Nell'Iliade appaiono due modi di rappresentazione. Il primo si ha quando Omero descrive lo scudo di Achille: è una forma compiuta e conchiusa in cui Vulcano ha rappresentato tutto quello che egli sapeva e che noi si sa su una città, il suo contado, le sue guerre i suoi riti pacifici. L'altro modo si manifesta quando il poeta non riesce a dire quanti e chi fossero tutti i guerrieri Achei: chiede aiuto alle muse, ma deve limitarsi al cosiddetto, e enorme, catalogo delle navi, che si conclude idealmente in un eccetera. Questo secondo modo di rappresentazione è la lista o elenco. Ci sono liste che hanno fini pratici e sono finite, come la lista di tutti i libri di una biblioteca; ma ve ne sono altre che vogliono suggerire grandezze innumerabili e che si arrestano incomplete ai confini dell'indefinito. Come mostra questo libro e l'antologia che esso raccoglie, la storia della letteratura di tutti i tempi è infinitamente ricca di liste, da Esiodo a Joyce, da Ezechiele a Gadda. Sono spesso elenchi stesi per il gusto stesso dell'enumerazione, per la cantabilità dell'elenco o, ancora, per il piacere vertiginoso di riunire tra loro elementi privi di rapporto specifico, come accade nelle cosiddette enumerazioni caotiche. Però con questo libro non si va solo alla scoperta di una forma letteraria di rado analizzata, ma si mostra anche come le arti figurative siano capaci di suggerire elenchi infiniti, anche quando la rappresentazione sembra severamente limitata dalla cornice del quadro.
In principio furono le stelle. Se il primo a vedere "astri infiniti splendere nel buio" è Omero, poeti e scrittori di tutte le letterature sono stati rapiti dall'incanto del cielo stellato. Su tutti, Dante, che nella "Commedia" si volge alle stelle all'inizio e alla fine del poema, e al termine di ciascuna cantica. Trapuntano dovunque le volte delle chiese e delle moschee, illuminano mille capolavori della pittura, da Giotto a van Gogh e a Rothko. Ispirano musiche sublimi, da Händel a Haydn, da Verdi a Wagner, come pure folgoranti sperimentazioni contemporanee. Ma il racconto delle stelle intesse di vibrante bellezza anche civiltà lontane, dalla Persia all'India, alla Cina. Sapienti e visionarie, queste pagine esplorano i pensieri e i sogni, gli interrogativi, i fantasmi, i terrori, le speranze che l'umanità ha consegnato alle stelle attraverso il tempo.
Alessandro Manzoni è stato uno degli artefici che più profondamente hanno contribuito al processo costruttivo della nazione italiana moderna, per quanto lontano dall'attivismo politico e dall'impegno militante, e tuttavia presente senza incertezze nei momenti chiave del mutamento storico. Da sempre fedele all'idea di unità, ha espresso tale convinzione in testi emblematici (i cori delle tragedie, l'ode "Marzo 1821"), ha rivoluzionato una letteratura elitaria introducendovi il genere moderno del romanzo e facendo rispecchiare in esso un'intera società, ha costruito con rigore e pazienza estremi i presupposti perché nascesse la nostra lingua comune. Oggi, nel mondo globalizzato in cui siamo immersi, la storia della nostra e delle altre nazioni sollecita nuove riflessioni. La vicenda di Manzoni permette di cogliere come si sia sviluppato il processo di "immaginazione" del diverso spazio politico creato con la nazione moderna, in cui tanti intellettuali italiani si sono proiettati, sovrapponendolo e sostituendolo ad altri ambiti di relazioni precedenti, spesso superati. Questa raccolta di saggi intende ripercorrere anche secondo tale prospettiva l'impegno di Manzoni nella costruzione della nuova Italia, a conclusione dei festeggiamenti del Centocinquantesimo della nascita dello Stato unitario, nel segno di un omaggio della sua città al grande scrittore italiano.
Al centro di questo libro si trova un sogno, l'unico che Baudelaire abbia raccontato. Entrare in quel sogno è immediato, uscirne difficile, se non attraversando un reticolo di storie, di rapporti e di risonanze che coinvolgono non solo Baudelaire ma ciò che lo circonda. Dove spiccano due pittori di cui Baudelaire scrisse con stupefacente acutezza: Ingres e Delacroix; e due altri che solo attraverso Baudelaire possono svelarsi: Degas e Manet. Secondo Sainte-Beuve, perfido e illuminato, Baudelaire si era costruito un "chiosco bizzarro, assai ornato, assai tormentato, civettuolo e misterioso", che chiamò "la Folie Baudelaire" (folies era il nome settecentesco di certi padiglioni dedicati all'ozio e al piacere), situandolo sulla "punta estrema del Kamcatka romantico". Ma in quel luogo desolato, in una terra ritenuta dai più inabitabile, non sarebbero mancati i visitatori. Anche i più opposti, da Rimbaud a Proust. Anzi, sarebbe diventato il crocevia inevitabile per ciò che apparve da allora sotto il nome di letteratura. Qui si racconta la storia, discontinua e frastagliata, di come "la Folie Baudelaire" venne a formarsi e di come altri si avventurassero a esplorare quelle regioni. Un storia fatta di storie che tendono a intrecciarsi, e per alcuni decenni ebbero come sfondo le stesse strade di Parigi.
Come può un romanzo cambiare il mondo? Invitando Claudio Magris e Mario Vargas Llosa a confrontarsi sulla loro idea di letteratura come "esperienza totale", Renato Poma, direttore dell'Istituto italiano di cultura a Lima, sottolinea il forte legame che unisce il premio Nobel peruviano e il più prestigioso intellettuale e scrittore italiano: entrambi credono che il principale compito della letteratura sia indagare quella terra misteriosa e intricata che è l'animo umano, nei suoi più arcani slanci e nelle sue contraddizioni, con l'intento di aiutarci a capire il caos in cui è immersa la nostra precaria esistenza. Secondo Vargas Llosa, infatti, un libro è veramente riuscito quando ci strappa dallo scorrere concitato delle nostre vite e ci trascina in un mondo dove la finzione appare più tangibile e reale della realtà stessa, e questo movimento di creazione e specchio ci permette di orientarci meglio e di capire qualcosa di più su noi stessi. Claudio Magris, dal suo punto di vista privilegiato di narratore di confine, ci mostra come la letteratura non sia altro che un luogo di mezzo, uno spazio aperto dove si incontrano la capacità creativa dello scrittore di inventare mondi e insieme la sua instancabile tensione verso la verità. In questo dialogo due dei più importanti intellettuali e scrittori del nostro tempo confessano il rapporto intimo e appassionato che li lega a ciò che hanno di più caro e che, in modo così decisivo, ha segnato le loro vite.
A metà del volume "La prigioniera" un episodio interrompe il flusso narrativo proustiano: è la storia della morte di Bergotte. Il vecchio scrittore, desideroso di rivedere un quadro molto amato, la "Veduta di Delft" di Jan Vermeer, è colpito da apoplessia davanti al dipinto. Prima di morire ha però il tempo di confrontare la propria arte con quella del grande pittore olandese e di ammirare in particolare un "muretto giallo" raffigurato con "preziosità cinese". Ma qual è, nel quadro di Vermeer, il famoso muretto? Nell'inseguire la soluzione, forse impossibile, di questo enigma, Lorenzo Renzi offre una visione personale dell'opera proustiana illustrando nel contempo la propria concezione del compito della critica letteraria.
"Questo libro di Giovanni Fighera entra nel vivo della crisi della modernità, e analizza i fondamenti che l'hanno prodotta e che tuttora ne producono gli sviluppi in modo veramente impressionante": la libertà sciolta dai valori e dalla verità, la parcellizzazione del sapere, il relativismo, l'ideologia scientistico-tecnicistica. "Fighera si fonda soprattutto su testi di poeti e di letterati, che dimostra di conoscere molto bene, citando in modo puntuale molti loro passi particolarmente significativi". Così si esprime Giovanni Reale nella Prefazione, mentre Gianfranco Lauretano nell'Invito alla lettura soggiunge che attraverso un documentato percorso storico (dall'antichità alla contemporaneità) si delinea la "questione che l'autore ritiene fondamentale: senza il Mistero, il mondo è più piccolo e assurdo, soprattutto la parte più interessante del mondo, cioè l'io, la persona". L'uomo, come dimostra la sua storia, soprattutto in questa età post-moderna, non è autosufficiente, non è in grado di salvarsi da solo. Bisogna fondare un nuovo umanesimo, che per Fighera deve riscoprire Dio e riappropriarsi della legge morale universale guardando di nuovo alla ragione umana non più intesa in modo riduttivo. "Questo Tu che ha creato il mondo apre le porte all'amore, vero fulcro della conoscenza, e all'appartenenza a esso, per cui la solitudine che contraddistingue i contemporanei è sconfitta con l'adesione e l'appartenenza alla Verità."
La vita e gli scritti, usciti su "Il Foglio", in una biografia letteraria a puntate, del "convertito più riluttante di tutta l'Inghilterra", l'amico di J. R. R. Tolkien che con le sue lezioni ha cambiato Oxford e Cambridge, con le sue fiabe e romanzi ha incantato il mondo: la storia del creatore di "Narnia" che ci ha fatto sbirciare tra le lettere del diavolo e viaggiare nel cosmo, il pagano innamorato di Cristo che, tra una conferenza ed una passeggiata, non ha mai smesso di leggere, bere, ridere e fumare, pronto a combattere contro ogni possibile "abolizione dell'uomo" e ad ispirare Borges, Auden e Benedetto XVI. Con brani e testimonianze mai pubblicati sinora in Italia.
Il percorso del desiderio non è affatto rettilineo: imbocca tangenti, disegna triangoli, si avvita in circoli viziosi. La coquette, il masochista, il seduttore, tutti si lasciano coinvolgere in un balletto affascinante la cui coreografia sfugge loro. René Girard rilegge alla luce di questa fondamentale intuizione i personaggi della letteratura, mostrando che i più grandi scrittori sono dei "geometri del desiderio". In Dante (Paolo e Francesca), Shakespeare (Giulietta e Romeo) e altri, il gioco dell'amore ubbidisce alle leggi implacabili del desiderio mimetico, secondo le quali c'è un terzo termine nell'equazione amorosa: il modello che l'amante segue, che tenta di imitare e che rende desiderabile l'oggetto del suo desiderio. Un nuovo straordinario tassello che Girard aggiunge alla sua analisi dell'amore nella letteratura e nella storia dell'Occidente.
"L'autrice possiede la maestria e la grazia della più autentica critica e saggistica letteraria, la simbiosi di acribia filologica attenta al minimo e di visione all'ingrande della vita e della storia". Così Claudio Magris introduce ai dodici serrati e ariosi capitoli sul tema dello specchio che l'autrice presenta in questa opera, in un percorso che si snoda fra Dante, Foscolo, Pirandello, Svevo, Montale, Piccolo, Luzi, Vassalli e altri ancora... Sempre Magris: "Indagare sullo specchio nella letteratura diviene così un modo di entrare nel cuore del labirinto umano, nelle contraddizioni degli uomini, che vogliono afferrare ma anche occultare e occultarsi la verità e la realtà, fissare direttamente il sole abbagliante e insostenibile e insieme distogliere lo sguardo dalla sua luce. Questo saggio di Giovanna Ioli diviene così attraverso una puntuale analisi che non concede nulla a divagazioni poetizzanti né a tentazioni di discorsi generici sui massimi sistemi - un viaggio avventuroso, ulissiaco eppur lieve, nei meandri della vita lacerata tra finitezza e desiderio di eternità, nei grovigli del significato e dell'insignificanza del vivere, nelle contraddizioni della parola sospesa tra verità e fallimento. Leggendo questo libro, si capisce, si sente concretamente come la letteratura e il suo studio siano, nella misura donata ai grandi e in quella minima e manchevole di tutti noi altri, una Commedia dantesca, un viaggio attraverso i tre regni".
Che cosa si intende dire quando si parla della comparatistica come "pensiero mobile sulla letteratura" e "disciplina dei passaggi"? Quali campi interessa? Il libro ripercorre storia e metodi della letteratura comparata dalle origini sette-ottocentesche agli orientamenti degli ultimi decenni, e descrive gli ambiti fondamentali nei quali la disciplina si muove (i rapporti letterari, la letteratura generale, letteratura e "altro"). La descrizione dei campi e delle relative questioni si sofferma su esempi significativi di studio letterario comparato.
Foscolo, Leopardi, Manzoni, Verga e Carducci, Baudelaire e gli Scapigliati, D'Annunzio e Wilde, Pascoli, Pirandello, Ungaretti, Montale, Pavese e Calvino: insomma, tutto il "canone" dell'Ottocento e del Novecento. Uomini che hanno conosciuto e attraversato la frantumazione dell'io, ovvero il dramma dell'umanesimo ateo. Quasi tutti hanno dato voce alla domanda di assoluto, in pagine celebri e più spesso in pagine sconosciute che Filippetti ha scovato e che qui propone e commenta. Quasi tutti prima o poi hanno fatto i conti con l'ipotesi della rivelazione cristiana. Con non poche sorprese.