La prima è Ipazia, astronoma e studiosa eclettica nella dotta Alessandria tra il IV e il V secolo, rimasta vittima di un pogrom ante litteram. Poi vengono Ildegarda, la visionaria che intuì l'importanza del corpo (idea pericolosamente controcorrente nel Medioevo), Madame de Chatelet, compagna di Voltaire, e Sophie Germain, amica di Gauss, entrambe amanti della scienza e donne anticonformiste nell'Età dei Lumi. Questo è solo l'inizio di una meravigliosa sfilata femminile, anch'essa controcorrente. A essere presentate in "Il genio delle donne" non sono infatti le classiche top models ma menti brillantissime che dovrebbero essere considerate "vere modelle" da ambo i sessi. È una sfilata che, per fortuna, diventa sempre più numerosa man mano che passa il tempo, grazie alla graduale caduta degli stereotipi sessisti e degli ostacoli nell'accesso agli studi scientifici. Con maschile ammirazione, Odifreddi ricostruisce i percorsi di vita, le difficoltà affrontate, i colpi di genio, la dedizione assoluta e la libertà di pensiero di figure quali Rita Levi Montalcini e Maryam Mirzakhani (prima Medaglia Fields in rosa), Marie Curie e l'astronauta Judith Resnik, l'imbattibile scacchista Judit Polgár e la farmacista cinese Tu Youyou, Nobel per la Medicina. La lettura di questo libro è un viaggio nella versatilità della mente femminile, capace di raggiungere le massime vette in tutte le discipline portando avanti il cammino dell'umanità. Al tempo stesso può servire da sprone alle ragazze di oggi, affinché finalmente si affaccino agli studi scientifici senza un ingiustificato senso di inadeguatezza.
Il sogno è quello dei neri d'America di liberarsi dalle catene del razzismo, dalla discriminazione, dalla repressione e la violenza degli apparati dello Stato. La ragione è quella messa in campo nel corso della Storia da una parte consistente del popolo americano nero e bianco, attraverso la protesta. Dal primo conflitto razziale del 1935 ad Harlem alla rivolta di Filadelfia del 1964, ai fatti di Watts del 1965, all'insurrezione di Detroit del 1967, alle marce di Martin Luther King e alla sfiorata guerra civile successiva alla sua uccisione, fino alle sommosse della Kitty Hawk del 1972, di Miami del 1980, di Los Angeles del 1992 e alle grandi manifestazioni del movimento «Black Lives Matter», in America e in tutto il mondo, seguite all'uccisione di George Floyd. Un secolo di storia dei movimenti di protesta che si battono per i diritti civili e la loro influenza sui cambiamenti degli assetti della politica americana.
Attraverso la scrittura gli etnografi descrivono i modi in cui le persone, in un qualche luogo e in un certo momento, percepiscono il mondo e vi interagiscono. Più che un metodo o la fase iniziale di un procedimento conoscitivo teorico, l'etnografia si configura quindi come un viaggio nelle molteplici sfaccettature dell'esperienza, anche se dal moltiplicarsi e dal raffinarsi delle rappresentazioni etnografiche emergono anche nuove forme di riconfigurazione teorica del sapere antropologico. Il volume offre alcuni modelli di ricerca etnografica nel Sannio, in Sicilia e in Ghana e si conclude con l'edizione critica di un testo poetico.
Chi è l'uomo? La visione dell'uomo che ci portiamo dentro anima le nostre scelte e plasma la società. Rispondere a questa domanda nel mondo di oggi, immerso nelle varietà culturali, richiede l'onestà di ammettere che non possiamo limitarci ai percorsi e ai concetti del passato. Per essere vigili nei confronti delle spinte anti-umane dei nostri tempi serve partire dalle sofferenze dei fratelli. Immedesimazione, riconoscimento e incontro sono il presupposto di una teologia vivida e capace di agire.
La nostalgia è il sentimento che, forse più di altri, ha accompagnato l’origine, lo sviluppo e l’affermazione del mondo moderno. Classificata come fissazione patologica o attitudine retrospettiva che frena ogni cambiamento, è stata liquidata in modo frettoloso per occultare l’insostenibile pesantezza del tempo presente. Tra pandemie e rischi climatici, dolore e speranza, la nostalgia ritorna ostinatamente a offrirsi come àncora di salvezza, strategia, risorsa, elemento creativo capace di misurarsi con il passato e di delineare possibili itinerari per il futuro. In modo paradossale essa si trasforma così da malattia legata al rapporto con i luoghi, desiderio di altrove e di tempi sconosciuti, in meravigliosa macchina del tempo che agisce come terapia della modernità criticandone i presupposti, le ingenuità e le menzogne. Capace di intercettare il pensiero apocalittico e quello utopico, di collocarsi dalla parte degli sconfitti e degli emarginati, la nostalgia mostra in questo modo anche un aspetto sovversivo che riconsidera potenzialità inespresse e vie mai percorse da un’umanità che non può più semplicemente sperare nelle proprie «magnifiche sorti e progressive».
Sommario
Presentazione. 1. Genesi (e patologizzazione) di un sentimento. 2. Curare la malinconia. 3. Quel che resta di mondi scomparsi. 4. Andare all’America. 5. Sud e melanconia. 6. Fiori d’origano e fichi nei vasi. 7. Comunicare con i morti. 8. Politiche della nostalgia. 9. Nuove vie dei canti. 10 Verso l’estinzione della nostalgia. 11. Ringraziamenti. 12.
Bibliografia.
Note sull'autore
Vito Teti è professore ordinario di Antropologia culturale all’Università della Calabria, dove dirige il Centro Demoantropologico “R. Lombardi Satriani”. Tra le sue pubblicazioni: Maledetto Sud (Einaudi 2013); Pietre di pane. Un’antropologia del restare (Quodlibet 2014); Fine pasto. Il cibo che verrà (Einaudi 2015); Quel che resta. L’Italia dei paesi, tra abbandoni e ritorni (Donzelli 2017); Il vampiro e la melanconia. Miti, storie, immaginazioni (Donzelli 2018); Il colore del cibo. Geografia, mito e realtà dell’alimentazione mediterranea (Meltemi 2019); Prevedere l’imprevedibile. Presente passato e futuro in tempo di coronavirus (Donzelli 2020).
Nell'era in cui l'unica regola è non avere regole, il sesso, da proibito al di fuori dal legame legalizzato contrattualmente (o sacramentalizzato per cattolici e ortodossi), è diventato merce-documento-informazione che primeggia nelle classifiche del giro d'affari internazionale della rete, ed è è sfruttato come richiamo in modo più o meno esplicito in un'infinità di altre merci e servizi. La prima parte del volume, curata da Gordon Cappelletty,- analizza la situazione di crisi e di trauma rispetto alle relazioni umane per mostrarne le potenzialità positive di trasformazione. La seconda parte, di Romano Màdera, tocca le nuove forme di relazioni amorose inquadrate nel passaggio storico del caos socio-economico, per poi interrogarsi sull'interpretazione psicoanalitica e sulle possibili risposte offerte dalla simbolica dell'ebraismo e del cristianesimo. Il sesso non è l'amore, ma l'amore implica spesso la sessualità, e allora si sa che gli incontri a fini sessuali, o i tentativi di incontro, o il sesso virtuale, si sono moltiplicati esponenzialmente, come testimoniano i siti che coprono ogni tipo di domanda potenziale. Se poi si facesse un gran calderone incrociando tutte le varietà possibili del termine «sesso», allora, oltre alla conferma che il consumo pornografico e l'offerta di prostituzione fanno girare più denaro in internet di qualsiasi altra offerta, vedremmo con chiarezza che sesso e amore sono due dimensioni dell'esperienza ben distinte e, spesso, molto distanti l'una dall'altra. E fin qui, in realtà, il caos è soltanto apparente: il circo universale degli affari è molto efficace nell'ordinare ogni attività al fine di accrescere i suoi volumi. Ma nel mondo degli amori - basta guardare alla frequenza delle rotture, alla biografia sentimentale delle persone, all'oceano di scontento e di dolore che le accompagna - sembra che la maggiore libertà si accompagni a una confusione nel sentire, a decisioni sempre sull'orlo della revoca, a un affievolirsi snervante di ogni capacità di mantenere e di costruire.
L’arrotino è una figura mitica per l’autore, perché il suo noto richiamo/appello ad accorrere, ha una duplice valenza: quella di invocare l’arrivo delle donne, ritenute (almeno fino a un po’ di tempo fa) le uniche depositarie della gestione degli utensili di cucina; e – seconda – proporre le sue abilità e i suoi strumenti per consentire un’operazione essenziale: il taglio giusto. Quel richiamo forte e delicato allo stesso tempo, con voce decisa ma non invadente, parole ripetute e amplificate, lasciano intendere (per una mente normale?) qualcosa di più di coltelli affilati: è il taglio delle parole che contano, per chi, mese dopo mese da dieci anni, in una rubrica che si intitola proprio “Le parole che non ti ho detto”, prova a dare spessore ad un dialogo insistente tra un uomo e molte donne.
Conosciamo l'antica Grecia e i sumeri, ma che cosa sappiamo di altre grandi civiltà ritenute secondarie? Molte culture del passato sono rimaste avvolte dall'oblio, altre invece hanno lasciato tracce che, se percorse, dischiudono mondi inimmaginabili. Grazie a recenti ritrovamenti archeologici e a nuovi studi genetici e linguistici, Harald Haarmann ci fa scoprire venticinque culture dimenticate o trascurate dalla storiografia tradizionale. L'autore va alla ricerca di insediamenti preistorici sul Lago Bajkal, getta nuova luce sulle popolazioni pelasgiche e svela il mistero delle guerriere del Mar Nero. Dalle mummie bionde ritrovate a Xinjiang, nel deserto cinese, alla sofisticata civiltà della valle del Danubio, dotata di una scrittura fra le più antiche al mondo, fino agli abitanti dell'Isola di Pasqua, decimati da una crisi ecologica che essi stessi avevano provocato. Questa esplorazione alternativa nella storia dell'uomo ci introduce anche a sensazionali scoperte, come quella di antichi insediamenti urbani in una regione dell'Amazzonia da sempre creduta semi-spopolata. Percorrendo i possibili sviluppi dell'umanità e le sue strade scartate, Haarmann non solo restituisce voce a chi l'aveva persa, ma esorta anche a riflettere sulla nostra civiltà, perché soltanto il riconoscimento del diverso ne dispiega il vero potenziale.
«Ci chiedevamo a che punto eravamo, che giudizio dare dei vecchi e dei nuovi movimenti femminili, quante delle nostre speranze si erano realizzate e quanto restava ancora da fare. In quelle discussioni su un punto ci trovavamo pienamente d'accordo, l'ammirazione per lo straordinario coraggio di donne di ogni tempo per l'affermazione di sé stesse e per i sacrifici compiuti nel cammino di emancipazione e liberazione del genere femminile» (Chiara Valentini a Dacia Maraini). Dopo secoli e anzi millenni di società patriarcali in cui sono rimaste in stato di minorità, subalterne agli uomini, senza diritti, senza identità sociale propria, nell'ultimo secolo le donne sono venute compiendo la loro rivoluzione. Ma stereotipi e ostilità continuano a essere d'ostacolo e anzi oggi sono molti i segnali che indicano come nessuna conquista possa essere data per acquisita. Due intellettuali, due amiche con alle spalle una vita di impegno e militanza sulla questione femminile riflettono insieme sul lungo cammino percorso e con una vivida serie di ritratti di donne esemplari onorano le tante che con il loro coraggio ne hanno segnato il procedere.
Le politiche neoliberiste degli ultimi decenni hanno arricchito una minoranza, approfondendo le disuguaglianze e riducendo la mobilità sociale. Eppure a questo stato di cose non corrisponde una reazione di massa, come se le persone fossero impoverite non solo materialmente e fossero incapaci di immaginare un altro scenario. E in effetti, sul piano politico nessuno mette veramente in discussione la logica del 'libero mercato', che viene considerata una legge di natura. La destra sovranista - con Salvini e Meloni - ha aggiornato la retorica nazionalista ottocentesca indicando negli immigrati e nell'Europa i nuovi capri espiatori. La sinistra ha passivamente seguito, illudendosi di poter dare una versione 'progressista' del patriottismo. Entrambe le parti politiche, in Italia come in tutto l'Occidente, si trovano perfettamente unite nell'accettare il 'culto neoliberista' della performance e della vita come competizione per il successo individuale. Questa narrazione ha trovato una potente linfa a suo sostegno in una cultura di massa - sapientemente alimentata dalle grandi corporation dell'intrattenimento - che ha eliminato ogni aspetto tragico della realtà, portando il pubblico a credere a una dimensione inverosimile e infantile in cui il bene trionfa sempre e il male viene punito. Una continua produzione di favole che incantano e alla fine inducono ad accettare passivamente ogni iniquità e ogni sfruttamento.
Alcune questioni di scottante attualità si affrontano con più consapevolezza alla luce dell'indagine storica. La divisione del mondo in 'Noi' e 'gli Altri' e i connessi modi di pensare lo straniero, i rapporti tra il primo gruppo e il secondo (con particolare attenzione alle esperienze di gestione nonviolenta delle incomprensioni), il diritto di cittadinanza e, più in generale, la convivenza in una società multiculturale: come si sono comportati i greci antichi? Osservare le pratiche di accoglienza, meticciamento, respingimento o marginalizzazione in un tempo lontano da quello odierno può farci comprendere, comparativamente, come il nostro atteggiamento nei confronti degli stranieri abbia a che fare sia con determinazioni socio-economiche sia con le politiche dell'identità che, implicitamente o esplicitamente, adottiamo.
Il lockdown è stato una forzata, lunga pausa, in cui per legge sono state sospese attività produttive, incontri sociali, manifestazioni culturali. "Sospendere" non è di certo un'idea estranea alle società umane: per esempio, la vediamo teorizzata dagli scettici del mondo antico in contatto con l'India, applicata nella cultura ebraica, praticata dai BaNande del Congo. La differenza è però notevole tra le sospensioni programmate, il cui scopo è di arrestare periodicamente le più importanti attività economiche, obbligando le società a ripartire da zero, e il nostro recente lockdown, un'esperienza straniante e inattesa, del tutto estranea al nostro modo di pensare. Una parentesi che si vorrebbe chiudere definitivamente per riprendere il cammino interrotto, quel "progresso infinito" con cui la civiltà occidentale ha voluto segnare la sua storia e la sua presenza nel mondo. In questa situazione, che cos'ha da offrire il pensiero antropologico? Deve salire sul carro del progresso o, al contrario, lavorare "contro" l'accecamento prodotto da questo mito? L'antropologia si fa portatrice di testimonianze spesso lontane nel tempo e nello spazio, in grado di mettere in luce le "vie di fuga" tracciate da ogni cultura, le sospensioni, anche traumatiche, con cui si pongono domande cruciali sul presente e sul futuro. Non è vero che le società da noi definite "tradizionali" e "premoderne" abbiano lo sguardo rivolto soltanto al passato: al contrario, non è raro trovare al loro interno un confronto esplicito tra generazioni allo scopo di garantire ai giovani un futuro vivibile. Dall'osservazione partecipante del lockdown e dalle riflessioni sulla "cultura dell'Antropocene" in cui siamo invischiati, emerge drammaticamente il "furto di futuro", l'impressionante debito economico ed ecologico che gettiamo sulle spalle delle nuove generazioni. Come venirne fuori, se non ideando un altro modo di vivere, una rivoluzione che abbia come obiettivo quello di rifondare la convivenza tra noi e gli altri abitanti della Terra, tra noi e la natura?