Il Calcio italiano è influenzato in modo fin troppo evidente dalle pulsioni che attraversano la nostra società e riflette perfettamente la condizione economico-sociale del paese. L'Italia continua a non perseguire una vera unità e il suo divario interno, che è un unicum nel panorama dei Paesi economicamente avanzati, incide anche sul movimento calcistico nazionale. La centocinquantennale "questione meridionale" è un aspetto latente, eppure assai decisivo, del pallone tricolore, dominato storicamente da tre squadre del Nord, espressioni del "triangolo industriale", che sfruttano i vantaggi di localizzazione e attingono al serbatoio di passione del centro-sud, le cui grandi società riescono a competere per la vittoria solo a cicli alterni. La squadra più vincente d'Italia è legata a una famiglia piemontese che ha fatto la storia dell'industrializzazione italiana del Novecento. È una delle squadre di Torino, prima capitale del Regno e città dei Savoia, la dinastia che forzò un più corretto percorso di Unità nazionale e "piemontesizzò" la penisola nel secondo Ottocento. Mentre si realizzava l'Unità geografica, in Inghilterra nasceva il "Foot-ball", Lo sport che, come tutti i costumi britannici, sarebbe divenuto uno strumento di affermazione egemonica della "perfida Albione" nel mondo. Il Regno Unito, che esercitò la sua forte influenza nel piano sabaudo di unificazione monarchica della penisola, avrebbe caricato i palloni da calcio a bordo delle proprie navi piene di merci e li avrebbe portati nei porti di mezzo mondo, compresi quelli italiani, importanti nella rotta verso il nuovo canale di Suez, realizzato per accordare le distanze con l'Oriente. Non a caso il football di casa nostra vide la luce a Torino e in quella Genova che ne era il principale sbocco sul mare, per poi approdare a Milano. Il "loro" campionato fu precluso alle squadre del sud per circa trent'anni e l'Albo d'Oro contempla quegli scudetti esclusivamente settentrionali, siglati prima che il ventennio fascista aprisse il confronto al resto del paese, procurando fastidio al movimento di quel settentrione che nel frattempo riceveva massicci favori nell'industrializzazione. Il dopoguerra consacrò il calcio industriale. E oggi cosa accade? Prefazione di Oliviero Beha.
Come e quando la comunità ha smesso di essere il nostro orizzonte sociale e psicologico? Se la società urbano-industriale ha contribuito a indebolire relazioni e rituali depositari di una memoria condivisa, il colpo decisivo è arrivato dalla Rete, con le sue communities virtuali in cui velocità, tweet e like hanno sostituito qualità, conversazione, amicizia. In questa era dei non luoghi e dell’eterno presente, tuttavia, il bisogno di comunità resta. Perché allora non provare a ricostruire un «noi» fondato su autentici legami di prossimità?
«La donna nel giardino rende familiari molti aspetti della condizione umana descrivendoli e affidando ad alcune parole-chiave il compito di comunicare ogni loro sfumatura. Solitudine, desiderio, mancanza, limite, smarrimento, legame, relazione acquistano uno spessore diverso. Esprimono tutta l'umanità dell'umano» - Giovanni Santambrogio, Il Domenicale del Sole 24Ore
Nel racconto della Genesi il serpente mette in campo una precisa strategia e usa astutamente il linguaggio per condurre Eva sul proprio terreno. Ed Eva risponde. Avrebbe potuto farlo in un altro modo? E cosa avrebbe potuto dire? Quando si decide, quando si è soli nel decidere, non bisognerebbe mai perdere di vista quei legami che ci costituiscono proprio in quanto soggetti capaci di decidere. Il serpente non solo separa l'albero della Conoscenza da quello della Vita, ma separa anche (per opporli) Eva da Dio ed Eva da Adamo. La donna è dunque sola di fronte alla proposta di diventare come Dio. La scena non potrebbe essere più drammatica.
"Cari zingari, cari nomadi, cari gitani, venuti da ogni parte d'Europa, a voi il nostro saluto." Con queste parole il 26 settembre 1965 papa Paolo VI inizia il suo discorso in un grande raduno che viene considerato oggi il punto di partenza per nuove strategie pastorali verso rom e sinti. Il libro analizza il modo in cui la Chiesa cattolica contribuisce alla metamorfosi dei "nomadi" nell'Italia (e in parte nell'Europa) della seconda metà del Novecento attraverso quelle nuove strategie pastorali. Si tratta di strategie che portarono decine di preti, suore e laici a vivere con i "nomadi" in nome della condivisione in Cristo, che svilupparono un'editoria cattolica rivolta ai "nomadi" o riguardante i "nomadi", che favorirono la traduzione in romanes di testi ezvangelici e liturgici e che portarono agli onori degli altari, per la prima volta nella storia, un "nomade". Ma le strategie pastorali non appaiono sempre omogenee e concordi all'interno della Chiesa, né nei rapporti con i "nomadi", né nei rapporti con le autorità diocesane e parrocchiali. Partendo dalle esperienze etnografiche dell'autore, il volume analizza tali rapporti, tenendo in considerazione le storie di vita di singoli missionari e attivisti religiosi che hanno vissuto per decenni nei campi nomadi o nei quartieri rom della Penisola.
Robert Eisler è stato il più misconosciuto fra i grandi visionari eruditi del Novecento. Studioso geniale e atipico, sempre ai margini del mondo accademico, ha lasciato un'opera multiforme e inclassificabile. E questo libro ne rappresenta l'estremo, grandioso epilogo. Influenzato da Jung e dalla sua teoria degli archetipi, si presenta come un'indagine socio-antropologica sulla crudeltà e l'aggressività umane, che ha l'audacia di suggerire una derivazione storica, o meglio preistorica, per ogni crimine e ogni violenza, «dall'attacco alla singola vita noto con il nome di assassinio o omicidio a quella forma di uccisione collettiva organizzata che chiamiamo guerra». La tesi di Eisler non potrebbe essere più concisa: se l'uomo moderno è sul piano biologico «la più spaventosa di tutte le bestie da preda» - secondo la definizione di William James -, e se al contrario il suo antenato era un primate frugivoro, a un certo stadio dell'evoluzione deve essersi verificata in lui una mutazione irrevocabile «dalle conseguenze disastrose e permanenti». È questa la «Caduta» che si cela dietro al misterioso fenomeno psichico denominato «licantropia», nonché ad altre manifestazioni patologiche. Sono poche, densissime pagine sorrette da una documentazione impressionante, una foresta di note dove proliferano miti, riti e leggende dei luoghi più disparati del pianeta - e che fanno di questo libro uno dei viaggi più inquietanti nei recessi di quella che ancora oggi ci ostiniamo a chiamare «natura umana».
In un'era dominata dal disorientamento, sempre interconnessa ma abitata da solitudini che si moltiplicano, l'antropologo ed etnologo Marc Augé, cui si deve l'introduzione delle nozioni di non-lieux e di surmodernità, affronta questioni centrali dell'umanità stessa dell'uomo: la felicità, la dignità, la fiducia, il preoccupante incremento delle disuguaglianze. Il volume, che trova il suo fil rouge nel senso profondo del condividere l'umanità generica che abita in ciascuno di noi, diviene una sorta di vademecum per il nostro presente. Quasi assopito in una pseudo felicità sedentaria, il soggetto contemporaneo - teso tra paura del futuro e relazioni di superficie - sembra arrancare in un presente continuo segnato da un clima di crescente barbarie. L'autore, lungi dal lasciare spazio al pessimismo, offre al lettore una sorta di kit di sopravvivenza e una bussola per orientarsi nel nostro tempo. Ci invita altresì a scommettere su una chance in cui ne va del nostro stesso futuro: l'utopia dell'educazione.
In un confronto con la filosofia scolastica medievale, ma anche con certe tendenze in campo riformato e con l'umanesimo rinascimentale, le quaranta brevi proposizioni De homine di Lutero, scritte nel gennaio 1536 per la discussione all'Università di Wittenberg, rappresentano un testo chiave dell'antropologia teologica del Riformatore e ne riassumono il pensiero: come per Paolo nella Lettera ai Romani, l'uomo è colui che è «giustificato per fede al di fuori delle opere» (tesi 32). Se la ragione umana consegue successi brillanti in tutti i suoi campi e il peccato non ne ha sminuite le possibilità nelle arti, rispetto al fondamento della persona umana essa non può trascendere sé stessa, rimandando alla teologia come materia competente, che in ultima analisi identifica il fondamento nella luce positiva del rapporto con Dio.
Chi sono i padri del terzo millennio? Sono quelli che mettono al mondo un figlio desiderosi di essere presenti nella sua vita. Quelli che vogliono diventare uomini migliori grazie alla paternità. Quelli che sanno essere disponibili e coinvolti e così facendo sostengono la crescita dei loro figli in modo autorevole e affettuoso. La paternità oggi è «contaminata» da bisogni emotivi nuovi per il mondo degli uomini. I «papà millennial» pensano ai propri figli e vivono loro accanto in modo completamente differente rispetto ai padri da cui sono nati. Non più solo «padri della legge», ma anche padri emotivi, affettivi, teneri, sensibili. Non più solo padri preoccupati di dare sicurezza, norme e protezione ai figli, attraverso il proprio lavoro, ma anche profondamente convinti del loro ruolo affettivo e educativo. Un saggio sulla paternità, scientificamente solido e basato sulle più recenti scoperte delle neuroscienze e sulle evidenze della teoria dell'attaccamento di John Bowlby, che è anche un percorso di self-help, in grado di aiutare gli uomini che stanno pensando di diventare padri, quelli che già lo sono e quelli che, non essendolo, stanno rielaborando la loro storia di figli a fianco del padre che li ha cresciuti. Casi clinici, storie di uomini alle prese con la paternità, ma anche informazioni e competenze che ogni uomo deve saper mettere in gioco nel passaggio da uomo a padre. Un saggio che si legge come un romanzo, perché arricchito da una serie di narrazioni sviluppate attraverso il metodo della NPO (narrativa psicologicamente orientata), di cui Alberto Pellai stesso ha teorizzato modello e metodo, realizzando molti libri per bambini e adulti. Un volume per aiutare gli uomini e le donne a comprendere in modo competente ed emozionale al tempo stesso che cosa succede nella mente degli uomini quando diventano padri e come rendere la paternità una tappa evolutiva nel proprio ciclo di vita, capace di rendere migliore ogni uomo che tiene per mano il proprio figlio lungo il percorso della crescita.
Il patrimonio culturale di un popolo non è fatto soltanto di monumenti e luoghi, ma anche di tradizioni trasmesse di generazione in generazione: linguaggi, pratiche sociali, forme d'arte, riti e feste, artigianato... Tutto questo compone il patrimonio culturale immateriale, che l'Unesco tutela nell'ottica del rispetto per la diversità e della salvaguardia delle molteplici forme di creatività umana. Oggi, oltre 400 espressioni da più di 100 Paesi fanno ufficialmente parte di questo patrimonio immateriale: dal teatro kabuki giapponese alla capoeira brasiliana, fino all'arte dei "pizzaiuoli" napoletani... Un sorprendente patrimonio si rivela tra le pagine di questo libro, arricchito da fotografie, in un viaggio attorno al mondo che aprirà gli occhi sulle ricchezze intangibili del nostro pianeta e sulla necessità di preservarle per le generazioni future.
Antropologo di fama, Marc Augé si è sempre interessato al problema dell'altro: l'altro individuo, l'altro società, l'altro culturale, l'altro geografico. In questo libro porta con sé il lettore dagli stadi delle grandi città alle lagune della Costa d'Avorio; s'interroga sul senso del cannibalismo, sui sogni. degli indiani del Venezuela, sul ruolo dell'eroe nelle serie televisive americane. Dopo più di mezzo secolo di osservazioni, Augé ritorna sulle relazioni fra identità e alterità presso alcune popolazioni africane o amerindiane e nel contesto della mondializzazione contemporanea. L'arte, la città e la sua rapida espansione, ma anche le nuove mobilità e la crescita dei proselitismi religiosi acquistano, sottolo sguardo. dell' antropologo, un senso inedito. Occorre saper praticare l'"arte del décalage" e sapersi tenere all'"incrocio delle incertezze" per potersi sottrarre all'uniformità, a quella fatalità che vorrebbe che fossimo tutti uguali.
Dopo "Il mio Afghanistan", Gholam Najafi torna nella sua terra d'origine attraverso 16 racconti: storie di donne, di infanzie, di amicizie, di difficoltà e di piccole gioie che, come fili intessuti, tracciano la trama dell'Afghanistan, "terra aspra e un non sempre morbido tappeto", come scrive Giampiero Bellingeri nell'introduzione. Storie che sono testimonianza di un legame ancora forte dell'autore con la sua terra e con il distendersi dei suoi ricordi. Introduzione di Giampiero Bellingeri.
Chi è la Befana? Tutti sapremmo rispondere a questa domanda, ma nel farlo ci renderemmo conto di quanto la questione sia in realtà complessa. Carlo Lapucci si fa carico di dare tutte le spiegazioni: da dove arriva questa figura tradizionale, composta di tratti pagani e cristiani, mescolata con il culto dei defunti e la celebrazione delle stagioni, espressione di figure bibliche come di forze simboliche ancestrali? Quali sono, nelle varie versioni della leggenda, le sue caratteristiche, le sue abitudini, com'è fatta la sua casa, chi sono i suoi aiutanti? Con attenzione antropologica ma andamento leggero, questo piccolo saggio esamina e racconta ogni segreto sulla Vecchia dei camini.