Il saggio ripercorre, alla luce degli studi più recenti, la vita e le opere dello storico Flavio Giuseppe, mettendo a fuoco un tema che ha a lungo appassionato gli studiosi: fu un traditore della sua patria o un eroe? Diversi fattori hanno influenzato la risposta a questa domanda, non ultimo l'uso che in chiave anti-giudaica fecero della sua opera i primi cristiani. Una lettura equilibrata dei suoi scritti consente di giungere a una soluzione per certi versi paradossale: la sua condotta, non sempre trasparente nelle prime fasi della guerra giudaico-romana, rende fondata l'accusa di tradimento verso i suoi connazionali, tuttavia il suo odio contro i ribelli, una volta passato nel campo romano, rivela un amore profondo e incompreso per il suo popolo.
A partire dal contesto storico e dal rapporto tra neri e bianchi negli Stati Uniti degli anni Cinquanta del Novecento, dal contributo della comunità femminile di Montgomery e di alcuni altri predecessori, l'introduzione di Rufus Burrow Jr. alla vita, al pensiero e all'impegno sociale e politico del grande pastore nero Martin Luther King, leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, ne mette in luce le battaglie e gli studi - in particolare quelli teologici, che tanto influenzarono il suo percorso e impegno pubblico -, l'evoluzione verso la nonviolenza gandhiana nonché le posizioni rispetto a razzismo, sfruttamento economico, guerra, rapporti tra i sessi, pena di morte e omosessualità. «Sarebbe un errore sostenere che Martin Luther King fosse un attivista sociale più che un pensatore. Era sia un pensatore sia un attivista sociale. Non tentò mai di separare le idee (accademiche) dall'attivismo (di strada). Anzi, mise sempre le sue idee migliori al servizio delle campagne di non cooperazione, lasciando che il suo pensiero si formasse e trasformasse grazie alla prassi, perfezionando quest'ultima grazie a idee ben meditate. Nonostante il dottorato in teologia sistematica, gli fu sempre più chiaro che la sua reale vocazione era quella di mettere in pratica un'etica teologica e sociale. Si sentiva chiamato ad applicare tutto ciò che aveva appreso per la costruzione di una "casa mondiale" basata sul principio divino di amore e giustizia universali»
Rita ha 34 anni quando suo padre, il generale dalla Chiesa, viene assassinato dalla mafia. "Mi salvo da sola" inizia proprio dal racconto di quel dramma, e del grande amore che la legava a lui. Amore e dolore, felicità e perdita, successi e delusioni sono stati la costante altalena della sua vita. Con un unico punto fermo a cui potersi ancorare: se stessa. Rita rivive tutto, sia i momenti difficili sia quelli felici accanto a Fabrizio Frizzi, l'altro uomo importante della sua vita, e lo racconta in questo libro "liberatorio" e pieno di sentimento. Un racconto che unisce sensibilità e passione, tenerezza e rabbia, commozione e autoironia: "C'è amore e forza, per me, in ogni parola. Questa sono io".
È al breve regno dell’imperatore Giuliano, al suo tentativo di restaurazione del paganesimo che si deve la caratterizzazione del IV secolo come un’età di conflitto religioso. In realtà è opportuno restituire a questa figura di sovrano tutto il suo spessore, a cominciare da una chiara volontà riformatrice di alcuni aspetti di criticità della realtà imperiale tardoantica come la fiscalità e l’autonomia cittadina. Giuliano avversò decisamente la figura dello zio, Costantino, ma non solo per la sua conversione al cristianesimo. Egli ne contestò infatti il modo in cui resse l’Impero nella sua globalità al punto da rendere ammissibile sostenere (Santo Mazzarino) che la storia del IV secolo può essere interpretata alla luce di queste due figure “epocali”. In realtà il progetto di governo di Giuliano era ambizioso e di ampio respiro. Esso giustifica la riscoperta dell’Apostata che ebbe luogo in età umanistica e illuministica e che ha esiti significativi che giungono sino ai nostri giorni.
Dopo aver raccontato con candore e allegria dei giorni trascorsi tra interventi chirurgici, terapie e speranze in «Chi non muore si rivede», Alberto Maggi risponde alle tantissime richieste dei suoi lettori curiosi di conoscere il resto della sua vita. Riprendendo così il filo interrotto dei ricordi, sfogliamo un ideale album di avventure per scoprire aspetti inediti e sorprendenti: il bambino ribelle in un'Italia del Dopoguerra più povera ma ricca di speranza, una scuola non sempre capace di contenere tutto il suo entusiasmo, la scoperta dell'amore, il riconoscimento della vocazione e la scelta - in un primo momento osteggiata dalla famiglia - di diventare frate. Condividendo la sua storia senza mai scivolare nella nostalgia, Alberto Maggi ci indica la strada per rispondere sempre con il sorriso alle difficoltà che ci impone la vita, per non arrenderci mai alle avversità e continuare sempre a combattere per i nostri sogni e per la felicità nostra e di chi ci sta accanto.
Il 9 marzo 1941, nella Amsterdam oppressa dall'occupazione nazista, una studentessa ebrea olandese di 27 anni comincia a scrivere un diario destinato a diventare uno dei più notevoli documenti emersi dall'Olocausto. Mentre l'incubo della persecuzione e della guerra assume toni sempre più cupi, Etty Hillesum imbocca un percorso che la porta ad assumere consapevolmente il ruolo di testimone e cronista della terribile realtà a lei contemporanea e a diventare un punto di riferimento per le persone di cui condivide le sofferenze nel campo di smistamento di Westerbork e insieme alle quali parte, per non tornare più, sul treno diretto ad Auschwitz. Attraverso il suo diario e le sue lettere, questa giovane donna approfondisce la sua ricerca di sé e di Dio, interrogandosi sui sentimenti di odio così diffusi fra la gente e sulla vera natura dei carnefici, e maturando una interiorità e una spiritualità così ricche da alimentare, nel periodo più buio del XX secolo, una fortissima speranza nella bontà e nel senso dell'esistenza. La lettura che Woodhouse ha compiuto della sua vita e dei suoi scritti ha, tra gli altri, il pregio di mettere in luce l'attualità di una personalità, la cui sensibilità umana e religiosa è molto vicina a quella delle generazioni del dopoguerra. La storia e il pensiero della Hillesum costituiscono un'importante fonte di ispirazione e riflessione sul vivere, sull'uomo, sulla responsabilità e su Dio.
Mai come alla fine del '500 il fenomeno del banditismo assunse proporzioni così imponenti da contrapporsi al Papato, alla Spagna e al Granducato di Toscana e da divenire strumento di ricatto nella politica internazionale. In questi tempi di inevitabili spietatezze, spicca la figura di Alfonso Piccolomini, duca di altissimo lignaggio, pronipote del coltissimo Papa Pio II. Questo libro narra la vicenda umana, sentimentale e pubblica del Piccolomini, il quale si trasformò in un protagonista temibile e implacabile di una lotta senza quartiere; un eroe da romanzo di cappa e spada, amato dal popolo e temuto dal granduca di Toscana, Francesco I de' Medici. Un libro che narra di amicizie tradite, di alleanze improbabili e di segreti inconfessabili. Quante sincere menzogne si possono annidare nell'animo umano?
Un uomo guarda, lontano, le acque dell'Ellesponto; e traccia il bilancio di un'intera esistenza. Annibale ha appena finito di redigere le sue memorie, il testamento spirituale destinato, egli spera, a sopravvivergli e a giustificarlo nell'ora in cui sente approssimarsi la fine. Il Cartaginese ripercorre così il suo passato: l'infanzia in una Cartagine ormai quasi sognata, che non rivedrà mai più; l'agonia di un leone crocifisso visto da bambino; la vocazione militare da subito evidente; l'inflessibile senso del dovere che lo ha spinto su una strada segnata fin dall'inizio. Ora il sogno inseguito da Annibale, nel tragitto dalla Spagna a Crotone, è svanito. Il passaggio delle Alpi, destinato a divenire leggenda, e l'iniziale succedersi di trionfi militari hanno invece rivelato la spaventosa forza di una realtà politica, quella romana, immensamente superiore alla sua Cartagine. Questa forza sta ora dilagando e minaccia di trasformare quel mondo ellenistico che il Cartaginese ama e al quale appartiene. In queste pagine, un vinto nobilissimo ripercorre, con amara sincerità, le tappe di una vita senza uguali.
La prima biografia completa di un grande innovatore, che ha dominato con maestria scienza del linguaggio, filosofia, psicoanalisi. Al centro del libro, oltre alle figure affascinanti dei protagonisti della cultura del Novecento – Koyré, Kojève, Heidegger, Sartre, Althusser, Lévi-Strauss –, innumerevoli aneddoti ed episodi raccontano le passioni dell’uomo, ribelle e anticonformista: padroneggiare il tempo, frequentare i grandi della sua epoca, collezionare oggetti, sedurre le donne. Ma, soprattutto, dominano queste pagine il genio clinico che ha sovvertito la pratica psicoanalitica; la potenza teorica di un uomo che ha costruito un pensiero fondato sulla determinazione del soggetto attraverso il linguaggio; l’acume di un maestro che ha analizzato con sottigliezza il declino della funzione paterna, le contraddizioni dell’amore, la logica della follia.
Biografia dell'autore
Elisabeth Roudinesco
Élisabeth Roudinesco, storica e psicoanalista, ha insegnato all’École des hautes études en sciences sociales. È autrice di numerosi testi sulla storia della psicoanalisi, la filosofia e l’ebraismo.
Sullo sfondo della grande epopea del West cresce il giovane Alce Nero, indiano della nazione Dakota e della tribù Oglala. A 13 anni combatte a Little Big Horn, nella battaglia che segna la sconfitta del Generale Custer. A 27 anni è ferito a Wounded Knee, durante il massacro che pone termine alle Guerre Indiane. Nello scontro con la civiltà dei bianchi il suo mondo, il cerchio della sua nazione, si sta spezzando. Ancora bambino, Alce Nero ha avuto delle visioni. Una "Grande Visione" che gli ha dato la speranza di poter ancora salvare il suo popolo. Il filo conduttore della sua vita è la struggente nostalgia di un recupero della vita tradizionale e dell'unità del suo popolo ma neanche il viaggio in Europa con il circo di Bufalo Bill gli fa trovare nel mondo dei bianchi una "medicina". Sarà l'incontro con un sacerdote missionario a iniziarlo nel cammino di conversione che cambierà completamente la sua esistenza, senza dover però rinnegare il suo passato. Alce Nero il primo beato del popolo Pellerossa, un personaggio simbolo della capacità dell'esperienza cristiana di essere veramente "cattolica" per tutti.
Di Luca Ronconi (1933-2015), uno dei grandi intellettuali del secondo Novecento, è nota la proverbiale riservatezza. Qui, a differenza dei molti libri su di lui, è Ronconi stesso a parlare di sé. Ascoltiamo dunque sulla pagina la voce del regista, che - raggiunti i sessant'anni - ripercorre la propria esistenza, non inseguendo gli aneddoti o i capricci della memoria, ma cercando di arrivare alla scoperta del senso della vita. Si vedono così scorrere l'infanzia, negli anni della guerra, in un collegio svizzero, la Roma dell'apprendistato all'Accademia d'arte drammatica (che è anche quella della "Dolce vita"), il passaggio da attore a regista, il trionfo europeo dell'"Orlando furioso", la direzione del Settore Teatro della Biennale di Venezia, tra Grotowski e Wilson, l'esperienza politica e culturale del Laboratorio di Prato, nella Toscana "rossa", l'approdo alla direzione di un teatro stabile, con il senso di responsabilità che questo comporta e la volontà di istituire una scuola per attori. Tutto è raccontato in maniera piana e accompagnato da un corredo fotografico - sia nel testo, un centinaio di foto per buona parte inedite, sia in un inserto a colori - e da note di servizio, messe a punto da Giovanni Agosti, che sciolgono le allusioni, identificano i personaggi, mettono a tema le linee di fuga e costituiscono un viatico per comprendere chi, più di ogni altro regista, è andato alla ricerca delle proprie ragioni espressive. Il manoscritto, raccolto da Maria Grazia Gregori, è stato ritrovato nell'archivio di Ronconi, ereditato da Roberta Carlotto e oggi depositato presso l'Archivio di Stato di Perugia.
Niccolò Machiavelli è considerato uno dei più grandi teorici della ragione politica. In effetti è straordinaria la capacità con cui analizza le situazioni, i rapporti di forza, le alternative. Ma non è solo questo. È anche un visionario capace di sporgersi oltre le barriere dei canoni consueti, di vedere al di là delle situazioni di fatto, di proporre soluzioni 'eccessive', straordinarie: appunto, «pazze». Non per nulla gli amici gli attribuiscono capacità profetiche, cioè di prevedere cosa sarebbe, infine, accaduto. Machiavelli condivide naturalmente il giudizio sulla pazzia come mancanza di senso della realtà, stravaganza, addirittura idiozia: fare le cose «alla pazzeresca», come dice nella Mandragola, gli è completamente estraneo. La 'pazzia', però, può essere anche un'altra cosa: capacità di contrapporsi alle opinioni correnti, di rischiare il tutto per tutto inerpicandosi sul crinale che divide la vita dalla morte, di combattere affinché le ragioni della vita - cioè della politica, dello Stato - possano prevalere sulle forze della crisi, della degenerazione, pur sapendo che sarà infine la morte a prevalere sulla vita, perché questo è il destino di ogni cosa. Realismo e 'pazzia': è in questa tensione mai risolta che sta il carattere non comune, anzi eccezionale, dell'esperienza di Machiavelli rispetto ai suoi contemporanei. Una pazzia totalmente laica e mondana, senza alcun contatto con la follia cristiana di Erasmo.