Pagine coraggiose che affrontano, con onestà intellettuale e parresia, questioni centrali: «Parliamo di politica da cattolici», affermano gli autori, «non scriviamo per offrire soluzioni, ma per raccontare che cosa intendiamo per vita cristiana, per combattere le menzogne che la deturpano, menzogne che a volte ci fanno ridere». Il cattolicesimo non può essere strumentalizzato né da un "ordine civile" né da un "ordine morale", né quando si tratta di far valere le «radici cristiane» né quando ci sono «valori da difendere». La vita cristiana, vita incarnata da Cristo, è fatta di gesti e di parole che rendono possibile la comunione. Non la comunità, sempre capace di inglobare e amalgamare, ma la comunione come articolazione reale e possibile dell'eterogeneo, del diverso. Prefazione di Andrea Grillo.
Nonostante i suoi importanti punti di forza l'Italia presenta fragilità che, oggi più che mai, rischiano di mettere a repentaglio la sicurezza nazionale, la competitività, i livelli di benessere. Le guerre, gli squilibri geopolitici, la frammentazione dell'economia globale, le grandi transizioni in atto - digitale e ambientale - hanno infatti mutato profondamente lo scenario, amplificando gli effetti di alcune storiche debolezze del Paese. Se alcuni divari rispetto ad altre aree del mondo esigono misure europee, ancor più urgenti dopo l'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, altri vanno governati a livello nazionale con nuove politiche. Alcune sono state messe a punto, in particolare con il Pnrr, altre vanno definite. Tutte richiedono, però, un tempo di attuazione spesso più lungo di quello «della politica e dei governi». In questa prospettiva, Roberto Garofoli e Bernardo Giorgio Mattarella mettono in luce quanto sia decisivo poter contare su un sistema di governo rafforzato e su una macchina amministrativa più efficiente, all'altezza delle sfide da condurre e in grado di dare continuità alle riforme necessarie. Una riflessione che gli autori sviluppano per i principali settori da cui dipendono sicurezza e competitività: politica estera, per consolidare la grande vocazione italiana all'export, attrarre investimenti, importare materie prime strategiche; politiche energetiche, per ridurre la dipendenza dall'estero, oltre che i prezzi, tra i più alti in Europa; misure per l'approvvigionamento idrico, indifferibili a fronte di sprechi di acqua non più tollerabili; difesa e sicurezza nazionale, per fronteggiare le crescenti minacce; politiche per il sistema industriale, comprese quelle volte a regolare il rapporto tra Stato e mercato, a coinvolgere i privati nella realizzazione delle infrastrutture critiche, a proteggere gli asset strategici del Paese; politiche economiche, dirette fra l'altro a rafforzare il contrasto all'evasione e a razionalizzare la spesa pubblica, anche nel sistema sanitario, afflitto da perduranti inefficienze oltre che da diseguaglianze profonde; politiche educative, ancor più essenziali in una fase in cui i lavori cambiano repentinamente. Non meno rilevanti alcuni fattori trasversali: produzione e attuazione delle leggi, funzionamento e digitalizzazione dell'amministrazione, giustizia. Per ciascun settore il libro esamina le fragilità italiane, le ragioni per le quali è necessario oggi governarle, le politiche e gli adattamenti istituzionali da valutare.
ll sommario del numero 1/25 di Limes dedicato alla fine del "mondo basato sulle regole" e alle crisi in corso correlate alla Guerra Grande.
È giunto il momento di porsi domande molto più profonde su cos'è l'Unione e su ciò che dovrebbe diventare I leader europei hanno deciso: l'Ucraina, la Moldavia, la Georgia e tutti i paesi dei Balcani occidentali entreranno nell'Unione europea. Le buone argomentazioni non mancano ma, di fronte a Putin determinato a distruggere tutto ciò che rappresenta, l'UE non ha margine di errore, soprattutto dopo l'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Tuttavia il processo è stato avviato senza un piano preciso né un accordo sugli elementi essenziali. Lungi dal rafforzare l'UE, questa decisione potrebbe ostacolarne l'azione, privandola al tempo stesso della sua efficacia. È una corsa a capofitto mentre l'Europa non ha ancora una politica estera, una difesa unificata, un bilancio degno di questo nome. Inoltre, questi leader non hanno imparato nulla dall'illusione turca vent'anni fa o dalla Brexit? In Europa nulla è mai scontato, soprattutto quando il nazionalismo ritorna prepotente. Non è più il momento di fingere che l'unione fa la forza senza prima occuparsi di creare unità.
Tra il 6 e il 9 giugno in tutta Europa le urne saranno aperte per eleggere il nuovo Parlamento europeo. I partiti scaldano i motori: scelgono nomi, avanzano candidature, pensano tattiche. E i programmi? Il vento del nazionalismo e la diffusa resistenza a credere e battersi per una vera alternativa in quasi tutti i paesi membri rischiano di condurre a proposte di scarso respiro, timide nel-l'affrontare le sfide della doppia transizione, digitale e ambientale; ambigue, al meglio, nei confronti dei migranti; inadeguate a contrastare il nuovo disordine mondiale, le guerre e anche le tante ingiustizie ereditate. Di fronte a questo scenario il Forum Disuguaglianze e Diversità ha deciso con questo volume di scendere in campo. Non è una discesa nell'arena elettorale. È l'offerta di alcuni tratti dell'Unione europea che servirebbe alla giustizia sociale e ambientale, un contributo informativo e di confronto, un metro per giudicare - prima e dopo le elezioni - programmi, partiti, candidature ed eletti, una bussola per il monitoraggio civico delle azioni che l'Unione realizzerà nella prossima legislatura. L'Unione auspicata in questo libro è un luogo di promozione del welfare universale, non penalizzato dall'austerità; dove la conoscenza e i dati siano accessibili e a disposizione delle comunità; dove la trasformazione ecologica sia accelerata nell'interesse prima di tutto dei più vulnerabili per realizzare un modo più giusto di vita e di lavoro e dove politiche pubbliche e governo siano democratizzati. Un'Europa che prenda consapevolezza del proprio ruolo fondamentale nei processi migratori e che agisca come costruttore di cooperazione e pace.
"Giovanni Falcone era il più importante, il più capace, il più famoso tra i giudici che hanno combattuto la mafia. Per questo nello stesso giorno in cui fui nominato ministro della Giustizia lo chiamai e gli affidai l'incarico più importante del ministero, quello di direttore degli Affari Penali. Insieme, abbiamo pensato e organizzato la più organica, determinata ed efficace strategia di contrasto a Cosa Nostra. La mafia reagì uccidendo prima Falcone poi Borsellino con una violenza terroristica più efferata e rabbiosa di quella armata in precedenza contro i molti giudici, poliziotti, uomini politici che l'avevano contrastata. Pur tra tante affinità, la storia di Falcone è diversa da quella degli altri uomini dello Stato che hanno combattuto la mafia perché solo a Falcone è capitato di essere perseguitato in vita non solo da Cosa Nostra, ma anche di essere avversato da colleghi magistrati, dalle loro istituzioni come il CSM e dall'Associazione Nazionale Magistrati, nonché da politici e da giornalisti di varie fazioni. Ancora oggi di quest'altra faccia della luna poco si sa perché poco è stato detto. Fece eccezione l'amico più caro di Falcone, Paolo Borsellino: 'La magistratura che forse ha più responsabilità di tutti cominciò a far morire Giovanni Falcone ben prima che la mafia lo assassinasse a Capaci'. Da allora sono passati trent'anni. Per rispetto di Falcone, dei ragazzi che non hanno vissuto quel tempo, degli adulti che non lo hanno capito o lo hanno dimenticato, sento il dovere di tornare a riflettere per raccontare le verità di allora e quelle più recenti che ho appreso insieme al ruolo di chi, nel bene e nel male, ne fu protagonista dentro le istituzioni dello Stato, nella società e nel mondo dell'informazione." (Claudio Martelli).
Nel Cinquecento si verificarono quattro eventi rivoluzionari: la scoperta dell'America; l'invenzione della stampa; l'invasione musulmana ai confini d'Europa e il primo disordine finanziario globale. L'asse geopolitico dell'Europa si spostò dall'area mediterranea a quella atlantica. Era il Mundus furiosus, come fu definito. Oggi viviamo in un'epoca altrettanto traumatica a causa di quattro fenomeni paralleli: la «scoperta» dell'Asia e principalmente della Cina; l'affermazione della Rete che ci spinge verso una modernità artificiale; la guerra sul fronte orientale, dall'Ucraina al Medio Oriente, che è un unico attacco al nostro mondo occidentale. Mentre il rischio di un disordine finanziario internazionale è alle porte a causa dell'enorme massa di debito accumulata. Dopo aver voluto e fatto la globalizzazione, oggi troppi dei nostri «statisti» attoniti si muovono su questo scenario come «turisti della storia». Con una spiazzante lettura politica ed economica, Giulio Tremonti spiega quanto sia unico il momento che stiamo attraversando e illustra con lucidità la posta in gioco per l'Occidente e per l'Europa.
Il Manifesto di Ventotene, scritto durante la Seconda guerra mondiale, immaginava un'Europa unita, capace di superare le divisioni nazionali e garantire pace e giustizia attraverso una federazione di Stati. Nei decenni successivi è iniziata la faticosa costruzione di quella che è oggi l'Unione europea, che però non sembra affatto avere le sembianze di quella immaginata da Rossi e Spinelli. Sono diverse le forze che minacciano quel progetto, dai rigurgiti nazionalisti agli interessi delle grandi corporation, passando per le guerre che lambiscono quasi direttamente i paesi dell'Ue. Allora è lecito chiedersi: quel sogno è ancora vivo? L'Europa può tornare a essere quel faro di pace, giustizia e libertà sognato da Rossi e Spinelli?
Questo volume raccoglie gli scritti in onore di Rocco Pezzimenti, professore di Storia delle dottrine politiche e di Filosofia politica all'Università Lumsa di Roma. Nonostante abbia svolto per quasi cinquant'anni l'insegnamento accademico, sarebbe riduttivo immaginarlo semplicemente dietro a una cattedra. Nel corso della sua lunga carriera di studioso ha ricoperto incarichi di prestigio presso importanti centri di ricerca scientifici e, ancora oggi, svolge ruoli direttivi presso istituzioni culturali rilevanti. I suoi amici e colleghi, provenienti da diverse università, appartenenti a settori scientifici differenti, hanno voluto collaborare per fargli questo dono e, di conseguenza, offrire al pubblico alcuni spunti preziosi della loro ricerca attuale.
La rielezione di Trump il 5 novembre 2024 ha messo in scena un riallineamento nella politica americana in cui il cattolicesimo gioca un ruolo unico e particolare, ben più complesso dello "scisma liquido" in atto da tempo e amplificato dalle reazioni ostili, fin dall'inizio, al pontificato di papa Francesco da parte dell'episcopato, del clero e del laicato militante di tendenze conservatrici e tradizionaliste. In America c'è ancora una fame di spiritualità, di comunità e di Dio che viene sfamata in modi nuovi anche sulla scena politica. Il movimento populista di Trump è una risposta - semplicista, violenta e vendicativa quanto si vuole - non solo alle incertezze economiche e sociali dell'America. È anche una risposta a quella ricerca di senso che emerge da un ordine del mondo, anche religioso, ecclesiale e cattolico, visibilmente alle corde. C'è chi vede in Trump un messia, e chi un anticristo. In ogni caso, è una storia che riguarda non soltanto l'America o i cattolici americani.
Si è soliti ripetere la celebre affermazione di Raymond Queneau che «i popoli felici non hanno storia». Questo sentire comune non solo è storicamente falso ma è il vero risultato del genio elvetico, capace di convincere il mondo di essere un popolo senza storia, giustificando così la propria esistenza come eccezionale, al di sopra delle parti e al di fuori del tempo. In realtà, la Svizzera ha, forse più di molti Stati, un'appassionante storia europea fatta di violenti conflitti che si manifestano nell'attuale eterogeneità del paese. Proprio queste lacerazioni hanno portato nei secoli all'invenzione di una tradizione e di un'identità comuni, di cui la neutralità permanente è progressivamente divenuta il collante. Così un popolo aggressivo e brutale, 'armatissimo' (come scrive Machiavelli) e bravo come nessun altro in Europa a fare la guerra, muta pelle e si immagina come una placida isola di pace. Posta di fronte a decisioni capitali per la sua stessa esistenza, la Svizzera conosce un conflitto per il controllo del passato che diventa il campo di battaglia privilegiato e la posta in gioco essenziale per ipotecare le scelte future. La Svizzera attuale non pare infatti più in grado di uscire dall'immaginario eterno che lei stessa ha creato.
Come fare uscire dall'irrilevanza politica e culturale l'area cattolica italiana? È, questa, una riflessione centrale che interpella non soltanto l'impegno pubblico dei cattolici ma anche, e soprattutto, la qualità della democrazia italiana. Se il pluralismo politico dei cattolici è un dato largamente e storicamente acquisito, è altrettanto vero che l'assenza della tradizione e del pensiero cattolico popolare e sociale nel nostro paese impoverisce l'intera politica. E questo non solo per una ragione strettamente legata alla storia politica e democratica del nostro paese, ma anche perché il nuovo ed aggressivo bipolarismo italiano non può cancellare una presenza che ha contribuito, sin dal secondo dopoguerra, ad accompagnare e consolidare il cammino della nostra democrazia. Tocca ai cattolici, adesso, che hanno una spiccata vocazione alla politica e all'impegno pubblico, riscoprire le ragioni fondanti di una tradizione che continua ad essere attuale e moderna nonché fortemente contemporanea. Una cultura che si rende necessaria anche per rilanciare quella "politica di centro" che resta una risorsa straordinaria ed indispensabile per la salute del sistema politico italiano.