La letteratura ci supera e ci sorprende, implica l'intelligenza delle cose, la domanda sul senso di ciò che si vive, la meraviglia e il giudizio; scopre mondi e li spalanca davanti al lettore, non importa se in modo realista, o fantastico. Se così non fosse sarebbe vuoto e noia. In questo libro la letteratura è intesa come qualcosa capace di modificare realmente il modo in cui una persona vive la propria vita: un'esperienza decisiva, mai pianificabile o controllabile e soprattutto irreversibile. Raymond Carver, nella sua ultima poesia, si chiedeva: E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, nonostante tutto? La domanda è tanto elementare quanto decisiva. E esattamente con un interrogativo simile che dovrebbe confrontarsi una seria domanda sull'identità e sul "servizio" della letteratura.
"In filosofia capita spesso, mentre si procede nella ricerca, di imbattersi in un pendio ripido e scivoloso. Si può decidere di saltarlo e di andare avanti lungo la strada maestra. Ma possiamo, in alternativa, lasciarci scivolare fino al fondo del fossato, per poi uscirne arrampicandoci faticosamente e tornare a progredire lungo il nostro percorso". Sono parole che, meglio di qualunque descrizione, valgono a dare un'idea dello spirito di questo breve libro in cui Michael Dummett presenta il proprio punto di vista su alcune delle più profonde questioni filosofiche. Originato da una serie di conferenze (le prestigiose Gifford Lectures), il volume si propone di trattare della nozione di realtà e dei vari modi in cui il linguaggio può riferirsi ad essa utilizzando uno stile piano e comprensibile, pur se non sempre elementare. Ne risulta una lettura piacevole e talora persino divertente per il gusto del paradosso e della provocazione intellettuale che permea le riflessioni di uno dei più autorevoli filosofi inglesi viventi.
La modernità ha trasformato in un dogma l'incomunicabilità del vero. Lo ha fatto senza rendersi conto che con il suo gesto apparentemente sovversivo (il cosiddetto "rovesciamento del platonismo") riproponeva in realtà un'antica aporia platonica dalla cui soluzione Platone faceva invece dipendere la possibilità stessa della filosofia e della giustizia. Attraverso un'originale rilettura di alcuni momenti capitali nella storia del pensiero occidentale dal "Parmenide" al "Sofista" di Platone, dalla metafisica della durata di Bergson all'attualismo di Gentile, dalla teologia speculativa di Cusano al "basso materialismo" di Bataille, dalla linguistica di Jakobson a quella di Benveniste e di Bachtin - Ronchi si interroga sul concetto di comunicazione nella sua triplice accezione metafisica, fisica e pragmatica, facendo dialogare la filosofia teoretica con la storia della filosofia, con l'estetica del modernismo, con le scienze del linguaggio e con l'epistemologia della complessità. Le questioni sollevate sono quelle che inquietano il pensiero contemporaneo: come la verità può comunicarsi senza compromettere la sua natura? In che modo il sapere umano può sottrarsi alla paralizzante alternativa dell'assoluto e del relativo? Che ne è del mondo in cui viviamo se la luce del vero e del bene non risplende più su di esso?
"Nelle pagine che seguono il lettore troverà qualche consiglio su come si scrive un saggio. Non deve aspettarsi niente che possa servire alla sua creatività: per questo deve pensarci da solo. Troverà invece qualcosa che può servire a chiarirgli la natura e gli obiettivi di questo genere di scrittura, nella quale rientrano gli articoli scientifici, le monografie, le tesi di laurea, le memorie e le relazioni di un professionista, gli articoli di fondo per un quotidiano, i servizi per i settimanali e così via. In questo genere di testi l'autore non può limitarsi a esporre le proprie opinioni su un dato tema, ma deve avere una tesi principale da affermare e deve saperla argomentare, cioè presentare ragioni convincenti a suo favore. Come diceva Albert Einstein, che pure sapeva scrivere bene, l'eleganza possiamo lasciarla ai sarti e ai calzolai. Uno stile elegante e ricercato non serve a molto quando si tratta di persuadere." In dieci "lezioni", Marco Santambrogio scompone e analizza l'intero processo della scrittura non creativa a partire dall'analisi di alcuni famosi testi classici scelti come "campione": dalle dimostrazioni dell'esistenza di Dio di San Tommaso, al teorema di Pitagora, al ragionamento di Hume sui miracoli.
Come scocca la scintilla della novità, della creatività, della genialità? Cosa succede nel nostro cervello quando si accende la lampadina dell'idea, dell'intuizione? Si tratta di un momento magico, di una sorta di illuminazione, o piuttosto lo sbocciare di un'idea è il frutto estemporaneo di una lunga preparazione silenziosa? E come distinguere le buone intuizioni da quelle inutili? Le dinamiche di quel misterioso fenomeno che chiamiamo genericamente creatività sono sempre state, in particolar modo nella cultura occidentale, al centro di un vivo interesse, che si è alimentato di discussioni, ipotesi e ricerche non solo scientifiche. Oggi l'attenzione per questo particolare aspetto della mente e della natura umana ha raggiunto livelli altissimi e la società contemporanea attribuisce un valore senza precedenti al potenziale creativo degli individui, nella sua accezione più estesa: dalla fantasia manifestata in età infantile fino alla ricerca scientifica, dalle innumerevoli forme di espressione artistica alla produzione di beni, tecnologici e non. Tuttavia il termine "creatività" è volatile, ambiguo e troppo spesso usato in modo improprio. Di cosa parliamo veramente quando parliamo di creatività?
Il difficile momento che la diagnosi attraversa nell'attuale contesto della medicina cilnica è all'origine del disagio che, sui due fronti, viene avvertito sia dai pazienti che dai medici. Il dialogo che qui viene proposto parte dalla constatazione che la diagnosi solleva importanti questioni filosofiche non sempre presenti nella mente dei medici e tanto meno in quella dei pazienti.
Religioni, psicoterapie, counselling filosofici si propongono all'uomo di oggi come differenti risposte al male di vivere. Dentro questo supermarket di offerte il volume offre una risposta provocatoria: esperienza religiosa, psicoterapia e filosofia sono tutte necessarie per rispondere al bisogno dell'uomo. Ciascuna apporta qualcosa di suo che funziona solo in relazione alle altre due, solo, cioè, attraverso una contaminazione feconda. Abbiamo bisogno della filosofia, perché solo essa conosce a fondo l'uomo, il dramma della sua esistenza e dell'angoscia di fronte alla sua stessa libertà e precarietà. Ma la filosofia, nata dal logos e dimorando nel logos, non conosce il mondo oscuro delle passioni e delle emozioni, che non può essere né razionalizzato, né rimosso e che neppure si può pretendere - con hybris -di dominare. Per questo abbiamo bisogno della psicologia, perché senza di essa non siamo in grado di svelare le dinamiche e le radici profonde dell'angoscia e il mondo oscuro dell'inconscio. Ma la psicologia, sradicata dalle sue origini filosofiche e mitico-religiose, rischia, a sua volta, di perdere l'anima riducendola a mente o, più radicalmente ancora, a cervello. Sono necessarie anche le religioni, perchè solo esse offrono una risposta che consiste nell'esperienza di una relazione assoluta con l'Assoluto. Ecco perchè solo una contaminazione feconda tra le tre può costituire un'efficace risposta al bisogno profondo del cuore umano.
La filosofia è compatibile con l'umorismo? E possibile penetrare le complessità del reale e sciogliere i segreti della conoscenza a suon di spiritosaggini? Pedro Gonzàlez Calero è di quest'opinione: i filosofi sono tutt'altro che austeri e privi di humour. Alcuni di loro si rivelano veri maestri d'ironia. Se dunque, come dice Pascal, "burlarsi della filosofia è già fare filosofia", è possibile raccontare i più alti esiti della storia del pensiero attraverso le arguzie e gli aneddoti di cui i filosofi sono stati protagonisti. Prendendo le mosse dalle provocazioni di Socrate, diventato buon dialettico grazie ai malumori dell'arcigna consorte Santippe, e di Diogene il cinico, che se ne andava in giro in cerca dell'uomo con la sua lanterna, l'autore approda alle battute mordaci di Friedrich Nietzsche e Bertrand Russell e all'aggressività non solo dialettica di Wittgenstein, quando minacciò Karl Popper con un attizzatoio. Un viaggio nel lato più inedito della filosofia, a illuminare la forza dirompente dell'umorismo come chiave per comprendere e tollerare il mondo.
Qual è la definizione più adeguata di medicina? Possiamo parlare di una scienza medica, caratterizzata da un metodo specifico? Chi è medico? Quali sono i diritti e i doveri del medico e quali quelli del paziente? Che cosa intendiamo quando usiamo termini quali malattia e salute? Sono solo alcune delle domande che rivelano la complessa trama di temi epistemologici ed etici propria di quella forma di sapere nota come l'arte lunga, da sempre in bilico tra il rigore dei protocolli scientifici e la singolarità psicofisica del malato. Da Ippocrate a Galeno, da Georg Ernst Stahl a Claude Bernard, da Sigmund Freud e Karl Jaspers ai recenti dibattiti sul ragionamento in clinica, questo volume restituisce al lettore le pagine più significative della filosofia della medicina e dell'evoluzione del pensiero clinico-metodologico, affrontando i nodi concettuali attorno a cui "l'alleanza medico-paziente", stretta ufficialmente per la prima volta nel giuramento di Ippocrate, è andata sviluppandosi parallelamente alla crescita del sapere scientifico, delle moderne tecnologie e della consapevolezza dell'importanza delle istituzioni e delle strutture sanitarie.
Il volume offre una trattazione sistematica, sia storica sia teorica, del concetto di azione, uno dei più cruciali dell'intera storia della filosofia. Nell'affrontare i radicali cambiamenti di prospettiva che da Platone alla filosofia contemporanea hanno accompagnato la riflessione sulla natura, gli scopi e la rilevanza dell'agire, viene dedicata particolare attenzione all'uso che del concetto di azione è stato fatto in filosofia politica, in etica, nella discussione sul libero arbitrio e in filosofia analitica. Oltre ai grandi filosofi della tradizione, sono discussi con rilievo i contributi che hanno fornito su questo tema importanti autori contemporanei, da Karl Schmitt a Hannah Arendt, Ludwig Wittgenstein, Donald Davidson e Jürgen Habermas.
Il concetto di "ragione" ha una posizione di assoluta preminenza nello strumentario della filosofia. Nella tradizione occidentale la pluralità delle sue definizioni ha marcato le differenze essenziali dei sistemi teorici in conflitto, e per un lungo tratto della sua evoluzione la legittimità stessa del sapere filosofico è stata misurata dal suo essere fondato, appunto, sulla ragione. Scopo del volume è dar conto di questa pluralità, disponendo lungo il percorso dei suoi mutamenti l'insieme degli apporti teorici che hanno contribuito ad arricchirne il senso. A partire dagli indirizzi principali dell'antichità greca e del medioevo cristiano, attraverso le costruzioni metafisiche e le analisi critiche dell'età moderna, fino alle più recenti difese dell'opportunità del suo utilizzo, il libro ricostruisce la storia del concetto di ragione per tracciare una mappa con cui orientarsi nel territorio dei suoi significati.