A partire dal XVII secolo, il pensiero sulla creazione è stato in massima parte dominato da un teismo illuministico che concepiva Dio come principio quasi impersonale, privo di soggettività. Oggi, però, di fronte alla crisi ecologica è più che mai urgente che la razionalità teologica prenda in carico, secondo un nuovo profilo, sia il Dio di Gesù Cristo sia il mondo creato. Ecco allora che Christophe Boureux ridà un ruolo centrale alla sola nozione in grado di illuminare la scena: la creazione in Cristo, «primogenito di ogni creatura». Nei testi biblici il Risorto appare a Maria Maddalena in veste di giardiniere. Prende cioè la figura di quel Dio che, al momento della creazione del mondo, realizza un giardino e lo affida alle cure dei progenitori. Il giardino è un luogo di convivialità universale. E il giardiniere è chiamato a orchestrarne gli elementi, lavorando a questa convivialità: egli diviene così, in qualche modo, l'annunciatore della ricapitolazione in Cristo di tutte le cose. Boureux offre una riflessione stimolante sulla posta in gioco ecologica, spingendosi oltre l'abituale concetto di "natura": declinando il tema della "creazione" come paesaggio, egli dice l'instaurazione paziente di un'interdipendenza fra tutte le entità, destinate a dare il meglio di se stesse. L'umano non è né despota né amministratore del mondo, bensì ospite attento, scientificamente e moralmente riconoscente della convivialità di cui è responsabile. Straordinaria avventura intellettuale, questo libro, colto e raffinato, è destinato a sorprendere positivamente e a divenire complemento ideale al percorso suggerito dall'enciclica papale Laudato si' sulla cura della casa comune.
Questo piccolo volume raccoglie il risultato, il nocciolo, di quarant'anni vissuti insieme. L'esperienza di uno sgangherato gruppo dentro e fuori dalla chiesa, ai margini di partiti e associazioni, è la piccola metafora di un cammino che vorremmo suggerire anche a chi non l'ha conosciuto. Riflessioni 'sapienziali', sociali e teologiche, nate in una piccola comunità che regaliamo volentieri agli amici. Il Gruppo Lavoratori di Modena è nato nel 1968, come 'Gruppo di Azione Cattolica'. Quando, dopo alcuni anni, l'A.C. è andata in crisi, questo gruppo di amici ha continuato l'esperienza di comunità. Sia in un impegno condiviso: nel carcere, con i disabili, nel sindacato, nel volontariato, sia in montagna con ferie organizzate insieme in una casa a Vezza D'Oglio in Alta Val Camonica.
"Misericordia" è oggi sinonimo di pietismo, paternalismo, buonismo. La virtù predicata da Gesù nel discorso della montagna è, per il comune sentire contemporaneo, un valore socialmente dubbio, sospetto quanto meno di falsa generosità e di altruismo autogratificante. Nel nostro mondo dominato dalla razionalità tecnologica si è infatti prodotta una separazione fra l'amore e la giustizia: il primo è diventato sentimentale e irrilevante, la seconda astratta e calcolatrice. E la nozione di carità, che originariamente traduce un tema di assoluta profondità teologica, è ridotta al banale significato di elemosina e beneficenza. A sgomberare il campo da questi equivoci e fraintendimenti provvedono - in questo secondo volume della collana dedicata alle beatitudini - un teologo e un filosofo. I due autori ricollocano la misericordia nel giusto ambito religioso e antropologico-culturale. Sequeri ne mette in rilievo il fondamento teologico, la sua profonda consonanza con l'agape (nell'accezione paolina, ripresa da Benedetto XVI nell'enciclica "Deus caritas est"). Demetrio, con un approccio più esistenziale, ne sottolinea il valore intimamente umano e universale, sia per i credenti sia per i non credenti "nobilmente pensosi".
"La denuncia del degrado civile indotto dai modelli culturali della società dei consumi e dello spettacolo, dell'eterna giovinezza e del denaro facile, è pressoché unanime. Guai però a chi è colto nel flagrante delitto di credere che questo indebolimento del pensiero non ci rappresenti affatto; e che forme di reazione determinata ai suoi presupposti siano realmente praticabili. Dove il logos perde forza, la reazione a catena del polemos (della guerra, della violenza, dell'aggressività di tutti contro tutti) guadagna terreno e si fa incontrollabile. In un mondo che rimane senza l'audace e creativa testimonianza dell'umanesimo cristologico di Dio, il politeismo degli dèi razzisti e corporativi occupa la scena. C'è insomma del lavoro urgente da fare: riguarda beni di prima necessità per l'ominizzazione, che il mercato ha dismesso. Questo libro, quasi in forma di "manifesto", offre il suo contributo. Non si limita a criticare gli idoli: per ognuno di essi, cerca di immaginare le contromosse necessarie. Noi, popoli cristiani d'Occidente, abbiamo meritato le conseguenze di questa ricaduta nel paganesimo. Ma ci è consentito un soprassalto di orgoglio: possiamo smascherare l'incantesimo della cultura nichilistica che pretende di rappresentarci, e aprire mille luoghi di liberazione. Ci sono rimasti assai più di dieci giusti, per convincere Dio, in favore delle generazioni che vengono, che non siamo così indegni dei doni ricevuti."
Che cosa significa essere umani in un'epoca di complessità e cambiamento? Come si può gestire lo sviluppo tecnologico? E quali sono i limiti da non superare nel momento in cui la tecnica viene utilizzata per interventi non più solamente esterni, ma anche interni all'uomo?Il libro si propone di fornire una comprensione filosofica e teologica della tecnologia, mettendo in luce le dimensioni etiche e interrogandosi sulla possibilità di liberarsi dalle categorie tradizionali di «umano». «tecnologico» e «naturale» per abbracciare una nuova relazione con il mondo che si potrebbe definire «tecno-umana».
Il presente saggio, ponendosi in continuità con gli studi su Arnobio condotti dal professore Biagio Amata, salesiano, esamina il rapporto tra la dimensione apologetica e la struttura teologica nel primo libro dell'Adversus nationes libri septem, nella convinzione che il discorso arnobiano costituisca un unicum entro il quale le ragioni dell'apologia determinano le caratteristiche del discorso cristiano su Dio e queste ultime, fondate proprio sul terreno apologetico, agiscano sul testo come fattore di trasformazione dell'apologia in annuncio kerygmatico. La dimensione apologetica del libro si sviluppa secondo uno schema ricorrente, intrinsecamente segnato dalla volontà dell'apologista di stabilire un dialogo con l'interlocutore pagano. Per tale caratteristica l'argomentazione arnobiana, nel suo dipanarsi, prende sempre l'avvio da una obiezione sollevata dai pagani nei confronti del cristianesimo. Tale obiezione viene assunta e fatta propria da Arnobio, il quale esamina alla luce della ragione tutte le conseguenze logiche intrinseche all'obiezione pagana. In tal modo egli perviene alla dimostrazione della insostenibilità razionale dell'obiezione sollevata dai pagani e, ancora avvalendosi della ragione, pone le basi del discorso su Dio.
Il volume, frutto di una Giornata di Studio, torna a riflettere sul tema dell'esperienza. Un tema scottante nella cultura postmoderna dove la realtà è misurata e commisurata dal e al soggetto. Il rischio è quello di perdere, o quanto meno sminuire, l'incidenza e la forza pregnante del significato originario di "esperienza" quale è stato assunto nella teologia spirituale: una riflessione a ritroso su un evento, su un fatto, su un atto, su un sentimento e cosa l'ha prodotto. Nella teologia spirituale il dibattito sulla definizione del termine esperienza è stato (ed è) quanto mai vivace, sia nell'identificazione del rapporto tra soggettività e oggettività, sia nella possibilità narrativa dell'esperienza nel momento in cui raggiunge la soglia della mistica, dove le parole si spengono, entrando, al massimo, nel linguaggio simbolico, metaforico, in grado solo di avvicinarsi a un'esperienza che mantiene un secretum meum mihi est. Il volume costituisce così quasi una "sfida" nel voler tornare su un tema dibattuto e controverso con l'intento di coglierne la dinamica, oltrepassando l'ambito specifico della teologia spirituale.
I laici cristiani sono chiamati a fare bello il mondo: la casa, la famiglia, il lavoro, i rapporti umani, persino la malattia e la sofferenza. Chi crede in Gesù, è aperto a guardare l'altro come un fratello, vive un senso della vita diverso, che traspare in ogni rapporto. La testimonianza non passa solo attraverso la competenza e la coerenza, a volte minacciate da debolezze e fragilità; la testimonianza può trasparire anche attraverso il riconoscimento dei propri peccati e il pentimento e ravvedimento. Quello che più manca al mondo è la testimonianza di un quotidiano sobbalzo del cuore di fronte a Cristo, è lo slancio di uno sguardo vigile, un'amicizia libera e aperta, una ripresa e una speranza, un discernimento nelle scelte, nella valutazione del bene e del male, che non vengono dalla capacità umana, ma dal dono di Dio. Diceva ai suoi amici e ripete a noi santa Caterina: "Se sarete quel che dovete essere incendierete il mondo". Di questi tempi ghiacciati, si può cominciare con un fuocherello?
Nessuno, ma proprio nessuno di noi, cittadini dell'Occidente avanzato, accetta più di considerarsi o di venire considerato "vecchio". A qualsiasi età qualcuno muoia, muore giovane. Anzi: troppo giovane. E tutto ciò perché la vecchiaia nel nostro tempo è scomparsa, ostracizzata, resa oscena, diventata non più degna di venire a parola, praticamente espulsa dal ciclo naturale dell'esistenza umana. Siamo messi così di fronte all'effetto più conturbante che l'odierno fenomeno della longevità di massa ha sull'immaginario diffuso: grazie ad essa, non si pensa di avere oggi una vita semplicemente più lunga dei nostri antenati, il cui ultimo tratto si chiama appunto vecchiaia, naturalmente proiettato sull'evento della morte. Si ritiene piuttosto di avere a propria disposizione più vite, più esistenze, più possibilità, più occasioni, in cui ricominciare sempre daccapo e grazie alle quali potersi sentire sempre giovani e disponibili a nuovi cambiamenti e progetti, eterni tirocinanti nel laboratorio dell'esistenza. In ogni caso mai adulti o vecchi o semplicemente mortali. Ed è per questo che si muore sempre troppo giovani ed alla realtà della morte viene tolto quel valore di questione ultima e decisiva per la qualità della vita stessa. Questo libro interroga in profondità tali cambiamenti, la loro ripercussione nell'ambito delle relazioni educative e sociali, ed infine il loro effetto sulla pratica della fede, mai immune da ciò che tocca l'umano che è comune.
"In questi Esercizi ho scelto di soffermarmi sul tema centrale del cristianesimo, vale a dire sull'amore come essenza di Dio che si è rivelato in Cristo. Di nulla abbiamo bisogno, noi e il nostro mondo, più che di Dio. Viviamo in un tempo di sofferenza senza precedenti. E la sofferenza, almeno quando è vissuta con purità e semplicità, dissipa gli idoli ai quali l'uomo si afferra e apre il cuore a Dio. Egli si è rivelato in Cristo come amore Trinitario, come comunione di persone. Solo alla luce del suo amore possiamo scoprire il nostro vero volto e possiamo essere noi stessi. Vivendo un rapporto vero e profondo con Lui, possiamo anche ridestare il mondo alla Sua presenza" (dall'introduzione dell'autore).
Uno dei testimoni più significativi della teologia ortodossa del XX secolo propone nel libro la posizione orientale sui temi fondamentali del Cristianesimo: la formulazione della verità e l'apofatismo, la Tradizione, la conciliarità e la cattolicità della Chiesa, la presenza dello Spirito Santo nell'ecclesiologia e nella spiritualità. Alcuni capitoli descrivono con particolare efficacia il percorso parallelo delle due teologie, quella orientale e quella latina, in particolare sulla processione dello Spirito Santo, la critica alla dottrina del Filioque, la proposta della redenzione come deificazione in opposizione al modello anselmiano della redenzione. Tra i temi anche il superamento delle opposizioni tra essenza ed esistenza e tra sacramento e profezia, la nozione teologica della persona umana e le implicazioni antropologiche del dogma della Chiesa.
P. Tomas uomo di Fede indiscussa, ma P. Tomas uomo di ragione e raziocinio spinti al loro estremo. Ecco la vera lezione del padre domenicano: la Fede come fondamento di una ragione che pur inchinandosi alla fine di fronte a Essa ne coglie tutti gli spunti, per disegnare un sillogismo difficilmente confutabile.