Una mattina di primavera del 2022, al termine di una lunga riunione del Consiglio dei ministri, i giornalisti vengono convocati a Palazzo Chigi per una conferenza stampa. Li attende un primo ministro tecnico che ha finalmente avviato il Recovery Plan, ha delineato le riforme necessarie, ha tamponato in parte la grave crisi economica e sociale, ma che si rende conto che, malgrado gli sforzi, l'Italia riesce a spendere solo una piccolissima parte dei fondi Ue. In apertura il primo ministro mostra ai giornalisti stupiti una scena del film di Buñuel, "L'angelo sterminatore", in cui un gruppo di borghesi, ospiti in una villa per cena, per qualche misterioso motivo non riescono più a uscirne. Comincia così questo libro, dallo stile narrativo e surreale, in cui Marco Ruffolo spiega come (non) funzionano organismi pubblici come la Conferenza Stato-Regioni, la Conferenza di servizi, la Corte dei Conti, i Tar, l'Anac. Sovrapposizioni di poteri, controlli asfissianti e inutili, scarsa competenza, leggi farraginose, gare d'appalto complicate: alla fine una grande tenaglia impedisce allo Stato di funzionare. L'immaginario premier ha molto più di qualche idea su come uscire dallo stallo. Ma la sua strada è disseminata di trappole.
Dopo un evento traumatico di notevole intensità, la qualità della vita peggiora soltanto o è possibile un riordino positivo della propria esistenza? È questa la domanda che fa da filo conduttore al presente scritto e che le sfide dell'ultimo decennio fanno risuonare in seno alle comunità civili ed ecclesiali. Gli studi di Tedeschi e Calhoun sulla crescita post-traumatica, la teoria della resilienza elaborata da Cyrulnik permettono di focalizzare l'attenzione sull'evento sismico che ha colpito la città dell'Aquila nel 2009, cercando di cogliere, a poco più di un decennio dall'evento, gli aspetti più significativi da trasmette a persone e comunità colpite da catastrofi naturali.
Con il Covid-19 l'umanità si è riscoperta vulnerabile. Ci siamo risvegliati di colpo, sbandati, come una nave senza timone. Quando si è in mare, la sopravvivenza dell'equipaggio è il punto fondamentale per l'efficienza del "sistema-nave". Al contrario, siamo noi l'anello debole delle catene dell'interdipendenza globale: catene di informazioni, dati, denaro, merci e anche persone. Ma catene pensate per le cose e non per le persone. L'umanità deve sfruttare l'occasione della pandemia per ripensare la sua navigazione e la sua rotta. L'egemonia mondiale americana è al tramonto, oppure la sconfitta di Trump rilancerà gli Stati Uniti? La Cina, da cui si è diffuso il virus, supererà l'Occidente e diventerà il nuovo modello di riferimento? La grande svolta del "Recovery fund" potrà diventare il volano di una reale trasformazione dell'Unione Europea? Saranno i più deboli a pagare le conseguenze sociali della pandemia, o sapremo rispondere allo shock nel segno dell'equità e della sostenibilità ambientale? La democrazia riuscirà a sopravvivere al rischio di un nuovo autoritarismo, trovando un rapporto più equilibrato tra politica ed economia? Vittorio Emanuele Parsi ci guida nel futuro, accompagnandoci tra i possibili scenari della politica mondiale. Il post-pandemia potrebbe alimentare il rancore diffuso, oppure rinfocolare una nuova speranza. Potremmo ritrovarci in un clima di Restaurazione, oppure in un nuovo Rinascimento. Per questo abbiamo il dovere di metterci in gioco affinché la ricostruzione che ci attende sia paragonabile a quella del dopoguerra, non solo nella sua dimensione materiale ed economica, ma anche in quella politica e spirituale.
La fine del nostro pianeta è davvero imminente? Sul serio moriranno «miliardi di persone» a causa del cambiamento climatico? Prosperità economica e difesa dell'ambiente sono giocoforza incompatibili? E se invece agitarsi tanto attorno a questi temi fosse in parte la manifestazione di un bisogno di trovare un ruolo e una causa semplice a cui aggrapparsi per dare un senso a un mondo dominato dal caos? Da anni tra i maggiori sostenitori di un approccio pragmatico ai problemi ambientali, Michael Shellenberger sconfessa falsità e danni di una delle più diffuse ideologie dei nostri tempi. La principale conseguenza della disinformazione diffusa è di aver reso difficile - se non impossibile - un dibattito serio e articolato: aver ammantato di fatalismo ogni discussione su uno sfruttamento più intelligente delle risorse naturali fa sì che qualsiasi proposta che non implichi «decrescite felici» e «sviluppi sostenibili» venga rigettata a priori. Come uscire da questa impasse? Shellenberger tenta di rimettere ordine tra le varie posizioni e, con argomenti e soluzioni pragmatiche in grado di smentire ideologie e visioni romantiche dell'ambiente, prospetta una visione totalmente alternativa a quella imperante. Analizzando gli stereotipi più diffusi (dalla pericolosità delle centrali nucleari agli incendi in Amazzonia, dall'inquinamento degli allevamenti intensivi fino alla presunta rivoluzione dell'energia solare), l'autore analizza errori e orrori della nuova religione ecologista, tanto più pericolosa perché capace di offrire facili promesse di redenzione, e mette in guardia il lettore da chi, di fronte a sfide epocali, offre soluzioni semplicistiche a problemi complessi.
L'idea che sta all'origine di questo libro-intervista è la volontà di lasciare una testimonianza intorno al momento più drammatico che il nostro paese abbia attraversato dal dopoguerra, dalla prospettiva di chi ha vissuto la crisi pandemica da Covid-19 all'interno di uno dei punti più nevralgici della nostra società. Ma l'incalzare delle domande di Ferruccio de Bortoli all'autore e la contestualizzazione a tutto tondo del ruolo della formazione universitaria in un grande paese moderno come il nostro, travalicano presto la pur grave urgenza sanitaria e finiscono per delineare un quadro ampio, che porta a interrogarci sul tipo di futuro che l'Italia vuole costruirsi. In queste pagine il rettore del Politecnico di Milano - un'istituzione che ha una storia lunga e importante e che rappresenta una delle eccellenze del nostro sistema formativo - racconta in che modo l'ateneo abbia reagito all'emergenza del 2020. Il lockdown dei primi mesi, le aule vuote e la difficile situazione successiva, affrontata dal Politecnico come da tutti gli atenei italiani, hanno messo a nudo al contempo le potenzialità e le criticità del sistema universitario, oltre a quello degli altri settori del paese. Ferruccio Resta, dal suo punto privilegiato d'osservazione, anche in quanto presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, forte di questa esperienza indica da quali basi si debba ripartire per dare al nostro paese un futuro migliore. Ripartire dalla conoscenza non è solo il titolo del libro, dunque, ma è un impegno programmatico: la formazione, quella superiore in particolare, è la base sulla quale dobbiamo investire e puntare per rendere l'Italia un paese più forte, capace di affrontare le sfide che il nostro mondo in rapido cambiamento ci sta urgentemente ponendo.
Questo libro non è un trattato sull'obbedienza. Né un nuovo "discorso sulla servitù volontaria", che piega gli uomini sotto qualsiasi legge. Ma piuttosto un diario di viaggio, arioso e curioso, che tocca tempi e luoghi diversi: voti monastici, doveri militari, vincoli di partito, fedeltà costituzionali. E giunge fino all'oggi, al nostro trepido vagare nell'occasionalismo delle prescrizioni mediche. Stagioni lontane e vicine sono percorse da Natalino Irti, con lo sguardo sempre volto all'irripetibile singolarità dell'atto di obbedienza, quando l'individuo ascolta, interroga sé stesso, scioglie il dubbio, e infine decide per il sì o il no. La sua volontà è il giudice di ultima istanza.
Il Partito Comunista Cinese è determinato a rimodellare il mondo a sua immagine e somiglianza. Esso ha un solo obiettivo: vincere quella che considera una feroce guerra ideologica contro l'Occidente. Ai suoi occhi il mondo si divide tra coloro che possono essere conquistati e i nemici. Pezzi importanti dell'élite economica e politica occidentale sono già stati cooptati; molti altri, proprio in questo momento, stanno valutando se stringere o meno un "patto col diavolo". Attraverso il suo enorme potere economico e le sue operazioni segrete "di influenza", la Cina sta lentamente ma inesorabilmente indebolendo le istituzioni globali, prendendo di mira in modo aggressivo le singole imprese e minacciando la libertà di espressione nei campi delle arti, della cultura e del mondo accademico. Allo stesso tempo, i servizi di sicurezza occidentali sono sempre più preoccupati per le incursioni cinesi nella nostra infrastruttura di telecomunicazioni. "La mano invisibile", frutto di un lavoro meticoloso durato anni, espone il programma globale di sovversione del Partito Comunista Cinese e la minaccia che rappresenta per la democrazia. Combinando una ricerca scrupolosa con una prosa avvincente, Clive Hamilton e Mareike Ohlberg mettono a nudo la natura e la portata delle operazioni del Partito in tutto il mondo occidentale, portando alla luce le minacce alle libertà democratiche e alla sovranità nazionale in Europa e nel Nordamerica, e mostrano come possiamo respingere la pressione autocratica cinese.
Questa lunga intervista è un interessante spaccato delle vicende legate a Roma Capitale. Dal commissariamento del Prefetto Francesco Paolo Tronca alla amministrazione Raggi, dal parere di Raffaele Cantone al “caso Palamara”.
È un piacevole racconto, quasi un romanzo, denso di episodi — anche personali — narrati con un rigore non scevro da critiche pungenti, ma anche costellato di amabili ricordi rivisitati con una punta di nostalgia.Le storie raccontate in questo volume si inseriscono nel contesto del ’500 friulano, legandosi non solo al fenomeno dell’eresia e dell’Inquisizione, ma anche ai più ampi cambiamenti culturali dell’epoca. Sono tutte realmente accadute e documentate, sebbene su ognuna l’Autore sia intervenuto colmando con l’immaginazione i vuoti delle testimonianze storiche disponbili, aggiunendo particolari utili a renderle più vive e complete nella loro dimensione umana. La narrazione resta comunque sempre fedele alla realtà, senza alterare in alcun modo lo svolgimento dei fatti, che trovano riscontro nei documenti accuratamente citati in appendice.
Note sull'autore
Roberto Iacovissi, nato a Gemona del Friuli nel 1945, giornalista pubblicista e critico d’arte, ha scritto recensioni e saggi – in lingua italiana e friulana – su diversi giornali e riviste locali con le quali collabora. Si è occupato soprattutto degli aspetti culturali della realtà linguistica friulana, in particolare di cinema, di critica letteraria e storia locale, pubblicando diversi libri su questi argomenti.
«Che fine hanno fatto i bambini?» chiedevano alcuni striscioni comparsi in diverse città italiane durante il primo lockdown, quando le scuole erano chiuse e i ragazzi erano spariti dal discorso pubblico. Quando il presidente del Consiglio e il comitato scientifico avevano dimenticato di decidere se un bambino, accompagnato, potesse fare almeno un giro intorno al palazzo, capire che il mondo non era scomparso, avere un'idea di quel che stava accadendo davvero. Annalisa Cuzzocrea, inviata di Repubblica, mamma di Carlo e Chiara, ha deciso di indagare sul perché bambini e i ragazzi non siano stati visti dal governo alle prese con l'emergenza Covid-19. Perché siano serviti mesi prima di rendersi conto di quanto pesante sarebbe stata la conseguenza della chiusura delle scuole, dell'isolamento nelle case, soprattutto per i più fragili e per chi vive in contesti difficili. Attraverso il dialogo con psicologi, scrittori, economisti, demografi, sociologi, registi, insegnanti, genitori, nel viaggio che la porta fino ai Quartieri spagnoli di Napoli e dentro la sezione nido del carcere di Rebibbia, l'autrice scopre le ragioni di fondo dell'invisibilità di infanzia e adolescenza nel nostro Paese. Dove le esigenze e i diritti dei più piccoli, dei più giovani, vengono sempre dopo. Messe dallo Stato a piè di lista, mentre troppo, quasi tutto, si delega alle famiglie di appartenenza. I bambini sono considerati "bagagli appresso" dei genitori, appendici affidate alle loro cure, non cittadini degli spazi che abitano, quasi mai pensati per chi ha meno di 18 anni. È solo un problema politico o è anche e soprattutto un problema culturale? Perché l'Italia stenta a vedere i suoi figli per quello che sono, e si limita a studiarli attraverso quello che consumano? Se tutto è affidato alla famiglia, cosa si fa dove l'ambiente d'origine non funziona, non aiuta, non permette di "fiorire"? "Che fine hanno fatto i bambini" è un testo necessario per capire cosa ci stiamo perdendo, come stiamo mettendo in pericolo il nostro futuro. E da dove bisogna ripartire. Un saggio a più voci, grazie ai contributi di Annalena Benini, Nadia Terranova, Giacomo Papi, Francesca Archibugi, Viola Ardone, Silvia Vegetti Finzi, Matteo Lancini, Chiara Saraceno, Alessandra Casarico, Alessandro Rosina, Wilma Mosca, Bruna Mazzoncini, Rachele Furfaro, Luigi Manconi.
Generalmente si è portati ad attribuire un significato positivo al cambiamento. Eppure cambiare il mondo non ha in sé alcun significato di valore. Dentro al cambiamento del mondo stanno i grandi progressi della scienza e della tecnologia, che migliorano il benessere dell'uomo e lo rendono maggiormente cosciente e capace di controllare quanto gli sta intorno; ma ci sono anche disastri ecologici, cambiamenti antropologici devastanti, genocidi consapevoli o inconsapevoli. Cambiare il mondo è un obiettivo o una pulsione fondamentale insita nell'uomo, che dobbiamo imparare a controllare e a indirizzare verso fini comuni? E, se di questo si tratta, abbiamo gli strumenti per capire come indirizzare il cambiamento?
Il libro, partendo da alcune riflessioni di Chiara Lubich che illuminano specifici aspetti della nostra vita relativi al benessere psico-fisico e alla salute ambientale, disegna attraverso riflessioni ed esperienze uno stile di vita capace di costituire una risposta costruttiva e pacificatrice alle sfide del presente, quali le malattie, la vecchiaia, l'inquinamento del pianeta, fino alle pandemie che ci troviamo ancora una volta ad affrontare.
Luigino Bruni continua il percorso iniziato del best seller "Il capitalismo e il sacro" rispondendo a nuovi interrogativi: che cosa del cristianesimo è entrato nel capitalismo? Che cosa è rimasto fuori? Come è entrato? Dai trenta denari a oggi, storia della contaminazione tra economia e religione. C'è un'importante tradizione di pensiero che ha letto il capitalismo come figlio del cristianesimo europeo e occidentale. Ma sebbene prima Marx e poi Benjamin avessero avanzato dubbi profondi sulla natura cristiana del capitalismo, il mito dello "spirito" cristiano del capitalismo ha retto per tutto il XX secolo. Eppure, quella tesi era in origine e resta ancora controversa e debole, in particolare se andiamo a interrogarla a monte (primi secoli cristiani) e non a valle (modernità), quando l'Europa ha formulato le sue prime promesse in rapporto all'economia. In realtà la nascita del capitalismo è stato un allontanamento dallo spirito evangelico, un abbandono della sua principale eredità: la gratuità. L'arte della gratuità non è entrata tra le competenze sviluppate dalla cultura capitalistica, che avendone intuita la natura sovversiva l'ha sostituita con la filantropia.