Il modo in cui parliamo e scriviamo ci qualifica costantemente agli occhi degli altri: per molti versi noi siamo la lingua che usiamo e, in base a questa, verremo costantemente sottoposti al giudizio altrui. In mille occasioni, un errore di sintassi o di ortografia, la scelta di un tempo verbale sbagliato o perfino l’inutile irrigidimento su una regola, che magari ci ricordiamo in maniera imprecisa dai tempi della scuola, potranno contribuire non solo a farci fare brutta figura, ma portare in alcuni casi anche a ripercussioni gravi sia a livello personale sia a quello professionale. In questo libro viene presentata, documentata con numerosi esempi tratti dall’uso e spiegata una rassegna degli errori che, ancora oggi, provocano uno stigma sociale, ossia sono percepiti come indicatori di scarsa cultura; a questi è stata aggiunta una breve rassegna di presunti errori che invece meritano di essere sottoposti a un esame più approfondito: scopriremo che forse sono meno sbagliati di quanto immaginassimo.
Questo libro parla di un'invenzione ancora avvolta nel mistero: la scrittura. È ormai quasi sicuro che sia stata concepita da zero più volte nella storia. Ma come si è arrivati a questa rivoluzione? Che cosa ci ha portato a scrivere? Per aiutarci a svelare questo arcano, Silvia Ferrara ci guida alla scoperta delle scritture inventate dal nulla e di quelle rimaste indecifrate fino a oggi, non solo tra i segreti della storia, ma anche nei meandri della nostra mente. Cina, Egitto, Messico, Mesopotamia, Cipro e Creta. Gli enigmi delle isole, la grande macchina delle città e degli imperi. Gli esperimenti sulla scrittura e le invenzioni solitarie, i sistemi ancora indecifrati dell'Isola di Pasqua e della Valle dell'Indo, il manoscritto di Voynich, gli oscuri khipu inca, il disco di Festo e tanti altri. Questo libro è un viaggio nella nostra capacità illimitata di creare storie e simboli, fatto di iscrizioni sibilline, di lampi di genio nel passato, della ricerca scientifica di oggi e dell'eco, vaga e imprevedibile, della scrittura del futuro.
Il volume costituisce un profilo dell’italiano di oggi, tracciato ai vari livelli di analisi linguistica, dalla fonetica e fonologia alla morfologia flessiva e lessicale, dalla sintassi al lessico, compresa l’onomastica. Sono affrontati, fra l’altro, diversi aspetti di carattere variazionale, con capitoli dedicati al parlato, allo scritto, al trasmesso dei vecchi e nuovi media, e con approfondimenti sui dialetti, sulle varietà regionali e sulla lingua dei semicolti. Un’importante funzione di raccordo è svolta dal capitolo sulla testualità. Assai ricco il corredo degli esercizi.
La lingua che parliamo dice molto di noi e del modo in cui stiamo nel mondo. È uno strumento di formazione non solo individuale e collettiva, ma anche, in senso ampio, civile. In questa conversazione con Giuseppe Antonelli, Luca Serianni torna su alcuni nuclei centrali della sua attività di grammatico e di storico della lingua: la norma e l'uso, l'insegnamento scolastico e universitario, l'italiano della poesia e del melodramma. È un libro dal tono affabile, ricco di aneddoti, che offre nuovi e originali spunti di riflessione. Davvero quella dei ragazzi di oggi è la «generazione venti parole»? È ancora utile studiare le lingue classiche? Usare il dialetto è un bene o un male? La grammatica si va impoverendo? E quanto conterà, per la lingua del futuro, la rivoluzione digitale? Un dialogo appassionato sull'italiano, la sua storia e il suo presente: la sua importanza per la vita della nostra comunità e delle nostre istituzioni.
La storia della lingua italiana è così bella e avventurosa che vale il lungo viaggio necessario a conoscerla: un percorso che attraversa quasi undici secoli e incomincia con l'esplorazione di antichissime chiese che conservano, in iscrizioni visibili sui loro muri scrostati, le prime tracce dell'uso del volgare. Nelle varie tappe dell'itinerario gli autori ci guidano fra i versi della Divina Commedia, per spiegare perché Dante è il padre della nostra lingua; assistono alla nascita della grammatica, grazie al lavoro di Leon Battista Alberti; si appostano alle spalle degli Accademici della Crusca mentre a Firenze, all'inizio del Seicento, redigono il primo vocabolario; ascoltano le lezioni di Galileo Galilei, che scrive le sue opere in un volgare che non ha bisogno di traduzioni per essere inteso anche oggi; seguono Alessandro Manzoni che, nelle diverse stesure dei "Promessi sposi", getta le basi dell'italiano moderno. Intrecciando la storia e l'analisi linguistica con aneddoti e curiosità, i due studiosi ci accompagnano fino ai tempi più recenti, in cui assistiamo alla battaglia tentata dal regime fascista per imporre l'uso del «voi» ed eliminare quello delle parole straniere e all'impegno dei padri costituenti per consegnare al Paese una Costituzione scritta in modo cristallino e comprensibile a tutti. Con uno sguardo al presente e al futuro dell'italiano si chiude un excursus ricco di informazioni, che svela la grande bellezza della nostra lingua, non inferiore a quella della nostra arte e delle nostre città, e invita a rispettarla e a usarla più consapevolmente.
Come è nata la grammatica dell’italiano e come si è evoluta nel tempo? Quali sono stati gli autori che ne hanno codificato le regole e in quale modo lo hanno fatto? Come si è arrivati alle grammatiche di oggi? Il libro, dopo aver definito con precisione il campo d’indagine e gli strumenti di riferimento per effettuarne uno studio approfondito, risponde a queste domande con un breve e aggiornato profilo di grammaticografia, cioè un resoconto storico delle principali fasi che la codificazione della grammatica dell’italiano ha attraversato nel corso dei secoli. La nuova edizione, oltre a presentare una bibliografia ampliata, è completata da un capitolo sulle opere grammaticali del Terzo millennio.
La semantica studia in che modo i significati si organizzano nelle parole e nelle frasi delle lingue umane e di altri linguaggi: dalla segnaletica stradale ai gesti, dalle sofisticate simbologie della logica e dei calcoli matematici ai linguaggi di altre specie viventi. Tullio De Mauro coglie in queste pagine ciò che è particolare e specifico del nostro comune e umano dire e capire parole e frasi, mettendo in luce la straordinaria plasticità delle lingue storico-naturali e dell'intelligenza umana. I temi trattati spaziano dai concetti essenziali di 'comunicazione', 'significato', 'senso', 'espressione' alla classificazione dei linguaggi dal punto di vista del significato; dall'enorme ruolo che il linguaggio ha nell'esplicazione dei nostri pensieri e nella nostra vita ordinaria ai fenomeni che riguardano il significato delle parole come gli equivoci o i cambiamenti di senso.
La democrazia è un sistema politico in cui le persone hanno in teoria potere di scelta su chi delegare; allo stesso modo, il libero mercato è un sistema economico in cui le persone hanno in teoria potere di scelta su che cosa comprare. Di fatto, la competizione politica e quella commerciale si giocano ormai in gran parte sulla limitazione di tale potere. Questo libro si occupa delle strategie linguistiche della persuasione, che passano soprattutto per i contenuti impliciti del messaggio. A illustrare il tema, l'autore porta una ricca messe di esempi, attuali e meno attuali, di pubblicità commerciali e di discorsi politici, di cui si svelano le logiche e i meccanismi cognitivi sottostanti. Alla luce dei recenti studi sul cervello, si chiarisce poi perché è più facile far passare per vero un contenuto falso se, invece che parlarne esplicitamente, lo si dà per presupposto o lo si affida alle capacità di deduzione di chi ascolta.
L'origine delle parole e la loro storia suscitano grande interesse anche al di fuori della ristretta cerchia dei linguisti, sebbene raramente i non specialisti si mostrino consapevoli di quanto sia complesso ripercorrere le vicende delle parole nel tempo. Ai fondamenti dell'etimologia scientifica è dedicato questo volume, in cui si presentano i problemi, i metodi e gli strumenti della moderna ricerca etimologica con l'ausilio di un gran numero di storie di parole italiane.
Le idee sbagliate sono sempre pericolose, ma ne esistono due che sembrano resistere nel tempo e, se combinate, costituiscono una miscela deflagrante. Sono la convinzione che esistano lingue migliori di altre, lingue banali e lingue geniali, lingue musicali e lingue stonate, e quella che la realtà si veda in modo diverso secondo la lingua che si parla, come se potesse condizionare i nostri sensi e i nostri ragionamenti. Andrea Moro affronta questi pregiudizi, e ne scopre i limiti, con ogni arma a disposizione: dalla filosofia, alla linguistica, alle neuroscienze. Spiega in modo semplice come si è arrivati alla conclusione sorprendente che tutte le lingue sono variazioni possibili su un unico tema: da un punto di vista biologico, parliamo tutti la stessa lingua, da sempre. Non si tratta solo di una questione accademica, Moro ricostruisce anche il momento storico in cui la pretesa di una lingua migliore di tutte, di una lingua pura, di una lingua cioè ariana, fu utilizzata in funzione del più colossale delitto della storia. Un viaggio nell'evoluzione del pensiero - tra eulinguistica, scoperte sulle grammatiche ed esperimenti decisivi sul cervello - per guardare al futuro e imparare a riconoscere, dentro e intorno a noi, il razzismo più radicale e subdolo.
Gesù Cristo non disse mai «Lazzaro, alzati e cammina!» .Galileo Galilei non esclamò «Eppur si muove!». L'adagio «A pensar male si fa peccato, ma spesso s'indovina» non è di Giulio Andreotti. Sarà vero l'aforisma di Winston Churchill secondo cui a Londra «un taxi vuoto si è fermato davanti al numero 10 di Downing Street, e ne è sceso Attlee»? No, falso: infatti si trattava di una carrozza e ne discese, a Parigi, Sarah Bernhardt. «Vivi come se tu dovessi morire subito, pensa come se tu non dovessi morire mai» sarà del filosofo Julius Evola o della pornostar Moana Pozzi? Sono passati più di vent'anni da quando Paolo Mieli, per due volte direttore del «Corriere della Sera», minacciò: «Una citazione latina sbagliata in un discorso o riportata erroneamente in un articolo dovrà diventare un'onta perenne, un guaio peggiore di un avviso di garanzia». Purtroppo, da allora, poco è cambiato, se non in peggio. Giornalisti e politici continuano ad attribuire pensieri in libertà a personaggi che non si sono mai sognati di esprimerli. Convinto che il "citazionismo" sia la deriva che più ha tolto credibilità alla casta degli scribi cui egli stesso appartiene, Stefano Lorenzetto ha sottoposto a radiografia detti, non detti e contraddetti, cercando di scoprire, per i più celebri, come e perché si siano diffusi in modo errato. I risultati dell'indagine risultano sconcertanti e al tempo stesso divertenti. L'esclamazione «Elementare, Watson!» non è mai uscita dalla bocca di Sherlock Holmes né tantomeno dalla penna di Arthur Conan Doyle. E, a dispetto dell'aneddotica circolante su Mike Bongiorno, la signora Longari ha spiegato all'autore di questo libro che non è mai caduta sull'uccello. Materia sterminata, infingarda, magmatica, cangiante. Forse perché «la vita stessa è una citazione», diceva Jorge Luis Borges (ma l'avrà detto davvero?).
Nella cultura contemporanea, tra edonismo e spiritualismo, il concetto polivalente di Simbolo "realizzazione significativa del sensibile, manifestazione e incarnazione del significato" ci promette un nuovo senso e valore. Di questo termine, usato indifferentemente nell'astrazione logica e scientifica come nella teologia e la mistica, Umberto Eco ha proposto una nuova, originale caratterizzazione: il suo "modo simbolico" è collocato e definito all'interno del paradigma semiotico (Saussure e Peirce, Todorov e Kristeva). Nella foresta dei simboli, tra antropologia e filosofia, Umberto Eco ha distinto il segno e la metafora, l'emblema e l'allegoria, con un'attenzione particolare al mito e al rituale, alla composizione poetica e all'epifania artistica. Questo testo importante nell'evoluzione dell'estetica di Eco - dopo l'"Opera Aperta" - è rimasto inascoltato e il concetto di simbolo mantiene tutta la sua ambivalenza linguistica e culturale. Nell'introduzione, un altro semiologo, Paolo Fabbri, ne riprende criticamente i metodi e i risultati.