Impenitenti, sarcastici, ironici, velenosi, ma anche inaspettatamente poetici: gli scritti satirici di Vauro riverberano il suo sguardo graffiante sull’Italia, la nostra politica, il pantano nostrano e internazionale. Sono – ognuna a suo modo – dichiarazioni d’amore: non quello sdolcinato buono al più per incartare cioccolatini, né quello interessato a cui si intitolano partiti. Sono scritti corsari, pirateschi arrembaggi dialettici, dichiarazioni d’amore molesto.
Se avete fatto le ore piccole pur di non rinunciare al piacere liberatorio della satira di Vauro ad Annozero, se avvertite il bisogno di un prontuario di resistenza umana per non affogare nell’onda di melma che minaccia di sommergerci, questo è il libro che aspettavate. Un concentrato di pensieri, parole e disegni, corrosivo antidoto alla catalessi mediatica.
Questo volume raccoglie alcuni interventi di personalità italiane e straniere che hanno partecipato all’edizione 2010 del Meeting per l’amicizia fra i popoli di Rimini, invitate a paragonarsi con la frase di don Giussani che ne costituiva il titolo: “Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore”.
Uomini di scienza, leader religiosi, intellettuali, imprenditori, politici e persone comuni hanno mostrato che si può resistere alla riduzione dell’uomo a prodotto di fattori biologici e sociologici, coscienti che la statura del cuore è definita da un desiderio infinito. In un’epoca di crisi, segnata dalla drammatica affermazione di Nietzsche – “Non esistono fatti, ma solo interpretazioni” –, hanno testimoniato che si può vivere il presente con una certezza e guardare al futuro con una speranza.
Il Meeting ha inteso mostrare la pertinenza della proposta cristiana alla situazione dell’uomo contemporaneo: “È duro essere umani oggi, perché il potere ha alterato la semplicità della natura, l’ingenuità originale. Per questo occorre l’affermazione indomita dei desideri che ci costituiscono. La persona ritrova se stessa in un incontro vivo, vale a dire in una presenza in cui si imbatte e che sprigiona un’attrattiva” (L. Giussani). Le pagine di questo libro offrono a tutti la possibilità di imbattersi in questa umanità che ha qualcosa da dire al mondo di oggi.
Le cose finite possono dare barlumi di soddisfazione o di gioia, ma solo l’infinito può riempire il cuore dell’uomo. […] Dio è venuto nel mondo per risvegliare in noi la sete di “cose grandi”.
— Benedetto XVI
Nel 1985, pochi mesi prima dell’approvazione della famosa legge Galasso sulla tutela del paesaggio italiano, il Parlamento approva la prima legge di condono edilizio proposta da uno degli ultimi governi di centrosinistra. Si disse che sarebbe stato il primo e l’ultimo. Dopo nove anni, nel 1994, il primo governo Berlusconi porta in approvazione il secondo condono edilizio. Anche allora si disse che sarebbe stato l’ultimo. Nel 2003 un altro condono proposto dalla stessa maggioranza. Finora sono tre le leggi di condono edilizio approvate dal Parlamento, e per quanto possa sembrare strano non è stato fornito all’opinione pubblica nessun rendiconto su quante domande siano state presentate, quanti edifici siano stati condonati, quanti ettari di terreno agricolo siano stati divorati dalle costruzioni, quale sia il bilancio economico delle tre leggi. Siamo un paese in cui lo Stato non ha la forza e l’autorità per far rispettare le leggi, a partire dai piani urbanistici, e cioè le regole che disegnano il futuro delle città. E la china rovinosa dell’Italia pare non arrestarsi: sembra che la cultura dell’abusivismo stia permeando le amministrazioni pubbliche. Dal primitivo abusivismo di «necessità», quello cioè di un paese povero che faticava a diventare moderno, siamo infatti passati all’iniziativa dello Stato stesso per cancellare ogni regola. Nel 2009 il governo Berlusconi annuncia il «piano casa» con cui si possono aumentare i volumi degli edifici a prescindere da qualsiasi regola urbanistica. Nello stesso periodo, per la preparazione Dei mondiali di nuoto e delG8 alla Maddalena, si sperimenta il modello di deroga persino rispetto alle regole paesaggistiche e di tutela dei corsi d’acqua. Fenomeni di questo tipo sono impensabili e sconosciuti in tutti gli altri paesi europei. Ed è urgente chiedersi quale sia il male oscuro che non permette all’Italia di divenire un paese in cui le regole sono rispettate.
Quanto costa un tetto provvisorio? Dipende.
All’Aquila sono state dirottate in un anno risorse cinque volte maggiori di quanto fu speso in Umbria e tre volte di più persino di quel che costò la prima emergenza in Irpinia.
Trent’anni di storia patria raccontata attraverso gli affari legati alle ricostruzioni. Il Nord delle imprese fantasma, il Centro dei poteri forti, il Sud del business criminale. L’economia della catastrofe ha diviso l’Italia e affamato il Mezzogiorno.
Trent’anni fa, il 23 novembre 1980, una terribile scossa stravolse l’Irpinia. 2914 morti, 8800 feriti e 280 mila sfollati. Quel terremoto unì l’Italia: migliaia di volontari venuti da ogni parte del Paese per giorni scavarono tra le macerie, trascinarono nelle bare i morti, accudirono i vivi. Dieci anni dopo, e in nome di quello stesso terremoto, l’Italia iniziò a dividersi. Gli sprechi, le ruberie, le inchieste che scandirono gli anni della ricostruzione sono tuttora ricordati come il più famelico attentato ai conti pubblici. L’Irpiniagate, la mamma di tutti quegli scandali, aiutò Umberto Bossi a far nascere la Lega, a renderla un movimento vivo e indisponibile a ogni altra concessione verso il Sud. Anche se alla tavola imbandita nel Mezzogiorno si erano presentate, puntuali, le aziende del Nord invitate al banchetto dalla Dc campana, il partito-Stato. Antonello Caporale il 23 novembre 1980 perse due cari amici, vide distrutta la casa di famiglia e iniziò a familiarizzare con parole come epicentro, cratere, fascia A e B. Ma soprattutto vide da vicino come un terremoto poteva diventare un’ottima occasione per chi puntava a farsi una poltrona a Roma e per chi aveva bisogno di incrementare il fatturato. A partire da un quadro comparato dei costi e del valore politico di quattro terremoti, dall’Irpinia all’Aquila (2009), passando per Molise e Umbria, Caporale ricostruisce in questo libro la recente storia italiana. Prima De Mita e Pomicino, poi Bossi. Quindi Di Pietro, fino a Bertolaso e Berlusconi. Una storia che finisce per tutti proprio come è iniziata, perché i soldi non bastano mai e c’è sempre una nuova cricca dietro l’angolo. De Mita con l’Irpiniagate perse la Dc. Oggi Bertolaso, il primo soccorritore d’Italia, è scomparso dalle scene. E i guai, per Berlusconi, sono iniziati il giorno dopo il trionfale discorso di Onna, il paese martire.
La bellezza e l'inferno: fra questi poli opposti che richiamano il pensiero di Albert Camus si estende il campo di forze frequentato da Roberto Saviano, il luogo che genera la sua visione della vita, dell'impegno e dell'arte. Introdotti da una prefazione dell'autore, gli scritti raccolti in questo volume tracciano un percorso tanto vario quanto riconoscibile e coerente. Dal ragazzo che muove i primi già maturi passi nell'ambito della letteratura e della militanza antimafia fino allo scrittore affermato che viene invitato all'Accademia dei Nobel, Saviano resta se stesso. Ci racconta di un campione come Lionel Messi, che ha vinto la sfida più grande, quella contro il suo stesso corpo; di Anna Politkovskaja, uccisa perché non c'era altro modo per tapparle la bocca; dei pugili di Marcianise, per cui il sudore del ring odora di rabbia e di riscatto; di Miriam Makeba, venuta a Castel Volturno per portare il suo saluto a sei fratelli africani caduti per mano camorrista; di Enzo Biagi, che lo intervistò nella sua ultima trasmissione; di Felicia, la madre di Peppino Impastato, che per vent'anni ha dovuto guardare in faccia l'assassino di suo figlio prima di ottenere giustizia; e di tanti altri personaggi incontrati nella vita o tra le pagine dei libri, nelle terre sofferenti e inquinate degli uomini o in quelle libere e vaste della letteratura. Pagina per pagina, Saviano ribadisce la sua fiducia in una parola che sappia scardinare la realtà, opporsi a qualunque forma di potere, farsi testimone della certezza che «la verità, nonostante tutto, esiste».
Walden, è famoso per l’eccellenza letteraria dei suoi scritti sociali e naturalistici. Ma nel 1848 un suo nuovo conoscente,Harrison Blake, capì che il «vero significato» della vita di Thoreau era di fatto spirituale e, con audace prescienza, si rivolse all’allora sconosciuto scrittore per chiedere lumi su come trovare la propria via. Blake, infatti, confessava di trovarsi a «tremare sull’orlo» di un cammino spirituale e, incapace di intraprenderlo da solo, cercava un maestro, una guida. Thoreau rispose all’appello. Il risultato fu una corrispondenza che durò tredici anni, tanti quanti gliene restavano da vivere. All’inizio le sue risposte erano rivolte solo a Blake, ma quando Thoreau seppe di avere un uditorio più vasto – gli amici di Blake – le sue lettere assunsero una dimensione più impersonale e di maggiore respiro esistenziale. Attraverso una scrittura di volta in volta austera, oracolare, arguta, giocosa, pragmatica, ma sempre profondamente ispirata e penetrante, Thoreau riflette – e ci fa riflettere – sulle possibilità e i limiti dello sviluppo spirituale dell’individuo, prendendo spunto dagli argomenti più vari: dal lavoro quotidiano alla natura selvaggia, dalla società alla solitudine, dall’amore al sesso. Per la prima volta tradotte in italiano e riccamente annotate, queste 27 lettere sono come altrettanti passi che ognuno di noi è invitato a compiere, o a ripercorrere, per meglio affrontare il cammino della vita.
«Ama la Patria ininterrottamente, notte e giorno, sveglio e dormiente, o che so io? La ama tutta e sempre? Come una donna? Una mamma?» Giorgio Manganelli
«Per molti l'italiana non è una nazionalità, ma una professione.» Ennio Flaiano
«Quel poco che sono, sento di esserlo come italiano; e che, se non fossi più italiano, non sarei più nulla…» Indro Montanelli
«Non so che farmene di una patria che non sopporta la verità.» Curzio Malaparte
«Diffido di chi dice: "Gli italiani sono fatti così". Così come?» Enzo Biagi
«La mia Italia è un'Italia ideale. È l'Italia che sognavo da ragazzina.» Oriana Fallaci
«Forse conviene scegliere dal catalogo possibile un paio di Italie decenti, e limitare l'orgoglio a quelle.» Edmondo Berselli
Stando ai sondaggi per il 150° anniversario dell'Unità nazionale, due italiani su tre sono orgogliosi di essere tali. Quando però si tratta di spiegare perché, tutto si fa più complicato. «Cosa ci tiene insieme?» è la domanda che meno invecchia, in questo Stato ancora giovane. Il rischio è quello di aggirarsi, in cerca di risposte, tra i monumenti e gli stereotipi.
Qui, invece, sono raccolte voci: grandi scrittori, giornalisti, intellettuali impegnati a diventare o ri-diventare italiani. A malincuore, con allegria, con rabbia, con indignazione, con stupore, con disincanto. A volte, perfino con ottimismo.
Tutto entra in gioco: i momenti drammatici o felici della storia unitaria; la memoria e le memorie; i volti e le maschere, da Arlecchino a don Abbondio; i colori della vita di ogni giorno.
Come in un'inchiesta a ritroso, le ipotesi e gli indizi sul tavolo sono molti. Per chi domanda: «Scusi, lei si sente italiano?», sono pronte nuove risposte. Razionali e sentimentali insieme. Cercate lontano, ma proiettate al futuro.
Quarantasei testi, uno al giorno per un mese e mezzo. Per ridere delle miserie del potere ottuso, che pretende tutto decidere, giudicare e governare; per farsi beffe del darwinismo, che pretende l'uomo "discendente" da "antenati" comuni alle scimmie e non si rende conto che alle scimmie sta tornando. In questo volume si possono trovare spassosi esempi di poesia moderna e delle molte idiosincrasie che rendono ridicola l'umanità; ma non solo, la lettura di quest'opera serve anche a far sorridere e commuovere pensando alla figura di Padre Pio e ai ricordi delle proprie radici.
"Ci sono dei poliziotti falliti, degli uomini politici falliti, dei generali falliti, arredatori, ingegneri, conducenti di autobus, editors, agenti letterari, uomini d'affari, impagliatori falliti. Ci sono anche degli insegnanti di creative writing falliti e disillusi, come ci sono scrittori falliti e disillusi. John Gardner non era né l'uno né l'altro, e le ragioni di ciò vanno trovate in questo splendido libro."
Premessa di Davide Rondoni
Introduzione di Raymond Carver
GLI AUTORI
John Champlin Gardner Jr. (Batavia, 1933 – Susquehanna, 1982) è stato uno scrittore e insegnante statunitense. È stata una figura popolare e controversa fino alla morte prematura in un incidente motociclistico all'età di 49 anni
Come la Resistenza anche il Risorgimento, a 150 anni dall'Unità d'Italia, è negato. Dalla Lega, dalla sinistra, che con il Risorgimento è sempre stata critica, e dalla destra di Berlusconi. Ma oggi è in dubbio perfino la sopravvivenza stessa della nazione, stemperata nell'Europa e nel mondo globale, frammentata dalle leghe, dai particolarismi, dai campanili. Aldo Cazzullo ha scritto un libro di storia e, insieme, politico: il racconto - privo di retorica e ricco di tanti dettagli curiosi - dell'idea di patria, dei protagonisti del Risorgimento e della Resistenza, dei combattenti che sono morti gridando “Viva l'Italia”; con un capitolo sulla Grande Guerra - Ungaretti in uniforme, Gadda indignato da “La grande guerra” di Monicelli che considera antipatriottico - e un capitolo sui caduti dell'Iraq e dell' Afghanistan. Accanto al racconto, una forte tesi politica in difesa dell'Unità nazionale e di un dato storico: in epoche diverse gli italiani hanno dimostrato di saper combattere per un'idea di Italia che non fosse solo quella del Belpaese e del “tengo famiglia”.
Lorenza Foschini sfi ora emozionata il liso cappotto appartenuto a Marcel Proust, scovato in un cartone dei fondi del Museo Carnavalet di Parigi, in capo a una ricerca volta a ricostruire il mondo degli oggetti dei quali l’autore della Recherche si circondò in vita. Il cappotto, in cui Proust si è avvolto per anni, anche mentre scriveva, è il pezzo più signifi cativo e raro, e la Foschini propone al lettore un’elegante e avvincente investigazione dei paesaggi proustiani: dimore, rapporti, conflitti, sentimenti e riflessioni, persone e carte perdute e ritrovate. Dietro gli oggetti si anima una galleria di personaggi, rappresentati anche in una serie di rare fotografi e. Sono coloro che hanno contribuito a tramandare la memoria di uno dei massimi scrittori del Novecento e a rendere più comprensibile il libro della sua vita: il raffi nato bibliofilo Jacques Guérin, il rigattiere e collezionista inconsapevole Werner, l’ombroso fratello medico di Marcel, Robert, e l’acida moglie di costui, Marthe. Di tutti, viene ricostruita in queste pagine la straordinaria e talora involontaria avventura all’ombra di un capolavoro e del suo grande protagonista.
Con la carta delle Nazioni Unite (1945) e la Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) si è aperta una nuova era nella storia dell'umanità. Il principio secondo cui "il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, eguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo" prende il posto del principio di sovranità degli stati. Ha così inizio una rivoluzione copernicana nell'ordinamento internazionale: la dignità umana come il sole al centro del sistema, l'etica universale recepita dalla norma giuridica che se ne fa traghettatrice nei vari campi, a cominciare da quello della politica. La globalizzazione dei diritti ha preceduto la globalizzazione in atto nei vari campi, esiste quindi la "bussola globalizzata" per rispondere, in corretto rapporto di scala, alle sfide del governo della globalizzazione. Quanto proclamato dalla Dichiarazione universale è il risultato di un processo carsico della civiltà del diritto: i vari percorsi costituzionali, separatamente realizzati dagli stati nel corso dei secoli, sono emersi in superficie confluendo nell'alveo di un nuovo diritto internazionale che esalta la vita delle persone e l'eguaglianza dei diritti fondamentali. La Dichiarazione universale è all'origine di un folto gruppo di convenzioni giuridiche e protocolli che costituiscono il corpus organico del vigente diritto panumano.