"Uno dei primi propositi di Nietzsche in questo libro è di liberare il VI secolo a.C., il secolo della sapienza primigenia e della proto-tragedia autentica e incorrotta (dunque il secolo della sapienza tragica), affinché da quell'epoca apparentemente remota si sprigionino quei lampeggiamenti di luce necessari per vedere o intuire la contemporaneità, la quale invece (come Hölderlin aveva insegnato) brancola nella notte esperia. Ecco perché Nietzsche decide di far ritorno, innanzitutto, ai prediletti presocratici, ai pensatori dell'enigma [...]. Ma, appunto, la philosophia non è ancora nata, nel VI secolo; sta per nascere, manca poco: l'avvento definitivo del logos si avrà ai tempi di Socrate e di Platone, che il mito condanneranno e dissolveranno, coinvolgendo di conseguenza anche l'arte in questa rimozione decisiva per la coscienza dell'Occidente" (Susanna Mati). Il primo tra gli importanti libri di Nietzsche, un testo rivoluzionario nella lettura del mondo classico, che lo impose fin da subito tra i grandi filosofi dell'Ottocento, in una nuova e puntuale traduzione e con un importante apparato critico.
"Ehi! Dico proprio a te che in questo momento stai cercando un nuovo testo da sfogliare, leggere, divorare... Ti piacerebbe contribuire a cambiare il mondo? No, non ti sto prendendo in giro, non mi permetterei mai! Propongo di metterti alla prova: 'entra' in questo libro, sentiti parte di esso, confrontati con i personaggi e dialoga con loro. Se sarai in grado di capirli, di sostenerli, di cercare di dare risposte alle loro domande, allora vorrà dire che sarai destinato a migliorare le condizioni di vita del nostro pianeta. Se l'acqua ti affascina, 'Dottore, ho mal di mare!' è adatto a te e alla tua sensibilità. Leggilo, recitalo, interpretalo in teatro, in classe o nella solitudine della tua cameretta. A poco a poco, vedrai, le parole diventeranno tue e sentirai l'irrefrenabile bisogno di rispettare l'ambiente in cui vivi, ora e per sempre." Età di lettura: da 8 anni.
Nella storia universale del teatro un ruolo tutt'altro che marginale va riconosciuto alle pratiche sceniche messe in atto nel Centro e Sud America dai padri missionari nel corso della loro azione evangelizzatrice svolta nell'età coloniale. Ciò soprattutto in relazione alle dinamiche attuative rispondenti a necessità di persuasione e comunicazione. Gli stessi sincretismi, al di là delle valenze etno-antropologiche, vanno visti come apporti originali alla pratica teatrale, legittimamente riconducibili a princìpi fondamentali del fare teatro. È quanto i padri francescani (nella prima stagione della colonizzazione) e i gesuiti (successivamente) seppero mettere in atto con modalità diverse, ricorrendo anche alla partecipazione attiva degli indios, dei quali seppero valorizzare cultura e tradizioni, oltre che le doti artistiche, in particolare nel campo della musica e della danza. All'opera di questi uomini, rimasti in buona parte nell'anonimato, il volume rivolge quell'attenzione utile a meglio comprendere molteplici significati dell'arte scenica, in un contesto estraneo alla visione eurocentrica del teatro borghese.
In che modo vivere il cristianesimo? Per Michael Lonsdale, attore di fama internazionale, la domanda ha una risposta semplice: come amici di Gesù. Stare alla sua presenza ricolma di gioia e pace i giorni di questo attore ottantenne, noto anche per aver recitato in "Uomini di Dio", lo splendido film sui sette monaci uccisi in Algeria.C on disarmante genuinità Lonsdale racconta la propria esperienza cristiana, facendoci gustare la bellezza di una vita dedicata all'arte, una delle vie per incontrare l'Assoluto. Ha lavorato con Ermanno Olmi e Steven Spielberg, è stato Frère Luc nel film "Uomini di dio" sui monaci martiri di Tibhirine. Qui Michael Lonsdale racconta il suo cammino di fede.
Il libro propone una lettura parallela di due grandi questioni della storia della Chiesa alto medievale: il discorso contro gli spettacoli (II-V sec.) e la querelle tra iconoclasti e iconofili (VII-IX sec). L'intento è comprendere se al fondo delle singole argomentazioni esista una struttura di pensiero comune e condivisa, e se questa struttura possa essere intesa come una compiuta e articolata "teoria cristiana della rappresentazione". In che modo la condanna di ogni forma di spettacolo può coesistere con la strenua difesa delle icone e del loro culto? Per quali ragioni i Padri della Chiesa vietano gli idoli, ma esortano l'uomo a essere attore della propria vita? L'analisi dei concetti di dramma e di immagine, condotta sulle fonti patristiche, dimostra che l'idea cristiana di rappresentazione è segnata da un'incolmabile distanza rispetto al pensiero greco-ellenistico. Spettacolo e dramma, spettatore e sguardo, attore e azione assumono un nuovo significato; immagine, icona, relazione e somiglianza, vedere e rappresentare sono termini che rimandano a nuovi presupposti epistemologici. Fondato sul paradosso dell'incarnazione che unisce l'invisibile al visibile, il pensiero cristiano comporta una vera e propria rivoluzione della visio e dell'actio. Una rivoluzione teorica decisiva per comprendere il vasto capitolo del "teatro cristiano", fiorito nell'Europa medievale a partire dal X secolo.
Il romano Caio Marzio, detto Coriolano perché eroe della battaglia di Corioli, è personaggio chiuso nel proprio orgoglio ed egocentrismo, cieco al mondo e incapace di comunicare con gli altri: una volta bandito dal suo popolo aizzatogli contro dagli avversari, si rifugia dai nemici volsci guidati da Tullo Aufidio, si mette alla loro testa contro Roma per trovare la morte per mano dei cospiratori volsci.
Edizione discografica di Pinocchio, appositamente riscritta ad uso teatrale, accompagnata da un testo che riporta la sceneggiatura ed un'accurata guida didattica di Gaetano Oliva sulla trasposizione dal testo alla messa in scena. Libro e 3 Cd audio in cofanetto.
L'autore Giampiero Pizzol, in questo monologo teatrale, presenta la vita dei discepoli attraverso gli occhi e i conti dell'esattore delle tasse Matteo, ragioniere di Dio, chiamato a diventare Apostolo.
Ognuno ha un suo classico, ha detto Garboli, cioè "un compagno di veglia, un segreto e inseparabile interlocutore". Il suo, non c'è dubbio, è stato Molière, cui ha dedicato, nel corso di oltre un trentennio, memorabili saggi e rivoluzionarie traduzioni, sino a diventarne "interprete accanito e quasi maniacale". Sempre, occorrerà aggiungere, in un'ottica acutamente teatrale. Non a caso, radunando nel 1976 cinque testi molieriani, Garboli sottolineava di voler offrire "cinque copioni al teatro italiano di oggi, nella presunzione che il teatro di Molière sia portatore di un sistema di idee, di un messaggio che ci è oggettivamente contemporaneo". Epicentro di quel sistema di idee è per lui Tartufo, oltraggiosa figura di servo che - infrangendo "l'antica, dura legge teatrale che fa dell'intelligenza dei servi un privilegio infruttuoso" si cimenta nell'impossibile impresa di farsi padrone, e che dalla servitù si libera "con l'esercizio salutare, rassicurante, medico della politica": sicché la pièce altro non è se non la "diagnosi comica e disperata della struttura politica della realtà, mascherata di valori intoccabili che si autolegittimano grazie alla santità di una causa e si presentano come la guarigione di un male". Con un saggio di Carlo Ginzburg.
L'organizzazione e la pianificazione dei costi diventano due cardini fondamentali per la corretta gestione di ogni spettacolo, momento rappresentativo di libere espressioni artistiche, che ha un unico risultato, non un profitto economico, ma l'intrattenimento, la crescita culturale degli utenti, cioè una funzione essenzialmente sociale. Non si può parlare ed esaminare gli aspetti organizzativi, economici ed anche artistici se non si sa cosa sia una chiavarda o una consolle luci o una lampada a scarica o un tulle o una pelle d'uovo. Ognuno di questi elementi sono di natura tecnica. Quale direttore di teatro o organizzatore può avventurarsi nella realizzazione di uno spettacolo, sia esso dal vivo, o registrato, senza sapere la differenza che esiste tecnicamente tra una scenografia tradizionale o costruita? Questo testo pertanto, intende unire i rudimenti necessari per la gestione organizzativo economica di uno spettacolo assieme a quelli connessi alla sua gestione tecnica in quanto l'opzione tecnica e scenografica deve esser dipendente da quella economica e non viceversa, altrimenti la gestione collassa.
Chiara Stoppa, attrice, ha solo ventisei anni quando, nel 2005, le viene diagnosticato un tumore. Dopo due devastanti cicli di chemioterapia giunge il verdetto che non avrebbe mai voluto sentire: il suo male guarisce nell'85 percento dei casi, ma lei rientra nell'altro 15 percento. L'unica speranza, ora, è un trapianto. Chiara, che ha vissuto l'intera esperienza della malattia come sotto una campana di vetro, inizia a pensare a cosa dire ai suoi amici, alle persone a lei care, a come salutarle per sempre. Ma a quel punto, dopo un anno di torture, quella stessa campana di vetro si infrange: Chiara decide che è meglio alzarsi dal letto, riprendere possesso del proprio corpo, decide, insomma, che è meglio vivere. Così avvia un percorso di guarigione che ha del miracoloso, se si considera che è qui a raccontarlo. E in questo racconto, in cui la paura non riesce mai a spegnere del tutto la speranza, Chiara si mette in gioco con l'umiltà di dire che la sua è solo una delle scelte possibili. Un tumore ti cambia: cambia la tua routine, il tuo modo di vivere, di respirare, di stare con gli altri. Ma si può scegliere come relazionarsi con esso, ascoltando il proprio corpo per decidere quale sia la soluzione più adatta. Le persone sono diverse, e diverse possono essere le cure. Dalla sua esperienza Chiara Stoppa ha tratto un monologo teatrale privo di retorica ma pieno di energia, di ironia, con una carica vitale contagiosa.
"Ibsen, Shakespeare, Brecht..." Quando gli insegnanti del Centro universitario teatrale gli sottoposero una lista di autori da portare in scena, il giovane Luigi Proietti per poco non svenne: non ne aveva mai sentito nominare nessuno. Come tanti ragazzi cresciuti nella periferia della capitale, all'ombra del boom economico, Proietti pensava soprattutto alla musica e guardava all'America. Per lui l'unico palco era quello dei night club, dove suonava e cantava insieme agli amici di sempre. Si era iscritto per gioco a quel corso di recitazione, spinto dalla voglia di qualcosa di diverso: non poteva immaginare che quel "gioco" gli avrebbe cambiato la vita. Il "cantante dalla voce ritmico-melodica-moderna" dimostra subito una versatilità senza precedenti, un potenziale che esprimerà al meglio in "A me gli occhi, please" e negli altri one-man show scritti con Roberto Lerici, dei tour de force nei quali salta dal dramma al varietà lasciando il pubblico a bocca aperta. E in cinquant'anni di carriera Proietti ha conquistato generazioni di spettatori, contaminando la cultura "alta" e quella "bassa" senza pregiudizi. In "Tutto sommato" ci restituisce quella voglia di mischiare le carte in tavola, intrecciando le gioie della vita a quelle del palco e lasciando sempre sullo sfondo la sua Roma, città eterna e fragile, tragica e ironica, cinica e innamorata.