Scritta nell'estate del 1943, ma pubblicata postuma nel 1946, dopo il suo assassinio, Genesi e struttura della società è l'opera-testamento di giovanni gentile. essa porta a compimento, con una linearità e continuità di esiti, il pensiero non soltanto filosofico del principale esponente del neoidealismo italiano. Un posto centrale, in questo compimento, occupa il tema del lavoro, in particolare del senso del lavoro manuale e intellettuale, letto nella relazione inevitabile con lo Spirito Assoluto. Il volume ordina studi e ricerche dei principali studiosi del tema, ne vuole indagare la natura, l'origine e gli effetti, chiarendo il legame inscindibile tra riflessione filosofica e prospettiva pedagogica. L'umanesimo del lavoro gentiliano è sottoposto ad analisi come categoria che ha avuto un ruolo fondamentale nella costruzione dei "corpi intermedi" del secolo scorso e può continuare ad avere un valore metodologico e critico per ricomprendere l'inevitabile valore formativo dell'agire lavorativo anche e soprattutto oggi, quando, su questo fondamentale snodo antropologico, sociale e filosofico, sembrano prevalere altre logiche e, purtroppo, altre "leggerezze" di pensiero.
Da uno degli storici inglesi contemporanei, uno sguardo ravvicinato sulla più spietata struttura repressiva del Terzo Reich: la Gestapo. Come funzionava la polizia segreta nazista? In che modo reclutava i suoi uomini e chi impartiva le direttive? Quali metodi utilizzavano i suoi membri? Come riuscivano a ottenere notizie e come funzionava la loro rete di informatori? Grazie a una ricerca su documenti desecretati da poco, Frank McDonough ci rivela in queste pagine tanti dettagli inediti sul funzionamento della Gestapo, e su chi - spesso a costo della propria vita - ha tentato di opporsi alla sue violenze. Ma, al tempo stesso, ci mostra anche le falle in quello che era all'epoca il sistema organizzativo e di controllo migliore al mondo, considerato una punta di diamante nell'assurda macchina di morte dei nazisti.
All’inizio degli anni Settanta Nanni Balestrini fu, tra tanti, il sismografo più sensibile di un’Italia spaventata. La violenza teneva in scacco la penisola, in tutto il mondo si guardava con apprensione a quello che stava succedendo.
Gli anni di piombo erano solo la manifestazione di qualcosa di più sottile e più feroce che scorreva dentro le vene del nostro paese.
La violenza illustrata, nel 1976, segnò l’evidenza – anche linguistica – di tutto questo. Il linguaggio, così rapido, disarticolato, dava conto di un sistema minato nelle fondamenta. Quell’edificio che sembrava solido, dopo la ricostruzione postbellica, in realtà aveva buchi che erano come fori di proiettile. I testi febbricitanti di Balestrini raccontavano quei fori.
A distanza di oltre quarant’anni, e dopo l’ennesima sbornia di finto benessere, l’Italia e il mondo intero vivono il momento forse più violento dell’ultimo torno di secolo.
È parso drammaticamente naturale, a Nanni Balestrini, tornare a osservare quel sismografo impazzito. È così che nasce, per puro istinto civile, questo nuovo progetto: gli attacchi alla Siria, il ghigno di Trump, la violenza sorridente delle foto di gruppo dei G20, la caccia all’uomo per il colore della pelle, fino agli sbarchi non autorizzati. Balestrini saccheggia i giornali, mette insieme pezzi di discorso dei cosiddetti media per far sentire quanta violenza c’è dentro la retorica ufficiale.
La nuova violenza illustrata, che raccoglie in un unico volume quarant’anni di violenza, è il documento più lancinante su quella cosa così contraddittoria che chiamiamo pace.
Sulle guerre sotterranee che ne increspano la superficie, e su quelle che le deturpano la faccia.
Tra gli orrori di cui la storia del Novecento è stata prodiga, pochi sono paragonabili alla condizione dei besprizornye, come venivano chiamati nella Russia postrivoluzionaria gli innumerevoli bambini e ragazzini rimasti orfani in seguito alla guerra, alla guerra civile o alla carestia. Stimati tra i sei e i sette milioni nel 1921, sporchi, vestiti di stracci, vagavano da soli o in gruppi per le città e le campagne in cerca di cibo, spostandosi nel paese aggrappati alle balestre sotto i vagoni dei treni, trovando riparo dal gelo negli scantinati delle stazioni o dentro i cassonetti, spinti dalla fame a un crescendo di aggressività e violenza che arrivava fino al cannibalismo. Né potevano offrire un'alternativa a quella vita gli orfanotrofi pubblici: strutture, in tutto simili ai lager che di lì a poco sarebbero sorti per altri scopi, dove bambini scheletrici giacevano ammassati in condizioni spaventose. E se negli anni Venti il problema viene studiato sul piano sociale, politico, giudiziario, psicologico ed educativo, in seguito saranno imposti il silenzio e la censura da parte di uno Stato che non può certo ammettere un simile sfacelo nel 'paradiso' della società sovietica. Negli ultimi trent'anni il fenomeno è tornato oggetto di analisi e rigorose ricerche storiche. Ma solo Luciano Mecacci è riuscito, grazie a testimonianze dirette e documenti dell'epoca spesso trascurati, a offrirne una ricostruzione completa anche dall'interno, calandosi - e calandoci - nell'abisso psicologico e umano dei protagonisti di vicende che possono sembrare, oggi, semplicemente inverosimili.
Desiderio, ultimo re dei longobardi, segnò con le sue gesta la storia d’Italia. Ricordato come barbaro, fu l’emblema e l’ultimo fulgore di una civiltà che per due secoli fiorì in Italia e le cui tracce permangono nel patrimonio artistico di città come Brescia, Pavia, Benevento, Salerno. Come duca di Tuscia conquistò il potere avendo la meglio su Rachtis, il re-monaco che si era ritirato a Montecassino prima di tentare un nuovo assedio al trono. Fu legato a Brescia, dove stabilì il monastero di San Salvatore dal quale regnò sull’Italia dell’VIII secolo. Durante il suo lungo regno fu prima protetto dai Franchi e difensore del papato, quindi alleato di Carlo Magno, e poi, infine, nemico dei papi e di Carlo. Vinto alle Chiuse di Susa dai Franchi, Desiderio fu assediato a Pavia, finché nel giugno del 774, arresosi, fu rinchiuso nel monastero di Corbie, dove poco dopo morì. Dopo essere stato sconfitto da Carlo Magno, il suo regno fu subordinato ad un potere esterno alla penisola italiana, sancendo la nascita della dominazione territoriale della Chiesa di Roma. Il brusco e drammatico precipitare degli eventi che segnarono la fine dei Longobardi ha reso difficile il ricordo della sua figura che questa biografia intende ricostruire, proponendo una narrazione degli ultimi vent’anni di storia del regno longobardo diversa da quella scritta dai vincitori della complessa partita che si giocò in Italia nella seconda metà del secolo VIII.
Il Campo Santo Teutonico può venire considerato la vera "passeggiata fra le rovine" - così come sarebbe stato per l'altro splendido sito verde romano, il Cimitero acattolico alla Piramide Cestia. Insieme alla parte più prettamente "archeologica" del volume, un posto di rilievo è rivestito dal breve "excursus" storico che ne racconta le varie fasi. Da luogo di sepoltura antichissimo a dinamica realtà del Novecento che conserva, al suo interno, un prezioso archivio e la documentazione simbolica su pregevoli artisti, personalità e accademici di ambito linguistico germanico. Il volume vuole dunque privilegiare, nella nostra lingua, una delle aree "di frontiera" (la stessa extraterritorialità del sito risulta interessante, proprio perché geopoliticamente locato oltre il confine delle Mura leonine) tra le meno conosciute al cittadino comune.
Il 25 giugno 1933 la basilica di San Pietro è teatro di un attentato dinamitardo. Le cronache dell'epoca riportano un bilancio di alcuni feriti. Non ci sono vittime, pochi i danni materiali. I tre responsabili, pedinati e arrestati qualche tempo dopo, si rivelano strumenti inconsapevoli al servizio di un complotto ordito dall'Ovra, la potente polizia politica fascista, con l'obiettivo di incastrare come mandanti alcuni tra gli antifascisti più conosciuti nel mondo del fuoriuscitismo: Gaetano Salvemini, Carlo Rosselli e Alberto Cianca. Ma non tutto va come previsto...
Calimani dedica alla sua amatissima città, Venezia, un libro che ne ricostruisce la storia, dalla fondazione alla fine della Repubblica, nel 1797. Il viaggio di Calimani parte da lontano, dalle palafitte di età preromana alle prime testimonianze altomedioevali, per raccontare lo splendore della repubblica lagunare, con le ricchezze accumulate, i tesori d'arte, il dominio incontrastato sul mar adriatico, le coste greche, fino alla odierna Turchia.
Grazie alle testimonianze di Lee Radziwill e di amici e parenti, Sam Kashner e Nancy Schoenberger ricostruiscono le vite, tragiche e glamour, delle due sorelle Bouvier, indagando il loro rapporto stretto e complicato, intriso di rivalità, gelosia e competizione. Nella vita le due sono state simili per molti aspetti: entrambe hanno avuto un occhio attento per la bellezza - nella moda, nel design, nella pittura, nella musica, nella danza, nella scultura, nella poesia - e sono state artiste di talento. Jackie, schiva, introversa e intellettuale, è diventata la donna più iconica del suo tempo, mentre Lee, estroversa e amante del divertimento, è stata costretta a vivere nella sua ombra. Una doppia biografia che getta luce sulla vita pubblica e privata di due donne straordinarie, icone di stile del secolo scorso.
Una controstoria dell'Italia degli ultimi anni del boom tracciata da un bastian contrario e straordinariamente vicina allo spirito del nostro tempo.
Dopo la chiusura del suo «Candido», Giovannino Guareschi collaborò con «il Borghese», la rivista fondata da Leo Longanesi. Questo volume, introdotto da Alessandro Gnocchi, raccoglie per la prima volta gli articoli, le rubriche, le vignette pubblicati sul settimanale tra il 1963 e il 1964, oltre a quelli proposti ma non stampati e a brani tagliati e dunque inediti. Anche qui, Guareschi combatte con tutte le armi a sua disposizione (prima fra tutte l'ironia: della parola e del segno grafico) la sua eterna battaglia contro comunisti, democristiani, progressisti in generale (anche nella Chiesa) e conformisti. Il risultato è una controstoria dell'Italia degli ultimi anni del boom tracciata da un bastian contrario e straordinariamente vicina allo spirito del nostro tempo.
Questa è la storia di Ugo Forno, il martire dodicenne romano del ponte dell’Aniene, una via di comunicazione essenziale per permettere l’avanzata degli Alleati. In quel 5 giugno 1944 il piccolo Ughetto non esitò ad esporsi senza protezione contro il nemico nazista che si stava allontanando, a predisporre addirittura un piano d’azione. Tutto questo a dodici anni. Dunque non c’è un’età per ottenere quella consapevolezza che ti porta a scelte definitive. Così come non c’è età per scoprire in te stesso la passione per una fede o, al contrario, la tendenza all’opportunismo. Ciò che più colpisce nell’ultima giornata di Ugo Forno è la perfetta comprensione della complessità, e soprattutto dell’irripetibilità, del momento storico che sta vivendo, e di cui diventa straordinario protagonista senza un attimo di esitazione. Questa biografia andrebbe diffusa nelle scuole medie e in quelle superiori: proprio per raccontare che se la capitale d’Italia venne liberata dall’occupazione nazista lo si deve anche al puro eroismo di un ragazzo di dodici anni. In tempi in cui l’immaginario dei ragazzi si nutre di realtà virtuali e di fiction, a vari livelli tecnologici, offrire una testimonianza di vita e di morte autentiche è un regalo per il futuro delle nuove generazioni, e per una loro autentica crescita civile.
Era il 16 luglio del 1918 quando i tumulti che scuotono la Russia dopo la Rivoluzione d'Ottobre prendono forma in uno degli atti più violenti che la storia dell'impero ricordi: l'esecuzione a sangue freddo dell'intera famiglia dello zar Nicola II Romanov. Sua moglie e i suoi figli furono tutti freddati a colpi di fucile nei sotterranei della casa di Ekaterinburg dove erano agli arresti domiciliari. Nessuno sopravvisse, o almeno così si pensò.È il 17 febbraio del 1920 quando una giovane donna viene ritrovata a Berlino, in un canale, vicina alla morte per assideramento. In ospedale, ormai salva, i medici scoprono che il suo corpo è ricoperto di orrende cicatrici. E quando finalmente la donna apre bocca, sarà per dire il proprio nome: Anastasia. In molti non le credono: per loro è solo Anna Anderson, una polacca emigrata in Germania, a cui interessa soltanto la fortuna della famiglia zarista. Ma in Europa comincia a diffondersi, tra reali in esilio e circoli dell'alta società, la voce che la giovane Anastasia sia sopravvissuta. Che la figlia più piccola dello zar Nicola II e della zarina Alessandra, la spericolata bambina che tutti amavano, sia ancora viva.