L'archivio di Babatha - piccola possidente giudea vissuta agli inizi del II sec. d.C. - è costituito da documenti in greco, aramaico e nabateo. Al momento della scoperta nei primi anni 60 del secolo scorso, i documenti si trovavano nella borsa che Babatha aveva portato con sé in un antro del Deserto di Giuda, ove si era rifugiata e aveva trovato la morte nei torbidi connessi con la rivolta di Bar Kokhba (132-135 d.C.). Principalmente inerenti a transazioni economiche e alle vicende legate alla tutela del figlio Yehudah, i documenti consentono uno sguardo unico sulla vita della donna e sui conflitti della società in cui visse, travagliata da profonde trasformazioni giuridiche e amministrative, come anche sociali e culturali. Alla traduzione in italiano dei documenti dell'archivio e del contratto matrimoniale di Babatha, il volume affianca i testi originali in greco e aramaico, preceduti da un'introduzione approfondita in cui si presenta l'origine e il contesto della scoperta, lo stato degli studi, le caratteristiche dell'archivio e dei singoli documenti alla luce delle indagini.
Nato ad Amsterdam nella prima metà del Seicento, Mošèh Zacuto trascorse gran parte della propria vita in Italia, prima a Venezia e poi a Mantova, dove rimase fino alla morte nel 1697. Rabbino, cultore della mistica ebraica (la cosidetta cabbalà), esperto di giurisprudenza talmudica e finissimo poeta, la sua figura riassume i diversi poli geografico-culturali che costituirono l’esperienza ebraica della prima età moderna. Autore prolifico, Zacuto ha lasciato un’opera imponente e variegata, tuttora in parte manoscritta. Al suo periodo italiano risale anche la composizione del Toftèh ‘arùkh (L’inferno allestito), un lungo poema drammatico dedicato alla descrizione, in accesi toni coloristici, dell’oltretomba ebraico e delle pene che attendono i malvagi nella gehènna. Scritto in un linguaggio di straordinaria complessità e macabra suggestione, traboccante di astrusi riferimenti cabbalistici, L’inferno allestito si proponeva in realtà scopi didascalici e di moralizzazione, assai simili a quelli perseguiti, in ambito cristiano, dalla vibrante oratoria sacra di epoca controriformista. Vagamente ispirato all’Inferno dantesco, il poema di Zacuto si collocava alla confluenza tra la cultura ebraica tradizionale e le tendenze letterarie e intellettuali europee, contribuendo a consacrarne l’autore tra i più alti esponenti della poesia ebraica di età barocca.Il volume è curato da Michela Andreatta che insegna lingua e letteratura ebraica presso la University of Rochester negli Stati Uniti. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Gersonide, Commento al Cantico dei Cantici nella traduzione ebraico-latina di Flavio Mitridate. Edizione e commento del ms. Vat. Lat. 4273 (cc. 5r-54r) (Olschki, 2009).
I primi versetti della Genesi costituiscono da sempre un'arena di scontro per esegeti, filosofi e mistici. Tutto ruota intorno all'oggetto d'indagine della teodicea, quella branca della teologia che studia l'origine del male: si tratta di una realtà presente nella creazione e addirittura in Dio? Preesiste al bene, così come le tenebre preesistono alla luce? È una scorza dura che protegge un frutto succoso dagli attacchi di chi lo vuole distruggere? In antichi testi ebraici si legge che Satana fu il primogenito di Dio, o che il primogenito di Adamo, Agrimas, potenza primordiale malvagia, prese in moglie una lilit, una demonessa, la quale gli generò novecentomila figli che avrebbero invaso il mondo e imposto la loro supremazia se non fosse intervenuto Matusalemme a sterminarli con una spada magica. La storia della generazione del male da un principio positivo appare già nel IX secolo in un passo del vescovo Agobardo di Lione, dove si attribuisce agli ebrei la credenza in un Dio il quale, seduto sul suo trono sorretto da quattro bestie in una sorta di grande palazzo, «fa pensieri superflui e vani che, data la loro inanità, si trasformano in demoni» – una formulazione destinata a riverberarsi in molte forme della tradizione cabbalistica medioevale. Basandosi sull'analisi di testi perlopiù ignoti, ignorati o fraintesi dalla ricerca contemporanea, Moshe Idel indaga in pagine dense e coinvolgenti i processi che portarono all'adozione nel giudaismo di tradizioni dualistiche iraniche o gnostiche e all'elaborazione di gerarchie ontologiche in cui i due princìpi opposti di bene e male sono comunque intesi come entità subordinate al loro creatore. E solo di rado il male appare in forme diaboliche, perché in fondo esso deve la sua vitalità alle scintille di Dio che vi si trovano incluse, senza le quali sarebbe incapace di agire o addirittura di esistere.
Il volume mette a disposizione del lettore italiano tutte le preghiere recitate ogni giorno dagli ebrei che seguono il rito sefardita o spagnolo, integrate dalle varianti del rito italiano e, parzialmente, di quello ashkenazita o tedesco.La ricchezza dei testi è già di per sé prova inconfutabile di come la preghiera costituisca l'anima d'Israele, in quanto popolo eminentemente sacerdotale. Nei suoi testi liturgici si rispecchiano il pensiero, la consapevolezza dell'elezione divina, le speranze, l'intero mondo spirituale.La preghiera quotidiana d'Israele si suddivide in tre momenti obbligatori che, in tutti i riti ebraici, scandiscono la giornata: la preghiera del mattino, la più ampia della liturgia giornaliera, la preghiera del pomeriggio e la preghiera della sera.A questi tre momenti si aggiungono le preghiere che si consiglia di recitare individualmente appena prima del riposo (un po' come la compieta della tradizione cristiana) e soprattutto le benedizioni che, in varie occasioni, devono essere recitate in lode al Signore. Tra esse emerge per rilevanza la «Benedizione per il pasto», obbligatoria ogni volta che la famiglia si riunisce attorno alla mensa.
Raccontando la lunga storia dell'odio verso gli ebrei e le sue metamorfosi fin nella contemporaneità, Taguieff delinea un panorama, articolato e documentato, della "giudeofobia", termine che predilige rispetto a quello largamente diffuso, ma a suo parere ambiguo e fuorviante, di "antisemitismo". Dall'antiebraismo religioso cristiano al moderno antisionismo radicale, dalla giudeofobia antireligiosa dell'Illuminismo a quella anticapitalistica e rivoluzionaria del socialismo delle origini, dall'antisemitismo in senso stretto, razziale e nazionalistico, alla "demonizzazione dello Stato d'Israele", l'autore traccia la genealogia e la tipologia di pregiudizi, comportamenti, pratiche, ideologie e modi di pensare che continuano ad alimentare il mito negativo dell'"ebreo".
"L'ebraica parola Cabala vuol dire tradizione ricevuta; e con essa i Rabbini indicano la legge tramandata oralmente agl'Israeliti fin dagli antichissimi tempi. Più particolarmente poi questa parola è riservata a quel complesso d'insegnamenti mistici o ascetici, che dirigono gl'Israeliti nelle loro preghiere e nelle loro meditazioni. Il più splendido maestro di Cabala fu nel secondo secolo dell'era cristiana il Rabbino Simeone Ben Yohhaï: e le sue lezioni vennero raccolte nel libro intitolato 'Zohar', che vuol dire chiarezza. Dal 1843 il Dott. Franck nel suo libro 'La Kabbale' pretese di mostrare che i cabalisti ebrei son tutti panteisti, e che il fondo della Cabala è il panteismo; e ciò per procacciare a questo sistema un sostegno non dispregevole. Nel libro del signor Drach, orientalista insigne, si dimostra evidentemente che quell'imputazione è onninamente falsa, e che essa potè essere sostenuta dal Dott. Franck, perché in luogo di ricorrere ai testi ebraici più accreditati dei libri cabalistici, ricorse a tradizioni errate e a citazioni difettose. Questo opuscolo del Dott. Drach nella sua brevità ha grande forza di raziocinio, e suppone una conoscenza profonda della lingua e della erudizione ebraica."
Fonte di antichissima sapienza o falso ben congegnato? Un'opera dall'intensissima forza contemplativa e letteraria che da più di sette secoli custodisce il proprio mistero. Frode di imbroglioni, lo definì l'Ottocento positivista. Libro santo e antichissimo lo credono, ancora oggi, gli ebrei ortodossi di tutto il mondo. Ai cabbalisti cristiani, dal Rinascimento al tardo Romanticismo, il Sefer ha-zohar (Il libro dello splendore) ha offerto materiale di propaganda missionaria, grazie alle profezie cristologiche che vi sarebbero adombrate. A storici del pensiero e antropologi appare come il prezioso documento di una rarefatta fenomenologia religiosa. A grandi scrittori come Proust e Borges è sembrato un'inesauribile fonte di racconti e scenografie cosmiche. In questo deposito di arcani ognuno ha trovato ciò che cercava, anche la ricetta della felicità.
Questo volume di H. G. M. Williamson si pone come complemento all'introduzione all'ebraico biblico di T.O. Lambdin, offrendo le Soluzioni commentate agli esercizi. In genere sono ben conosciuti i vantaggi e gli inconvenienti di un volume di soluzioni per una grammatica didattica. Nel caso dell'opera di Williamson, tuttavia, sono senz'altro prevalenti i benefici. Per chi ha intrapreso lo studio dell'ebraico biblico, il volume offre, da una parte, un ampliamento di alcune questioni grammaticali e sintattiche trattate da Lambdin, e, dall'altra, permette la verifica continua ed autonoma dei progressi nell'apprendimento.
Il 6 marzo 1982 Giovanni Paolo II esortò i delegati delle conferenze episcopali a presentare "gli ebrei e l'ebraismo non solo in maniera onesta e obiettiva, senza alcun pregiudizio e senza offendere nessuno, ma ancor più con una viva coscienza del patrimonio comune". Dopo secoli di odio, ebrei e cristiani tornavano a essere fratelli. Da allora la Chiesa ha percorso tanta strada, ma ancora di più resta da farne per un'autentica teshuvà, per un "ritorno a Dio" che sia sinonimo di pentimento, all'interno di una rinnovata e puntuale catechesi. Giuseppe Altamore ripercorre questa complessa vicenda storica e culturale soffermandosi innanzitutto sulla figura di Rabbi Yehoshua ben Joseph (Gesù), un "ebreo marginale" secondo la celebre definizione di J.P. Meier, per poi allargare il discorso al ruolo di san Paolo (Saulo) e a quello di Marcione - l'iniziatore nel II secolo della tragica contrapposizione dei due monoteismi, il cui pensiero è "una delle grandi tentazioni dell'età moderna", come ha detto Benedetto XVI - fino ai più recenti sviluppi del dialogo ebraico-cristiano di cui il cardinale Martini è stato uno strenuo fautore e che oggi è proseguito, tra gli altri, da intellettuali quali il rabbino Giuseppe Laras, Antonia Arslan, Vittorio Robiati Bendaud, Paolo De Benedetti e Amos Luzzatto, che dialogano qui con Altamore in una serie di illuminanti interviste.
Cosa significa essere un musicista ebreo nel mondo cristiano? In che modo l'ebraismo ha influenzato o condizionato la vocazione di un compositore ebreo? Chiaramente non c'è una risposta univoca a tali interrogativi. A partire dal Rinascimento fino ai giorni nostri troviamo un numero crescente di musicisti, compositori ed esecutori ebrei; dal modo in cui essi hanno vissuto il proprio ebraismo si potrebbe ricostruire la storia ebraica di questi secoli: le persecuzioni, i movimenti di emancipazione e di assimilazione fino al sionismo e alla nascita dello Stato d'Israele. Attraverso questa ricerca la musica si rivela ancora una volta come una delle spie, forse insostituibile, per esplorare le vicende storiche e le avventure spirituali del popolo ebraico in questi ultimi secoli.
Si assiste, in quest'ultimo scorcio della storia biblica del popolo ebraico, a un vertiginoso incalzare di eventi, come se tutto fosse contagiato da un'accelerazione incontrollata. Dall'ingresso in Terra Promessa sotto la guida del taciturno ma bellicoso Giosuè alle prodezze di giudici e condottieri, dall'istituzione di un'imperfetta monarchia allo scisma nazionale, dall'esilio babilonese alla strabiliante avventura della regina Ester, ogni cosa avviene secondo un ritmo ben diverso da quello che anima le storie precedenti, dove i patriarchi e le tribù si muovono in un mondo lento come il passo dei cammelli nel deserto. Qui tutto cambia, in primo luogo perché dominano i fatti di sangue e di guerra; ma anche nei rari periodi di pace c'è come un'ansia, una frenesia, che produce un veloce susseguirsi di accadimenti, con i protagonisti che sembrano in preda alla fretta di dire, di fare. Persino l'epopea del grande Salomone è una rapida sequenza di immagini da cui emerge un sovrano ambivalente, grandioso e meschino al tempo stesso, sapiente e insieme terribilmente incauto. Le contraddizioni che dominano l'intero corpus di racconti sembrano qui moltiplicate, ingigantite fermo restando lo sforzo continuo, e a volte sovrumano, di intravedere la mano di Dio e la sua parola nelle aporie della storia, in ciò che non è dato capire. Una storia più avvincente che mai, certo più imprevedibile che in passato.
Sergio Minerbi, giornalista, diplomatico, studioso delle relazioni tra Vaticano e Israele ha scritto, per oltre trent'anni, articoli, saggi, libri sull'evoluzione culturale e politica di tali rapporti. Brillante scrittore ha commentato documenti, atti politici, eventi di rilievo dichiarandosi, inequivocabilmente "di parte", dalla parte di Israele e del suo diritto ad esistere come Stato ebraico. Data tale posizione, non ci sono, da parte Sua, giudizi arbitrari, ma posizioni argomentate e critiche rigorose. I testi raccolti nel volume propongono le tappe di questa analisi, in genere legata a eventi concreti, a volte commentati a caldo in brevi articoli a stampa, altre volte proposta attraverso saggi, frutto di una riflessione più pacata. L'introduzione di Mario Toscano suggerisce un'utile guida nella lettura di tutto il lavoro.