Cos'è il "sacro"? Appartiene esclusivamente alla sfera religiosa? È qualcosa che solo i credenti possono provare, oppure raccoglie in sé una serie di valori universali cui oggi - nell'epoca della "morte di Dio" - sembra difficile appellarsi? C'è un legame tra la biologia umana e la capacità di commuoversi di fronte a un'opera d'arte? Queste domande sembrano rimandare a campi del sapere lontani fra loro, se non del tutto inconciliabili, come la politica e la biologia, l'estetica e la teoria del linguaggio, la teologia e le scienze cognitive. Cimatti invece fa dialogare queste diverse tradizioni scientifiche e filosofiche, offrendoci così una tesi inedita: se è vero che al senso del sacro non è possibile rinunciare, in quanto geneticamente inscritto nella biologia dell'"animale uomo", è altrettanto vero che il sacro è un concetto storico, un prodotto della cultura umana, un'esperienza che l'uomo compie quotidianamente e che erroneamente è stata fatta coincidere con il sentimento religioso. Grazie a un approccio trasversale che accosta antropologia, logica, religione, scienza e filosofia, mistica e linguistica, Felice Cimatti affronta uno dei grandi dibattiti culturali che hanno impegnato sociologi, linguisti e filosofi, e ne dimostra - in un'epoca caratterizzata da un'apparentemente insanabile crisi di valori - l'attualità e l'urgenza.
Questo libro, opera di una delle scrittrici più amate e ispirate d'America, Florence Scovel Shinn, raccoglie due saggi - "Il messaggio" e "La magia delle parole" - che illustrano in maniera esemplare la sua filosofia esistenziale, semplice ed efficace: il potere di cambiare la nostra vita risiede in noi stessi! Possiamo raggiungere qualunque obiettivo partendo dalle parole, imparando a sfruttarne la potenza evocatrice per far sì che si avverino i nostri desideri. In questo senso, l'autrice ci offre una guida preziosa per imparare a trasformare le sconfitte in vittorie, la povertà in ricchezza, la paura in fede e l'odio in amore. In particolare, il secondo saggio contiene una selezione di affermazioni positive, che costituiscono un esempio probante della validità e dell'attualità di questa tesi.
In questo saggio si cerca di rispondere all'interrogativo se la conoscenza scientifica esiga l'intervento del ricercatore considerato non come un mero apparecchio di rivelazione, bensì come un soggetto individualmente e originalmente attivo, cioè come una persona. L'attenzione è rivolta, in modo peculiare alla sintetica e mirata presentazione e al confronto tra un epistemologia personalista, come quella di Polanyi e una apparentemente antipersonalista come quella di Bachelard.
La domanda sulla necessità dell'amicizia risale ad Aristotele, interprete di una serie di esigenze del suo tempo. La sua risposta è corretta? Ancora di più. in un'epoca come la nostra, nella quale le relazioni, gli affetti, la fiducia sono in bilico tra un'esigenza certe volte gridata e una crisi, almeno apparente, come si pone la stessa domanda? LA risposta dei filosofi, ma oggi anche degli educatori, degli esperti in comunicazione, degli storici, dei teorici della società non è scontata. Confrontandosi con la storia, con le voci più importanti del loro ambito, alcuni intellettuali si sono incontrati in un convegno romano, per riproporre la domandai maniera rigorosa e attenta alla situazione attuale.
Un filosofo e un fisico a confronto. La verità, secondo Krishnamurti, è un territorio senza sentieri tracciati. Qualcosa che l'uomo può raggiungere solo attraverso l'osservazione, e non con l'introspezione analitica. Ma che cos'è, poi, la verità? Che ruolo occupa nella vita dell'uomo? Conflitti individuali e collettivi e la possibilità di superarli: di questo il filosofo discute con David Bohm, uno dei più grandi fisici del nostro secolo.
Chi restituì la sapienza greca all’Occidente?
La controversa rivalutazione del ruolo dell’Islam nell’incontro tra Medioevo e cultura classica.
La cultura greca non tornò all’Occidente solo grazie all’Islam: a salvare dall’oblio i filosofi antichi sarebbe stato innanzitutto il lavoro dei cristiani d’Oriente, caduti sotto dominio musulmano, e dunque arabizzati. Questo sostiene il medievista francese Sylvain Gouguenheim ricordando come, prima delle traduzioni dall’arabo effettuate in Spagna, autori quali Giacomo Veneto avessero già messo mano alle opere aristoteliche. La civiltà islamica, inoltre, non avrebbe mai dimostrato un vero interesse per la sapienza greca: da parte musulmana si sarebbe trattato più che altro di un approccio selettivo, forte nei settori della logica o delle scienze della natura ma debole, per non dire inesistente, sul piano politico, morale o metafisico.
In un libro documentato e appassionatamente argomentato, che non ha mancato di suscitare violente polemiche tra gli specialisti, Gouguenheim ricostruisce il percorso dei greci e di Aristotele in particolare nel Medioevo. E riconsegna all’Europa il merito di uno sforzo culturale che solo in tempi recenti, anche per ragioni ideologiche, si è voluto ascrivere all’Islam.
La visione del mondo elaborata nella cultura medievale appare caratterizzata da una tensione alla trascendenza e al divino. Per usare le parole di Jacques Le Goff, l’uomo medievale è dotato di una mentalità simbolica, in ragione della quale le cose del mondo fisico non devono essere considerate come autentiche realtà, res, ma semplici signa, che rinviano ad altro e disvelano, senza mai renderla del tutto conoscibile, la verità trascendente, il mistero del divino. Questa mentalità simbolica ha come esperienza fondante la meditazione sulle Scritture: la Bibbia è il luogo, fisico e metafisico al tempo stesso, in cui la verità divina è rivelata. Di qui la necessità di interpretare il testo sacro, di comprendere in quali passi sono celati sensi nascosti e come decifrarli. Giovanni Scoto Eriugena, la cui opera è passata al vaglio in questo volume, rappresenta uno degli esempi più ricchi e speculativamente complessi della ‘mentalità simbolica’ medievale. Egli è il primo autore latino a utilizzare in modo sistematico e non generico il termine symbolum, legandolo sia alla sfera dell’attività semiotica del significare, sia al tema del discorso figurato e della rivelazione misterica. Il tema del symbolum viene ripensato da Eriugena all’interno di un peculiare orizzonte filosofico e investito di uno specifico significato speculativo e teologico. Il simbolo diviene, nel ricco orizzonte teoretico eriugeniano, un dispositivo metafisico che agisce come occasione e strumento per una relazione tra finito e infinito. Nei suoi scritti Eriugena usa anche altre tipologie del dire traslato, in particolare ‘metafora’ e ‘allegoria’. La presenza nei suoi testi delle tre più rilevanti categorie del discorso figurato permette di sviluppare, come avviene in questo volume di Francesco Paparella, un’analisi comparata tra di esse, per comprenderne le peculiarità e i caratteri comuni. In tal modo diventa possibile identificare il nucleo di una teoria del simbolo in grado di fungere da modello generale per interpretare il funzionamento dei dispositivi simbolici presenti anche in autori di epoche diverse.
Francesco Paparella è assegnista di ricerca presso il corso di laurea in Scienze e tecnologie della comunicazione dell’Università IULM di Milano. Studioso del pensiero neoplatonico e delle sue ramificazioni nella tradizione speculativa dell’epoca di mezzo, ha approfondito l’analisi degli aspetti semiotici ed estetici nella filosofia tardoantica e altomedievale. Tra le sue pubblicazioni: La storia in Eriugena come autocoscienza divina (2002); Proclo, Tria opuscula. Libertà, provvidenza, male (2004); Le felicità nel Medioevo (2005, con Maria Bettetini).
Un testo fondamentale per comprendere il processo filosofico di ricerca elaborato da Edmund Husserl. Un'analisi dettagliata in cui l'autrice non perde, in nessun momento, l'orizzonte della totalità della proposta husserliana, il cui nucleo originario consiste nella questione relativa alla complessa interrogazione: che cos'è l'essere umano? Il percorso di indagine scelto da Ales Bello consiste in un doppio dialogo, che ella realizza con l'opera di Husserl, e con gli scritti di Edith Stein, discepola del grande maestro della fenomenologia tedesca.
Un manuale per capire che cos'è la democrazia
DESCRIZIONE: Secondo Pinès la filosofia ebraica si può comprendere pienamente solo se la si colloca nel suo contesto culturale: non c’è stato un pensiero ebraico che, nel corso dei secoli, si sia sviluppato in modo costante e autonomo ma ci sono stati pensatori ebrei che, sollecitati dai movimenti culturali che circolavano nella loro epoca negli ambienti non ebraici, hanno voluto confrontare il loro patrimonio culturale con quello degli “altri”. Tale impostazione induce a cercare le fonti del pensiero ebraico in quella che è stata chiamata “la saggezza straniera”.
La via è stata aperta da Filone Alessandrino, il fondatore della filosofia ebraica, che, conoscendo sia il giudaismo sia la filosofia greca, utilizzò metodi e concetti filosofici del mondo classico per mettere a confronto due tipi di sapere, quello ebraico e quello greco, completamente estranei l’uno all’altro. Una via che, secondo l’autore, conduce a Yehudah ha-Levi, Maimonide, Spinoza, Mendelssohn, Cohen, Rosenzweig, Buber.
COMMENTO: Una breve e straordinaria storia della filosofia ebraica, dal libro della Sapienza fino al '900, scritto dal massimo specialista.
Rosenzweig e Heidegger: due pensatori così diversi, considerato lo svolgimento delle loro vite, e così importanti per la riflessione filosofica del Novecento, al punto che il secolo scorso si è idealmente aperto con le loro opere: La stella della redenzione (1921) ed Essere e tempo (1927). Si tratta di autori che si sono sfiorati biograficamente, anche se è mancato fra i due un auten-tico incontro personale e speculativo. Questo incontro, ora, è reso possibile dalla mediazione intelligente di Casper che mostra in qual modo il fi-losofare stesso possa essere un "continuo servizio di-vino nel servizio della verità". Un filosofare debitore del "pensiero esperiente" di Rosenzweig e del "pensiero rammemorante" di Heidegger.