensibili il vero funzionamento del sistema bancario tradizionale... L'autore disseziona il sistema bancario tradizionale e ne rivela l'irrisolvibile criticità a fronte della complessità della moderna finanza. Secondo McMillan e la rivoluzione digitale che ha definitivamente messo a nudo i limiti del sistema bancario la cui prossima fine e inevitabile. E infatti la rivoluzione digitale che ha rotto il delicato equilibrio delle garanzie e delle regolamentazioni governative che hanno tenuto sotto controllo il sistema bancario durante l'era industriale. Con l'avvento del digitale si è creato un sistema bancario ombra che ha scatenato il panico e di riflesso la crisi finanziaria del 2007-2008. Ma la tecnologia dell'informazione non solo ha minato l'efficacia della regolamentazione bancaria corrente, ma così facendo ha reso ridondante lo stesso sistema di cui sfruttava le limitazioni. Il libro si conclude poi con una proposta innovativa su come adattare il sistema finanziario alla nostra era digitale.
Avrò mai una pensione? L’Europa ci aiuta o ci danneggia? Chi paga il salvataggio delle banche?
Capire come funziona l’economia è fondamentale se vogliamo comprendere i meccanismi che regolano i rapporti tra noi e lo Stato e prendere le giuste decisioni per la nostra famiglia e per il nostro futuro. Dieci cose da sapere sull’economia italiana di Alan Friedman è un libro scritto con un linguaggio comprensibile, lontano da quello degli addetti ai lavori, indispensabile per tutti coloro che non vogliono essere più strumentalizzati dagli imbonitori della politica. Numeri, cifre e statistiche reali per rispondere con la verità dei fatti a chi promette facili soluzioni, per controbattere ai politici che lanciano proclami e mentono su questioni importantissime: perché l’Italia non cresce più? Perché non crea più posti di lavoro? Perché gli italiani sono i più tassati d’Europa? Di quale politico italiano ci si può fidare di più? Quale futuro dobbiamo veramente aspettarci per il nostro Paese?
Non ci sono ricette sicure per trovare il vero amore: amare ed essere amati, così come amare senza essere ricambiati, dipendono in buona misura dalla sorte. E, tuttavia, non è utile restare passivi di fronte alla sorte, soprattutto quando ciò che porta non rende felici.
È necessario, piuttosto, guardare in faccia il sentimento che vi ha reso immuni al senso di realtà!
Montse Barderi, con grande senso pratico e un punto di vista originale che mescola psicologia e filosofia, vi porterà a ragionare con lucidità sulla relazione che state vivendo e a sbarazzarvi di ciò che vi spinge a perpetuare rapporti nocivi. Troverete un nuovo modo di interagire con voi stessi così da poter costruire legami di coppia sani e duraturi.
Lasciarsi alle spalle un cattivo amore, se è necessario, è l’occasione per iniziare una nuova vita e crescere come individui.