Il percorso che propone l'autore prende le mosse dalla crisi del matrimonio così come la conosciamo ormai da diversi anni. In particolare pone al centro la questione della validità sacramentale del consenso emesso dai nubendi. Uno studio che prende le mosse da una questione concreta e che vuole ritornare, dopo aver interrogato il pensiero antropologico di Giovanni Paolo II, ad illuminare l'annuncio di un amore che chiama ad un unione fedele ed esclusiva gli uomini del nostro tempo.
Chiesa madre e pastora, popolo fedele di Dio, spiritualità popolare, misericordia, tentazioni ecclesiali, neo-pelagianesimo e neo-nosticismo, riforma, sinodalità e sinodo, gioia del vangelo, letizia dell’amore, gaudio della verità, processi da avviare, periferie esistenziali, umanesimo solidale, ecologia integrale, interconnessione e interdipendenza, dialogo, relazione, fraternità e fratellanza: sono le tematiche più significative nell’insegnamento di papa Francesco, le chiavi di lettura tramite cui egli interpreta il mondo odierno, il cambio d’epoca – come lo chiama – cui stiamo assistendo, nonché le sfide più urgenti e promettenti al contempo sia per la riflessione teologica sia per la prassi pastorale, oltre che per l’esperienza credente degli uomini e delle donne di questo nostro tempo. Intrecciate insieme, esse costituiscono l’ordito e la trama di una sorta di arazzo, la cui estensione si va dimostrando sempre più vasta e omnicomprensiva, inglobando la realtà ecclesiale innanzitutto, ma pure sporgendosi oltre i confini della Chiesa stessa e mostrando pertanto una portata universale, arricchita da ricadute ecumeniche, interreligiose, culturali, sociali e politiche. Il nucleo sorgivo di una tale concezione, complessa e articolata, è da individuare in un peculiare fatto relazionale, rappresentato dalla reciprocità. La quale, radicata teologicamente nell’orizzonte dell’agápē, si traduce nella «mistica del vivere insieme», vale a dire del sostenersi a vicenda, del sorreggersi in braccio gli uni con gli altri, del camminare abbracciati.
A Sesto, in Val Pusteria, Christine Leiter, mamma e studiosa di teologia, ha celebrato lo scorso ottobre 2019 il primo funerale officiato da una donna in una chiesa cattolica. Nella diocesi di Cefalù, il vescovo ha affidato la parrocchia di San Paolo Apostolo a un gruppo di laici. Non sono come si potrebbe immaginare bizzarrie o mosche bianche. Il Vaticano la scorsa estate ha dato mandato alle parrocchie di ricorrere ai laici per la celebrazione di funerali, matrimoni e battesimi qualora non vi fosse la disponibilità di un sacerdote. L'Italia dei mille campanili, in cui ogni quartiere di ogni città, ogni paesino per quanto sperduto ha goduto della presenza stabile di un parroco, è destinata a diventare un ricordo: la scarsità di vocazioni sacerdotali e l'età media sempre più avanzata dei sacerdoti porterà nei prossimi anni la Chiesa a rivedere la sua organizzazione territoriale, spingendo i fedeli a forme inedite di partecipazione alla vita delle parrocchie. In questo libro Domenico Agasso, vaticanista del quotidiano «La Stampa», ci conduce in un viaggio in questa Italia senza pastori, sulle vie dello Spirito che nella sua "fantasia" apre strade nuove in quello che a tutti appare un deserto.
Certamente è il Signore che semina la Parola, ma ha bisogno di contadini che si prendano cura della terra e del seme! La comunità educante, i catechisti in particolare, sono i contadini del campo loro affidato. Il vissuto dei ragazzi, la terra, è una dimensione fondamentale della catechesi, che si intreccia costantemente con le altre dimensioni: la Parola di Dio, la preghiera e la liturgia, e il tessuto vitale di una comunità cristiana. Tutti gli educatori sono chiamati ad avere uno sguardo limpido, un ascolto attento e costante, un cuore aperto e fiducioso verso i ragazzi per intravedere, interpretare con grande sensibilità e accogliere costantemente il loro vissuto, come il terreno buono nel quale gettare e far crescere il seme della Parola. «Una comunità educante e, in essa, catechisti e catechiste seminano la Parola: alla maniera di Gesù. E, insieme, uniti a Gesù, sono Parola seminata nel vissuto dei ragazzi.» (Mario Antonelli)
Il Giubileo ha sempre rappresentato nella vita della Chiesa un evento di grande rilevanza spirituale, ecclesiale e sociale. «Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza»: questa espressione potrebbe racchiudere tutta la ricchezza della Lettera che Papa Francesco ha scritto per indire il Giubileo Ordinario del 2025. «Per tutti, possa essere un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, "porta" di salvezza; con Lui, che la Chiesa ha la missione di annunciare sempre, ovunque e a tutti quale "nostra speranza"». Il Giubileo, quindi, si apre alla luce dell'incontro con la "Speranza che non delude" perché offre la certezza della vicinanza e presenza del Signore. Ogni venticinque anni viene proclamata una speciale espressione del perdono di Dio che la Chiesa fin dal 1300 ha chiamato "indulgenza". L'esperienza del perdono che l'indulgenza offre merita di essere ben articolata e compresa per evitare di equivocare l'intero messaggio giubilare. Insieme all'indulgenza, il giubileo si è caratterizzato sempre per il pellegrinaggio alla tomba degli apostoli e alla Porta Santa. Anche questa dimensione è fortemente ripresa dalla Bolla da cui emerge il valore simbolico del pellegrinaggio.
Passare da una «pastorale del fare» e «dei servizi» a una «pastorale di relazioni», dal salone parrocchiale agli ambienti di vita, dislocandosi nei luoghi dove vive la gente. In altri termini, superare una mentalità prevalentemente incentrata sull’organizzazione dell’esistente per favorire un approccio «generativo» che ha a cuore prima di tutto le persone e cerca di raggiungerle nelle dimensioni degli affetti, del lavoro e del riposo, delle fragilità, della tradizione e della cittadinanza.
È la proposta formulata nel libro da monsignor Semeraro, sostenitore di una pastorale parrocchiale capace di comprendere le domande e le possibilità di annuncio del Vangelo in una stagione che chiede una sorta di «transumanza» verso una regione dove le azioni ecclesiali siano più esplicitamente modulate sull’esperienza di vita delle persone e sui loro passaggi vitali.
«Generatività – spiega l’autore – è, in concreto, ricevere qualcosa dal passato e accoglierlo, facendo nascere qualcosa nel presente per trasmetterlo alla generazione successiva. È ben più della semplice consegna di un “testimone”, di un materiale “ricevere/trasmettere”. Qui si tratta di un accogliere una realtà viva e farla crescere perché sia trasmessa come dono vitale».
Durante il Concilio Vaticano II, i padri conciliari, nell’atto di interessarsi alla formazione sacerdotale, hanno espresso la consapevolezza "che l'auspicato rinnovamento di tutta la Chiesa dipende in gran parte dal ministero sacerdotale animato dallo spirito di Cristo" (Optatam Totius, Proemio). Pertanto, la riflessione teologica, come servizio alla comprensione del sacerdozio, in un tempo in cui il cristianesimo sembra vivere una notevole crisi, assume una certa rilevanza. Tale consapevolezza sta al cuore di questo nostro lavoro. Occorre domandarsi seriamente se si possa andare oltre ai due riduzionismi teologici che spesso hanno condotto ad una comprensione ridotta del sacerdozio ministeriale; ovverosia quello cristomonista e quello ecclesiominista. Partendo dallo studio dei testi di J. Ratzinger e di E. Schillebeeckx queste pagine vogliono provare a formulare una risposta che possa tenere conto di entrambe le scuole di pensiero. Tale strada e stata percorsa assumendo le poco praticate prospettive escatologica e quella biblica di "testimonianza" offerta dagli Atti degli Apostoli (1,7).
Giuseppe Fazio (Cosenza, 1992), nel 2010 ha conseguito la maturità classica presso il Seminario Minore della Diocesi di San Marco Argentano. Dal 2010 al 2020 è stato alunno dell’Almo Collegio Capranica e della Pontificia Università Gregoriana dove ha conseguito i baccellierati in filosofia (2012) e teologia (2015), la licenza (2017) e il dottorato (2021) in teologia dogmatica. Nel 2018 è stato ordinato presbitero.
Attualmente è docente incaricato di teologia sacramentaria presso I’Istituto Teologico Calabro e di Cristologia e trinitaria presso la scuola diocesana di formazione per laici. Ha pubblicato Il sacerdozio in J. Ratzinger: un'identita in relazione, in Rivista di Teologia dell'evangelizzazione, 47 (2020), 157 -1706.
«Il malato lascia che il suo corpo venga toccato dagli operatori, ma quante volte vorrebbe impedire, trattenere il loro movimento, e dire: "Non mi toccare, non mi toccare in modo brusco, non mi toccare come se il mio corpo fosse qualcosa di estraneo al tuo agire, come fosse un attrezzo"? [...] Così è maturato il tema: "Feriti dal dolore, toccati dalla grazia". Diventiamo operatori di salute - tanto in ambito sanitario-professionale quanto in quello pastorale - quando la ferita dell'altro ci interpella; se vogliamo prenderci cura di tutta la persona malata è necessaria quella grazia particolare che proviene dal sentirsi veramente provocati dalle situazioni che incontriamo.» (dall'Introduzione)
Il motivo che spinse Giovanni XXIII a convocare il Concilio Vaticano II fu l'aggiornamento pastorale. Questo è stato considerato non tanto come una riforma ecclesiale, ma come una vera e propria nuova inculturazione della fede. L'importanza di questa distinzione implica la considerazione che l'inculturazione della fede sia presa in carico nella sua specificità di maggiore ampiezza di azione e complessità di processi rispetto alla riforma della Chiesa. Un primo interrogativo che si pone questo studio è sulla consapevolezza della Chiesa italiana in ordine a questa nuova inculturazione della fede occidentale. Un secondo interrogativo riguarda il confronto che tre distinti modelli pastorali, presenti nello scenario ecclesiale italiano, devono avere con alcuni punti fermi della attuale post-modernità. Emerge un cristianesimo permanentemente sinodale, che, finalmente abbandonata la forma della cristianità, abbraccia la sfida minoritaria nel suo confronto con la città, ma non rinunzia alla sua dimensione popolare e non si relega a posizioni elitariste.
Il titolo di questo libro, tratto dal Vangelo di Marco (Mc 4,27), indica, attraverso parole di Gesù stesso, che il seme della vita cristiana, posto dal Signore nelle nostre anime, cresce e si sviluppa al di là di ogni nostra comprensione. Ciò non avviene, tuttavia, a prescindere dalla nostra libertà, o addirittura contro di essa, perché è proprio a partire dal nostro libero arbitrio che Dio può edificare in noi l'edificio della vita spirituale. Compito e risposta dell'uomo è assecondare liberamente questa azione di Dio, non ponendo ostacoli alla sua opera. Gli effetti di questa risposta umana sono assai più profondi di quanto possiamo comprendere e perfino sperare. La grazia di Dio trasforma l'uomo in Cristo come, egli stesso non lo sa, ma sempre facendo leva sulla sua libera collaborazione. Questo libro cerca di evidenziare i principi più rilevanti del lavoro di formazione cristiana, offrendo alcune linee guida a chi ha la responsabilità di accompagnare le persone verso una vita cristiana più piena. Si rivolge, quindi, essenzialmente ai formatori. Ma allo stesso tempo, mutatis mutandis, può risultare utile anche ai destinatari stessi della formazione. I primi tre capitoli hanno un carattere più teorico e affrontano alcune nozioni fondamentali relative alla formazione, alla libertà e alla fedeltà, per poi soffermarsi sui concetti di volontà e volontarismo. Conclude l'aspetto teoretico una sintesi di idee sul concetto di virtù. Il quarto capitolo, invece, ha un aspetto eminentemente pratico e propone quattro linee operative da seguire nel percorso di formazione.
Punto di riferimento insostituibile per la teologia cattolica contemporanea, la rivista Concilium delinea la mappa delle domande più pressanti che l'attualità pone alla riflessione teologica. E costringe la fede cristiana non solo a confrontarsi con il discorso pubblico, ma anche a impegnarsi nel dialogo con le prospettive specifiche delle diverse confessioni cristiane. Per la profondità dei contenuti, oltre che per l'ampiezza di respiro e la capacità di penetrazione intellettuale, Concilium riesce così a fornire risposte innovative e di convincente solidità alle questioni più importanti che si pongono alla teologia.
Oggi l’annuncio del Vangelo richiede di guardare nuovamente la realtà con occhi innamorati dell’umanità, che soffrono e patiscono insieme a chi soffre, per costruire un percorso in due tappe: dapprima farsi prossimo, per provare a rispondere – nella comunione – alla domanda di senso di fronte alle provocazioni che scaturiscono dalla dura realtà della malattia, della disabilità e della morte, nei diversi contesti (domanda che può traslucere in uno sguardo più che in mille parole); poi, per guardare insieme, come l’apostolo Giovanni, al di là di una tomba vuota, e intercettare con lo sguardo una prospettiva diversa, la pienezza della vita umana in Dio, anticipata e conosciuta nella fede. È uno sguardo aperto alla trascendenza quello capace di vedere il volto di Cristo nella carne sofferente del malato, e quindi capace non solo di entrare nella storia, e possibilmente di cambiarne le storture, ma di farla diventare anche storia di salvezza per ciascuno.