Il sindacato, con l'insegnamento e l'impegno politico, era una delle strade che don Milani indicava ai suoi ragazzi per praticare l'amore e dare finalità alla vita. Molti allievi del priore di Barbiana hanno seguito questo invito, generazioni di sindacaliste e sindacalisti hanno tratto e traggono ispirazione dalle parole e dai gesti del sacerdote fiorentino. Eppure il rapporto, intensissimo, tra don Milani, la sua scuola e il mondo del lavoro non è tra i più studiati e conosciuti. Questo testo, a più voci, pensato in ricordo di Michele Gesualdi, racconta di un filo intrecciato tra la collina sul versante nord del Monte Giovi e la scuota di formazione per sindacalisti Cisl che sorge non molto distante, sulle colline che, da Firenze, portano a Fiesole. Una storia di riscatto, impegno, denuncia e testimonianza che, a partire dai primi sei allievi accolti da don Milani nell'«esilio» di Barbiana, ha incastrato - dal Sessantotto fino a oggi - la dimensione collettiva e plurale della rappresentanza del mondo del lavoro. Giungendo fino a latitudini lontane e a sentieri fecondi e inaspettati.
Don Lorenzo è stato un fustigatore verso la Chiesa come verso di noi. Noi l'abbiamo capito subito la Chiesa no! Ha continuato a pungolare e ferire la nostra dignità di ragazzi, finché s'imparasse a reagire, a non subire, a uscire dalla timidezza, per essere domani liberi e sovrani e non benestanti e oppressi. Ci ha insegnato che non serve avere le mani pulite se si tengono in tasca, ad avere la speranza, a organizzarsi perché i sogni non restino illusioni. Con la parola alla gente non si fa nulla, sul piano divino ci vuole la grazia e sul piano umano ci vuole l'esempio.
Per raccontare ai ragazzi la vita di don Lorenzo Milani, sacerdote e grande maestro, Eraldo Affinati si è fatto aiutare da sei adolescenti davvero speciali: Tao, Amina, Mohamed, Romoletto, Manuela e Sofia. Ognuno di loro scopre così il famoso priore di Barbiana, dai giorni lontani in cui era solo un bambino ricco e privilegiato, fino a quando, schierandosi dalla parte dei poveri, è diventato uno dei più importanti personaggi dei nostri tempi: araldo e messaggero di un modo assolutamente nuovo di concepire la scuola, la religione, la politica e perfino la maniera di stare insieme. I capitoli, brevi e concisi, diventano validi esempi di lezioni interattive, utilizzabili in classe, dove gli studenti, con la freschezza e l'entusiasmo che li contraddistingue, fanno domande e commenti per approfondire le varie fasi di una straordinaria avventura umana. Alla fine anche l'autore, da sempre appassionato alla dimensione pedagogica della scrittura, riconosce di aver composto il libro insieme agli scolari, un po' come fece don Milani nella sua opera più nota: "Lettera a una professoressa". Età di lettura: da 11 anni.
Con ancora nella memoria l'eco della visita a Barbiana di papa Francesco, i vescovi toscani mettono a tema l'acuta riflessione di don Lorenzo Milani sul primato della comunicazione e sul valore della parola. «Da sempre la storia umana ne ha riconosciuto il potere - parola che trasforma e guarisce, ma anche immobilizza e ferisce -, al punto da elaborare vere e proprie strategie per irregimentarla e tenerla, se possibile, sotto controllo. Ed è paradossale che, proprio nel tempo in cui la comunicazione si moltiplica e tocca ogni sfera della vita, la parola umana subisce, in realtà, un vero e proprio esilio, un'incapacità a essere utilizzata con l'essenzialità e la forza che essa possiede».
Il recupero integrale del materiale filmato girato dal regista Angelo D’Alessandro nel dicembre del 1965 a Barbiana, protagonisti Don Lorenzo Milani e i suoi allievi, diventa l’occasione per far riemergere con forza l’attualità del messaggio del Priore a cinquant’anni dalla morte e ricordare a tutti la sua grande lezione.
Sono passati cinquant’anni dalla morte di don Milani (1967-2017), eppure la sua figura e le sue opere – un epistolario privato e pochi scritti di provocazione pubblica taglienti come una lama – continuano a suscitare un dibattito che non si è mai spento. Questo libro non vuole essere l’ennesimo profilo, ma intende osservare e interpretare questo mezzo secolo di dibattito analizzando la sua figura come uno degli indicatori possibili della storia dell’Italia di oggi.
Il volume analizza quindi il ruolo che la sua Lettera a una professoressa assunse come manifesto antiautoritario nei movimenti del Sessantotto; ricostruisce le visioni contrapposte del “profeta santo” e del “cattivo prete” da parte del mondo cattolico (fino alla recente “discesa a Barbiana” dell’elicottero di papa Francesco); si sofferma sulla sua importanza nei movimenti pacifisti del dopoguerra; ripercorre i tanti pellegrinaggi politici a Barbiana di esponenti dei partiti; riflette su come cinema, teatro e televisione abbiano interpretato il suo messaggio.
Un’intervista a Tullio De Mauro, che è stato uno dei più tenaci sostenitori del pensiero di don Milani sulla scuola e sulla formazione, conclude questo itinerario dentro la biografia sommersa del nostro Paese.
Il libro parte da quell’esperienza straordinaria che fu la Scuola di Barbiana, ma non parla in senso stretto di don Milani, sul quale, nei cinquant’anni trascorsi dalla sua morte e dalla pubblicazione della Lettera a una professoressa, si è dibattuto e scritto moltissimo, con esiti che vanno dall’apologia alla critica feroce a un utilizzo fecondo delle sue idee.
Qui si vuole invece ricostruire il contesto di grande fermento sociale e culturale in cui quelle idee si diffusero, attraverso i brevi racconti autobiografici di quanti proprio in quegli anni diventavano «giovani maestri» portando dentro di sé l’ispirazione milaniana, con modi, intensità e risultati diversi.
In questo quadro ricco di storie e di memorie, utili a cogliere lo spirito di un’epoca, emergono forti la spinta etica e pedagogica nata dalla Scuola di Barbiana e la necessità di continuare a coltivare quelle istanze rinnovandole e adattandole al mondo d’oggi, sotto la stella garante dell’inclusione, che rappresenta il vero terreno di azione e di miglioramento per la scuola e per le generazioni future.
L'esperienza educativa vissuta da don Lorenzo Milani nel corso degli anni '60 rappresentò una provocazione profetica, uno schiaffo alle concezioni correnti di educazione, giustizia, politica e scuola. Ciò che avvenne a Barbiana espresse la possibilità di educare come atto di giustizia e non di esclusione sociale. L'educazione come pratica della giustizia costituisce un "mito" educativo che ha alimentato - in questi decenni - tantissime iniziative, originali e ricche di significato. Il volume analizza e discute questo mito educativo che - se coltivato e continuamente reinventato - permette di affrontare sfide sociali ed educative nuove, in un mondo assai diverso da quello vissuto da don Milani. Lo schiaffo di don Milani è rivolto agli educatori e alle educatrici, ai genitori, ai giovani. Accompagna il lettore attraverso i luoghi dell'esperienza milaniana, in particolare Barbiana, e i temi che quell'esperienza affrontò: il potere della lingua, il valore della relazione educativa tra maestro e allievo, il senso della politica e della cittadinanza, il rapporto tra vita quotidiana e apprendimenti. Prefazione di Romano Prodi
Il libretto contiene i due discorsi commemorativi di papa Francesco in visita alla tomba di don Primo Mazzolari a Bozzolo (Cremona) e alla tomba di don Lorenzo Milani a Barbiana (Firenze), pronunciati il 20 giugno 2017.«Siate orgogliosi di aver generato "preti così" - ha detto Bergoglio - e non stancatevi di diventare anche voi "preti e cristiani così", anche se ciò chiede di lottare con sé stessi, chiamando per nome le tentazioni che ci insidiano, lasciandoci guarire dalla tenerezza di Dio».
Un'originale interpretazione di "Lettera a una professoressa" che, a mezzo secolo dalla sua uscita, si presta a una rilettura in chiave sociologica. Concetti come "capitale culturale", "ideologia delle doti", "violenza simbolica", "habitus", "codici linguistici", ne costituiscono di fatto la cornice teorica. Depurando il priore di Barbiana dalle incrostazioni ideologiche che si sono andate sommando nel tempo, fino a falsarlo sublimandolo in una icona buona per tutti gli utilizzi, anche politici, sottolineandone l'eccezionale statura ma anche i, sia pur pochi, limiti, se ne ottiene una rappresentazione più vicina alla realtà, inquadrata nell'ambito della Chiesa fiorentina del suo tempo.
Don Lorenzo Milani non era specializzato in pedagogia e non militava nei partiti. Eppure pochi hanno fatto e scritto di scuola con altrettanta efficacia e con la capacità di cogliere le radici dell'ineguaglianza sociale. Il priore di Barbiana ha scelto di insegnare ai più piccoli e agli esclusi per educarli a liberarsi da soli e diventare uomini. Perché la parte dei poveri è sempre la parte giusta, non solo per motivi di equità economica o di accesso alla politica, ma in nome del futuro del mondo, il cui germe è là dove anche chi è senza mezzi impara, giorno dopo giorno, i modi e i tempi del futuro di Dio. Le origini religiose dell'attività di don Milani si intrecciano nella sua figura con un profondo senso della laicità e dell'aconfessionalità, elementi che ne fanno uno dei maggiori educatori del nostro tempo.
Nel febbraio del 1965 i cappellani militari della Toscana emanano un comunicato stampa accusando i giovani italiani obiettori di coscienza di essere dei vili. In loro difesa interviene don Milani con una lettera aperta agli stessi cappellani, una lettera di altissimo valore morale e civile nella quale chiede rispetto per chi accetta il carcere per l'ideale della nonviolenza. Per questa sua lettera Milani viene denunciato da un gruppo di ex combattenti e messo sotto processo. Impossibilitato a parteciparvi per l'aggravamento del tumore che lo porterà, di lì a poco, alla morte, Milani scriverà una memoria difensiva sotto forma di lettera ai giudici. In essa la storia civile dell'Italia unita viene riletta senza retorica celebrativa come storia feroce di guerre, di spietato colonialismo, di sopraffazione di poveri. La lettera, vero manifesto contro l'obbedienza cieca, metterà anche sotto accusa la illusoria deresponsabilizzazione dell'esecuzione di ordini, anche omicidi, impartiti da una autorità. Le due lettere di Milani sono accompagnate da note che ne chiariscono il senso e le relazioni con la sua opera.