Abbiamo tutti bisogno del mito. Non solo e non tanto perché ci piace o perché addirittura ne siamo appassionati, ma perché abbiamo tutti bisogno di una cornice in cui inquadrare noi stessi e il nostro presente. Il mito seduce l'immaginazione, meraviglia, ma soprattutto offre radici al nostro pensiero perché, ci insegna Vernant, quello che a prima vista sembrerebbe «un guazzabuglio di favole strampalate» poggia piuttosto su fondamenta profondissime, che hanno consentito ai Greci di costruire il loro mondo spirituale e materiale. Insomma, sebbene nessuno creda, e probabilmente abbia mai creduto anche nell'antichità, che le storie di eroi e dèi siano vere, che sia realmente esistita un'Afrodite uscita dalle acque o un'Atena nata dalla testa di Zeus, tutta la civiltà occidentale continua a figurarsi all'interno dell'orizzonte intellettuale tracciato quasi tremila anni fa dal mito greco. Come sostiene Andrea Marcolongo nella sua prefazione, «il mito greco si rivela ancora oggi il perimetro entro il quale pratichiamo l'esercizio del pensiero - e con cui misuriamo il grado raggiunto o mancato della nostra civiltà».
Il XXI secolo ha visto il declino dell'Italia e l'approfondirsi delle sue disparità interne. Per comprenderne il perché serve collocare quelle vicende, con un'analisi comparata, nel contesto dei grandi cambiamenti internazionali: l'allargamento a Est dell'Unione Europea, la deindustrializzazione, i nuovi servizi avanzati nelle città, il mutamento demografico, le migrazioni, l'influsso liberista sulle politiche economiche. In tutta Europa, a differenza di quanto avveniva nel Novecento, le disuguaglianze stanno aumentando. Ma le gerarchie territoriali non sono un destino irreversibile, cambiano grazie a intelligenti politiche pubbliche. Non è però ciò che è avvenuto, specie negli anni Dieci, in Italia: le politiche hanno spesso assecondato e non contrastato il declino e l'aumento delle disparità. Un'analisi di ampia prospettiva storica, fondata su dati e casi concreti, indispensabile per chi voglia trarre indicazioni per ripensare un'Italia più competitiva e più inclusiva, specie dopo la grande pandemia.
È nel Mediterraneo che va diluita la modernità inconsapevole, troppo presa dalla corsa allo sviluppo. È qui che possono stemperarsi i dilemmi della globalizzazione. Occorre restituire al Sud l'antica dignità di soggetto del pensiero, interrompere una lunga sequenza in cui esso è stato pensato da altri. D'altra parte il pensiero meridiano «esiste in forme disperse e talvolta malate e bisogna imparare a cercarlo: lo si può trovare nei nostri sud interiori, in una follia, in un silenzio, in una sosta, in una preghiera di ringraziamento, nell'inettitudine dei vecchi e dei bambini, in una fraternità che sa schivare complicità e omertà, in un'economia che non abbia ripudiato i legami sociali. Lo si può trovare nei sentimenti dove vivono più patrie, dove alla semplicità del sì e del no si sostituiscono i molti veli della verità».
Dalla straordinaria esperienza internazionale degli Autori un libro sulla transizione ecologica e socioeconomica, verso un mondo in cui le frontiere siano membrane di osmosi dove tutto attraversa e nulla è trattenuto.
Il mondo è alla ricerca di una terza via tra chi vuole un mondo diviso in centinaia di paesi, migliaia di popoli, centinaia di migliaia di città e cittadinanze diverse e divise, e chi, invece, vorrebbe usare la distinzione e la diversità per ridurre le distanze e diluire o eliminare le divisioni antagoniste. Dalla straordinaria esperienza internazionale degli Autori un libro sulla transizione ecologica e socioeconomica verso un mondo senza false frontiere, che dovrà fondarsi sulla fraternità della concittadinanza globale e dei diritti umani.
Se siamo tutti uguali e con gli stessi diritti, non possiamo più separare. Dobbiamo invece riparare i conflitti armati ed economici, imparare e preparare la rigenerazione di un genere umano felice.
Qualunque cosa possiate pensare, il progresso dell'umanità sta rallentando sin dall'inizio degli anni Settanta. I tassi di natalità e produttività sono scesi durante le ultime generazioni, e con essi, fatto sorprendente, anche il ritmo dell'innovazione tecnologica. Ma è davvero un problema? Danny Dorling, mentre sostiene che i rapidi passi in avanti del recente passato hanno portato alla guerra su ampia scala e a una mostruosa disuguaglianza, accoglie con favore l'attuale rallentamento in quanto periodo pieno di promesse e avanzamento verso la stabilità. Nel suo nuovo saggio, Dorling ci mostra come la nuova era della decelerazione ci regali l'occasione di stabilizzare l'economia, aumentare l'uguaglianza e imporre uno stop a ulteriori danni ambientali. Non stiamo andando verso l'utopia, sostiene l'autore, però potremmo finire per vivere una vita migliore.
«Questo è per me, oggi, la fede: dar credito a una promessa di vita infinita, perché ho finalmente capito che non posso fare a meno di sperare in essa. E la speranza è presente in me non per obbedienza al mio credo o alla mia Chiesa, ma perché sono uomo, ho dentro l'infinito e voglio la vita.», Nella lunga confessione contenuta in queste pagine, don Antonio Mazzi dà molto spazio alla speranza, un sentimento che non invecchia, che accomuna persone di fede e non credenti, che ci aiuta a guardare a noi stessi e agli altri fiduciosi di ricevere amore e salvezza e di poterne dare a nostra volta. Rivolgendosi idealmente a un giovane interlocutore, il sacerdote che ha dedicato la vita ai "ragazzi cattivi" ripercorre alcune sue esperienze per consegnarci, in un amorevole testamento spirituale, i pensieri che più gli stanno a cuore: la dimensione vitale, corporea, universale del Vangelo; il senso di essere prete e padre; l'importanza dell'ascolto e dell'accoglienza; il ruolo del perdono; la bellezza della preghiera; la necessità di aprirsi agli insegnamenti paradossali di Gesù per vivere in pienezza. Con la passione, la schiettezza e l'energia che lo caratterizzano, don Mazzi ci trascina a scandagliare, insieme a lui, il mistero che riguarda tutti e ciascuno di noi.
C'è un'idea molto radicata su entrambe le sponde dell'Atlantico: chi lavora sodo e gioca secondo le regole avrà successo e sarà capace di elevarsi fino a raggiungere il limite del proprio talento. È una retorica dell'ascesa, che anche il Partito democratico americano e i partiti della sinistra moderata europea hanno scelto come soluzione ai problemi della globalizzazione, primo fra tutti la disuguaglianza. Se tutti hanno le stesse opportunità, allora chi emergerà grazie ai propri sforzi o alle proprie capacità se lo sarà meritato. Se invece non riuscirà a emergere, la responsabilità sarà soltanto sua. È questo il lato oscuro dell'età del merito. Le élite che pretendono di interpretare la tradizione della sinistra hanno in realtà voltato le spalle a chi dell'élite non fa parte. In una società nella quale l'uguaglianza delle opportunità rimarrà sempre una chimera, il contraccolpo populista degli ultimi anni è stato una rivolta contro la tirannia del merito, che è umiliante e discriminatoria. Da questa ondata populista, dimostra il filosofo Michael Sandel, dobbiamo imparare: non per ripeterne gli slogan xenofobi e nazionalisti, ma per prendere sul serio le richieste legittime che ne sono all'origine. Sandel risponde così alla Brexit, al fenomeno Trump e all'avanzata dell'estrema destra in Europa, offrendo una strategia teorica e politica per ripensare il bene comune.
Mai Eugenio Scalfari si era aperto a considerazioni così intime. Sono le confessioni di un ultranovantenne divertito e attratto da questa lunga epoca di transizione. Attraverso le voci di Antonio Gnoli e Francesco Merlo, egli rivive il suo «secolo di carta», negli anni del trionfo e in quelli recenti del declino. Interrogandosi su cosa potrà riservarci il futuro. Se c'è un modo di essere autenticamente se stessi, queste pagine lo rivelano attraverso gli episodi meno noti o addirittura sconosciuti della sua vita. Ecco allora scorrere, come in un romanzo, l'infanzia cattolica e i genitori in crisi, le profonde amicizie e le contese giovanili, il fascista e l'antifascista, gli amori saldi e le avventure rapsodiche, le malattie e la forza per affrontarle, le professioni svolte e la politica vissuta giorno per giorno. Niente resta occultato in questa sorprendente storia che ripercorre un secolo di vicende italiane sulle tracce di un protagonista, di uno stile, un gusto, una cultura, un mondo che erano soltanto suoi e che sono diventati nostri.
Il mito di Napoleone, «l'uomo che suonava la musica dell'avvenire», continua a coinvolgere e intrigare sempre nuove generazioni. Di che cosa è fatta la sua eccezionalità? Come si è sviluppata e che cosa ha prodotto? Dopo "N." (Premio Strega 2000), che racconta i dieci mesi dell'Elba, Ernesto Ferrero ha continuato a indagarne gli aspetti che possono rivelarlo meglio e che ci toccano più da vicino: le inesauribili capacità organizzative, le tecniche di comunicazione, la progettualità visionaria, l'introduzione della meritocrazia, il culto del budget, le politiche economiche e culturali, l'attenzione per l'arte e per il libro, la rifondazione della macchina dello Stato, a partire dal Codice civile. Con una narrazione incalzante e in un fitto intreccio di storie e personaggi, il libro condensa in venti temi-chiave le ragioni di un'ascesa e di una caduta fuori misura (dalla prima campagna d'Italia all'Egitto, dalla Russia a Waterloo, all'esilio sull'isola di Sant'Elena) e i retroscena di un «sistema operativo» che fa di Napoleone il fondatore della modernità.
L'autore è noto per il sostegno a battaglie su temi civili. Anche in questo caso la sua denuncia riguarda una questione grave e tristemente attuale: la schiavitù e la violenza subita dalle donne nel mondo. Postfazione del politologo Gianfranco Pasquino. Introduzione di Emma Pomilio.
Ogni persona, in Occidente, diventa immagine appena fuori dall'utero materno. I genitori o gli infermieri ci fotografano subito, al primo vagito. Ma il processo inizia già prima. Le moderne apparecchiature ecografiche sono in grado di mostrare i bambini ai loro genitori mentre ancora sono avvolti nella placenta. Lì comincia la nostra storia virtuale, la nostra immagine. Poi, la relazione con le immagini e le interfacce, i monitor, diventa come un fiume che ci travolge e ci trascina in un oceano di comunicazioni visive. Questo processo, però, non è neutrale. Nel tempo, le innumerevoli possibilità d'intervento sulle variabili luminose e di contrasto cromatico hanno costretto i produttori di apparecchi di registrazione e riproduzione d'immagini elettroniche a creare degli standard sui quali non c'è stato un vero dibattito. In pochi si pongono il problema di quanto essi influiscano sulla conoscenza e sul modo di percepire la realtà che ci circonda. Ma chi ha stabilito quello che gli occhi delle masse (nelle quali siamo tutti compresi) devono intendere come plausibilmente vicino al vero? Con quali criteri e, soprattutto, con quali conseguenze sulla cultura e sull'estetica in senso lato?
"La storia non ha quasi mai un andamento rettilineo, non solo per chi ne è il protagonista, ma per chi ne valuta gli accadimenti dall'esterno in un secondo tempo. È per questo, anzi, che molto spesso i dati storici ci sorprendono a posteriori e ci chiediamo come mai non corrispondano a quel processo che a noi sembrerebbe il più legittimo. Ma, se questo è il caso più comune, tuttavia, ci sono dei casi che vanno al di là della normale procedura che a noi sembrerebbe una ragionevole successione dei fatti; e spesso questa accidentalità è proprio quello che cambia inaspettatamente il procedere degli eventi. Ne abbiamo molti esempi sotto gli occhi; e del resto basta leggere attentamente un testo storico, senza pregiudizi 'di parte', per scoprire una quantità di contraddizioni che rendono più affascinante la vicenda storica."