In una caverna presso Melicuccà di Seminara (RC) gocciola dal soffitto un'acqua ritenuta miracolosa. La grotta fu nel Medioevo sede di un monastero rupestre fondato da sant'Elia lo Speleota. Questo monaco, anzi padre di monaci e taumaturgo (T ca. 960) appartenne alla grecità calabrese, fiorente quando quella regione era parte integrante dell'Impero Romano d'Oriente ed era stata linguisticamente, culturalmente e religiosamente ellenizzata. In quel periodo fu anche sede di un monachesimo pienamente inserito per spiritualità, liturgia e organizzazione nell'ecumene "bizantina". Di questo monachesimo italo-greco restano oggi a malapena dei ruderi, ma in compenso molte sono le testimonianze agiografiche, in notevole parte raccolte nell'archimandritato del Salvatore, fondato in età normanna sulla penisola del faro (in glossa phari) del porto di Messina. Un codice qui scritto nel 1308 è l'unico a riportarci la Vita dello Speleota e una raccolta dei miracoli avvenuti alla sua tomba, scritte in greco prima della fine del X secolo da un monaco del suo monastero. Tale testo viene qui pubblicato in edizione critica con traduzione italiana e un commento storico.
Giovanni da Capestrano dedicò la sua esperienza religiosa al progetto di restaurare il "regimen christianorum" a partire dal ristretto territorio degli Abruzzi, che nel '400 era situato ai confini settentrionali del Regno di Napoli, fino ai confini più lontani dell'Europa centrale. Per realizzare tale progetto Giovanni da Capestrano pose al servizio della monarchia pontificia la sua incessante attività di predicatore e scrittore e soprattutto la sua straordinaria formazione giuridica frutto della frequentazione dello Studio perugino sotto la guida del maestro Pietro degli Ubaldi. (dall'introduzione di Andrea Bartocci)
Il libro raccoglie i contributi di Marco Bartoli, Roberto Lambertini, Luca Loschiavo, Jadranka Neralic, Letizia Pellegrini, Diego Guaglioni, Filippo Sedda e del curatore Andrea Bartocci presentati in occasione della Giornata internazionale di Studio tenutasi a Teramo il 17 Aprile 2013
Secondo Michel de Certeau, nel riportare alla luce il passato, la scrittura storica lo seppellisce: gli costruisce una tomba, "nel duplice senso che, attraverso lo stesso testo, onora ed elimina. Il linguaggio ha qui la funzione di introdurre nel dire quello che non si fa più".
Questa raccolta di dodici studi, comparsi nell'arco di quasi quarant'anni, vorrebbe a suo modo onorare figure e e storie lontane: leader carismatici, intellettuali brillanti, polemisti abili e coraggiosi che si sforzarono di creare un'identità originale e una legittimazione teorica per gli Spirituali visti come eredi autentici (figli legittimi) di Francesco. Non solo le polemiche sulla povertà volontaria e sul suo lessico, ma anche concezioni apocalittiche e profetiche, costruzioni storiografiche e agiografiche, traduzioni e riprese di antichi patrimoni ascetici e spirituali greco-orientali, tutto fu pensato in vista della creazione di un modo nuovo e autonomo di conservare e vivere intatto il messaggio di frate Francesco.
Vigilio è stato vescovo della città di Tapso, in Bizacena (nell'attuale Tunisia) verso la fine del V secolo, quando la regione era sotto la dominazione dei Vandali, di fede ariana. Il suo Contra Eutychetem è un'opera composta in difesa della cristologia stabilita nel concilio di Calcedonia. La presente monografia, basata sulla recente edizione critica del testo curata dallo stesso autore, propone un'attenta analisi della teologia di Vigilio: ne ricostruisce l'ambiente storico e letterario in cui essa è inserita e ne tratteggia le coordinate di base; quindi, affronta con completezza i temi propri del calcedonismo latino e si interroga su alcuni elementi di superamento di tale visione cristologica per una possibile apertura in chiave neocalcedonese. Il lavoro così condotto vuole aprire una via latina nello studio della cristologia postcalcedonese, mostrando come anche dopo Calcedonia l'Occidente cristiano sia stato in grado di produrre una significativa riflessione teologica.
La riscoperta di un tesoro teologico: il commento al al Cantico dei Cantici di Aponio. Aponio, vissuto nel V o nel VI secolo, fu autore di un commento al Cantico dei Cantici in 12 libri di cui si propone per la prima volta la traduzione in italiano. Seguendo la tradizione di Origene, Aponio presenta un'interpretazione cristologica del cantico cercando di comprendere come il rapporto tra cristo e la chiesa coinvolga ogni anima e si realizzi nella storia. Sebbene poco conosciuto, Aponio ha influenzato significativamente la teologia latina ispirando numerosi commenti medievali al Cantico dei Cantici e distinguendosi come l'unico autore del suo tempo a seguire la teologia origeniana.
Diadoco di Foticea, V secolo (451-486), appartiene all'era dei grandi padri greci della Chiesa del quinto secolo, fu vescovo di Foticea, nell'antico epiro della Grecia; partecipò al Concilio di Calcedonia nel 451 e probabilmente è morto a Cartagine. È conosciuto per aver traslitterato la filosofia dualistica di Platone nella nuova filosofia, quella cristiana appunto, mantenendo la stessa terminologia platonica. In questo volume, basato sulle opere di san Diadoco di Foticea, emergono i punti salienti di tutto il suo pensiero filosofico-psicologico e mistico-teologico, soprattutto della memoria dell'eros divino. Diadoco di Foticea, da filosofo convertito alla fede cristiana, ha armonizzato le diverse correnti filosofiche dell'antico mondo greco con la nuova filosofia cristiana che può riassumersi nella memoria dell'eros divino, iniziata con i primi padri e continuata con i padri dell'impero romano bizantino. Diadoco è considerato il padre dell'esicasmo e il ponte di comunione tra teologia orientale greca e occidentale latina e successivamente con quella slava. Il suo pensiero ha alimentato la spiritualità di tanti mistici orientali greci e slavi, come Giovanni Climaco, Massimo Il Confessore, Gregorio Palamas, il pellegrino russo ma anche occidentali come Santa Teresa D'Avila, Sant'Ignazio di Loyola ed altri. Prefazione di Pierbattista Pizzaballa.
INTRODUZIONE
1. Vita
Nato a Cesarea in Cappadocia tra il 332 e il 335 da Ernmelia e da Basilio il Vecchio, famoso retore di Neocesarea sul Ponto, ebbe come fratelli maggiori S. Basilio Magno e Naucrazio, da lui ricordato nella Vita S. Macrinae, come fratello minore Pietro vescovo di Sebaste e come sorella S. Macrina iunior. La prima istruzione, d'impronta religiosa, deve essergli stata impartita ad Annesi dalla sorella Macrina; a partire dal 348, prosegui i suoi studi a Cesarea, divenendo « lettore », uno dei primi gradini della gerarchia ecclesiastica. Ma fu soprattutto il fratello S. Basilio Magno, da lui chiamato « padre e maestro » ed « unico maestro », ad influire in maniera decisiva sulla sua formazione. Verso il 355 Basilio, non ancora battezzato, tornò a Cesarea da Atene pieno di entusiasmo per la letteratura classica, e seppe infondere quest'amore anche nel fratello Gregorio, rivelandogli il fascino della retorica di Libanio.
Il giovane Gregorio fu cosi attratto dalla cultura e dalla retorica classica e dalla vita secolare, che nel 359 noti ascoltò l'appello rivoltogli da Basilio — convertitosi intorno al 357 — perché abbracciasse anche lui la vita monastica. Poco più tardi, pur continuando ad esercitare la sua attività di « lettore », sposò Teosebia, dalla quale ebbe forse un figlio. Erano quelli gli anni del regno di Giuliano l'Apostata e della reviviscenza della retorica greca operata da Libanio. L'influenza di quest'ultimo si fece sentire sempre di più su Gregorio: nel 365 abbandonò il suo posto di « lettore » per abbracciare la professione di « retore », suscitando il risentimento di Gregorio Nazianzeno. Gregorio non rinunziò però alla sua fede: la sua più grande aspirazione era quella di realizzare una sintesi tra retorica e Cristianesimo, come già aveva fatto suo padre. Nel 371 S.
Basilio Magno, che nel 370 era divenuto vescovo di Cesarea e che aveva ormai sconfessato l'ascetismo eccessivo di Eustazio di Sebaste, incaricò l'ormai famoso retore cristiano di comporre il De virginitate. Verso la fine dello stesso anno — in ogni caso prima che Gregorio Nazianzeno, nella Pasqua del 372, divenisse vescovo di Sasima — fu nominato vescovo di Nissa, una piccola città della Cappadocia orientale, carica che accettò contro voglia.
Gli studi biblici l'avevano attratto e li vedeva in funzione formativa. Poco si è parlato sull'argomento che merita una particolare cura. La Sacra Scrittura è uno dei cardini per conoscere l'opera del Nisseno. Senza la Bibbia che sembra guidare passo passo la crescita spirituale di Gregorio di Nissa si rischia di cadere nelle solite frasi comuni, come se egli fosse solo dedito alla cultura classica.
Più spirito speculativo che uomo di azione, Gregorio difettava di quelle qualità pratiche che erano pur necessarie ad un vescovo in quei tempi difficili. Se ne rendeva perfettamente conto lo stesso Basilio, che in più occasioni — sia prima che dopo la nomina di Gregorio a vescovo di Nissa — ebbe a rimproverargli la sua eccessiva ingenuità e semplicità, e che nel 375, quando Doroteo gli propose d'inviare Gregorio in missione a Roma presso il papa Damaso, disse di non considerarlo adatto a tale compito. Con ogni probabilità, fu proprio per questa ragione che nell'inverno 375-376 il vicario del Ponto Demostene, un sostenitore degli Ariani, ebbe buon gioco nell'accusarlo di avere dilapidato i beni ecclesiastici; Gregorio riuscì a sottrarsi con la fuga all'arresto ed a ritirarsi in un luogo più tranquillo. Nella primavera del 376 un sinodo di vescovi Ariani fedeli all'imperatore Valente che aveva abbracciato l'Arianesimo, lo dichiarò decaduto dalla sua carica di vescovo, mettendo al suo posto una creatura di Demostene. Solo nel 378, dopo la morte dell'imperatore Valente alla battaglia di Adrianopoli (9 agosto 378), Gregorio poté ritornare a Nissa, dove la popolazione gli riserbò un'accoglienza trionfale.
"Nicea" è diventata una specie di cifra, che sta a indicare tante cose: la "sollecitudine" degli imperatori, un modo di parlare di Dio, il rapporto fra il Vangelo e le sue tante "traduzioni", un sinodo che dà vita a un processo. Perché si tratta di un anniversario audace? Si può leggere la qualità dell'operazione svolta da Nicea e provare ad attualizzarla? Che cosa hanno compiuto i padri conciliari, quale esercizio hanno svolto? Cercare Dio e "dire" la fede è ancora il compito assegnato alla nostra epoca, nella diversità dei contesti storici e culturali.
La ricerca, come suggerito dal titolo, si propone di indagare la dottrina mistica francescana a partire dall’Itinerarium mentis in Deum di san Bonaventura, mettendolo in dialogo con l’apporto di Chiara e Francesco d’Assisi. Sono quindi state affiancate alcune dottrine significative di un altro autore medievale: Meister Eckhart.
Dapprima l’attenzione si concentra sui termini dell’imitatio Christi e dello speculum, per poi passare ai concetti eckhartiani di abgrunt e annihilatio, molto vicini all’abyssus e alle modalità di ricerca della povertà spirituale nel francescanesimo.
Lo scavo analitico consente di chiarire la concezione dell’esperienza mistica di Dio in ambito francescano, specificamente in quello bonaventuriano, illuminato dal contributo offerto dal maestro della mistica renana.
Alessia Brombin è docente di Teologia Spirituale presso la Pontificia Università della Santa Croce e professore associato alla Facoltà di Teologia ortodossa dell’Università di Tbilisi (Georgia). Collabora con Atenei e Istituti teologici romani (Seraphicum, Teresianum, Anselmianum). Dottore in Teologia spirituale con taglio patristico alla Pontificia Università Gregoriana (2022), collabora attivamente con il “Research centre for mysticism and spirituality” di Nijmegen (NL
Un ampio quadro della teologia di Ireneo di Lione, recentemente proclamato dottore della Chiesa per il suo contributo all'unità nella fede, apre la raccolta con l'intento di far conoscere una esemplare sintesi e lezione di metodo teologico. Seguono poi studi su Ambrogio (il paradiso terrestre, la creazione dell'uomo e della donna), Girolamo, Gregorio Magno e Agostino letto dai medievali; completano la raccolta due questioni pastorali: il senso della domenica e l'arte di evangelizzare.
La Summa Theologiae è il trattato più famoso della teologia medioevale, un'opera straordinaria che ha avuto grande influenza sulla filosofia e sulla teologia dei secoli successivi. Concepita come un manuale di studio, utilizza fonti religiose come la Bibbia e i dogmi della Chiesa cattolica insieme a opere di autori come Aristotele e Sant'Agostino d'Ippona. L'opera è divisa in tre parti ed è costituita da articoli composti dalla la stessa struttura. Tommaso, con il suo proposito di trattare la teologia attraverso il procedimento deduttivo proprio della scienza, ci ha consegnato un patrimonio di studi straordinari e senza tempo.
Clero e formazione è un binomio difficile, che Antonio Gerace affronta indagandone le radici in età medievale, a partire dalla fondazione delle scholae. Centri di studio annessi alle cattedrali furono voluti dal Lateranense III (1179) e poi rafforzati nel Lateranense IV (1215) per affermare, per la prima volta, la necessità di un clero alfabetizzato. Le difficoltà contingenti nel raggiungere questo obiettivo determinarono una cospicua produzione di manuali. Fra questi, alcuni in particolare ebbero un lunghissimo successo editoriale. Il volume analizza in special modo quello che divenne un vero e proprio best seller e che fu tradotto in moltissime lingue: il Manipulus curatorum di Guy de Montrochen, capace di sopravvivere persino all'istituzione dei seminari nel 1563.