Un'esistenza sul confine tra la vita e la morte, tra battesimo ed estrema unzione. La nuda fede di una madre verso il battito del cuore del figlio. Un vecchio soldato, sopravvissuto alla guerra, insegna la forza del passo nella neve. Sullo sfondo i ricordi di una vita e la presenza incombente della fine. Una preghiera nel nome della vita che non vuole morire. Amen è il primo testo teatrale di Massimo Recalcati.
Centosessant'anni di storia del capitalismo vengono squadernati in un continuo saltare fra terzietà saggistiche, flussi romanzeschi, narrazioni di incubi e vaneggiamenti, il tutto punteggiato da isole realistiche in cui l'improvviso andamento da sceneggiatura filmica è inframmezzato di continuo dal commento in contrappunto di un ignoto narratore onnisciente [...] È questo congegno, ambizioso e riuscito, di continua osmosi fra dentro e fuori, a farmi avvicinare 'Lehman Trilogy' ai fluviali atti di 'Strano interludio' di Eugene O'Neill, ed è notevole che questa ardita soluzione drammaturgica mantenga la sua vigorosa efficacia nel corso di un trittico quasi wagneriano, dove l'Oro del Reno di un'Alabama negriera giungerà, inevitabile, al Crepuscolo dei divini indici di Wall Street." (Dalla prefazione di Luca Ronconi)
Una vecchia signora con un lungo e molto vario passato, sempre in bilico tra realtà e finzione, e una segretaria viceversa ossessionata dall'esigenza di chiarezza: due personaggi in realtà inscindibili, due facce della stessa medaglia, forse una proiezione scissa dell'autrice.
E poi un figlio (forse), una cameriera e una stufa di maiolica. Questi i personaggi del più recente lavoro teatrale scritto da Franca Valeri.
Una commedia allo stesso tempo comica e metafisica, quasi beckettiana, sull'ambiguità della vita (e del teatro) anche all'approssimarsi delle ultime scadenze.
«Mi sono tenuta a una certa distanza dalla pagina biblica, lontana da qualunque tentativo esegetico, attratta piuttosto dal silenzio che regna intorno alla figura di Caino e dalla potenza di questa icona: si staglia solissimo in un deserto abbagliante, a muso duro, con un fratricidio che pesa sulle spalle, la maledizione della terra, la lontananza dal volto della divinità. E poi eccolo dare inizio, con la costruzione della prima città, alle nere arti della tecnologia ¿ rese nere più che altro dallo smarrimento dell'etica che non ha seguito l'immenso sviluppo tecnico. [...]
L'enigma del male, il mysterium iniquitatis, è un fondale che non possiamo non indagare, anche se non siamo capaci dell'immensa apnea che richiede. Questo è il mio primo tentativo, ancora impregnato dell'ombra che ho cercato di attraversare, colpita dalla reticenza di questo tema ad avere una parola definitiva. Non la si potrà mai pronunciare, per fortuna. Nessuno la possiede per intero: chi ha creduto di possederla ha troppo spesso seminato dolore. Io ho potuto solo balbettare.»
Una pièce sul mistero dell’amicizia, su come ognuno costruisce la propria identità, e sui rituali e i malefici della sessualità nella vita segreta delle persone. Chispas Bellatin è un maturo uomo d’affari. È a Londra per lavoro, in un lussuoso hotel sulle rive del Tamigi. Qualcuno bussa alla porta: è una donna che dice di essere la sorella di Pirulo, il suo migliore amico di gioventù. Sono 35 anni che non lo vede, smisero di frequentarsi dopo che Pirulo tentò di baciarlo in una palestra di Lima. In verità, la sera stessa Chispas andò a casa dell’amico per scusarsi del pugno che gli aveva inferto per allontanarlo; ma da allora Pirulo sparì per sempre dalla sua vita. Sono tante, ambigue e fantasmatiche le storie, le versioni del passato, che iniziano a rianimarsi sulla scena: Raquel confessa di essere Pirulo e che grazie a quel pugno ha avuto la forza di operarsi diventando donna (nelle sue fantasie loro due si sono persino sposati, in un’altra sono stati amanti); Chispas confida all’amico/a di aver capito cosa fosse l’amicizia solo quando smise di vederlo, e che le sue avventure con le donne, i suoi tre matrimoni sono stati infelici a causa di quell’amicizia infranta (forse quel bacio in palestra doveva farselo dare). E se le cose fossero andate diversamente? E se quello sulla scena fosse il fantasma dell’amico morto per colpa di Chispas? E che pensare poi, quando lo stesso Pirulo apre la porta vestito da impaziente uomo d’affari? Certe sono solo le avventure, le fantasie segrete, le menzogne, le fughe in nuove dimensioni dell’immaginario che ognuno racconta a se stesso e agli altri per «rompere la camicia di forza dell’esistenza quotidiana».
L'ambiguità, la ferocia, la banalità, il dolore, la solitudine. Il teatro di Vitaliano Trevisan dà voce a personaggi forse perversi, talvolta paranoici, ossessionati da una presenza che scompagina la vita (come quella del figlio non voluto in "Oscillazioni") oppure soggiogati da un'assenza traumatica (come quella del compagno suicida in "Solo RPT"). Ma in gioco, in definitiva, ci sono la presenza e l'assenza di sé, il ritrovarsi o il perdersi nelle proprie autorappresentazioni, consolatorie o masochiste che siano. La vena dell'autore è intimamente tragica, ma di un tragico scarnificato, essenziale, senza alcuna enfasi. Con dei finali sospesi, in entrambi i casi, che lasciano aperte delle porte, anzi delle finestre, da cui i personaggi (e gli spettatori metaforicamente) si possono buttare oppure no.
"Negli ultimi anni sono diventato un appassionato di opera. Con l'avanzare dell'età lo spirito richiede un nutrimento più ricco. Curare l'adattamento di Viaggio alla fine del millennio a opera lirica mi avrebbe dato l'opportunità di dispiegare le ali della "poesia medievale", di trasformarla in canto vero e proprio. Così, malgrado non avessi mai curato la trasposizione di una mia opera in un'altra forma d'arte, e mai naturalmente mi fossi cimentato nella stesura di un libretto operistico, chiesi alla direzione del teatro dell'Opera israeliano di inviarmi quanti più esempi di libretti di opere famose e cominciai subito a contare le righe per sapere quanto fosse necessario dilungarmi" (Abraham B. Yehoshua).
Il più noto dei testi incompiuti di Brecht è stato per lungo tempo un riassunto di poche righe pubblicato all'interno delle sue opere complete. Heiner Müller ha consultato gli archivi di Berlino e ha scoperto centinaia di pagine di appunti legati al soggetto "Fatzer". Brecht vi lavorò tra il 1927 e il 1932 scrivendo quasi seicento pagine di appunti, frammenti, scene complete e note teoriche in cui sviluppava una nuova idea di teatro. Il dramma è ambientato nella Germania degli anni della Prima guerra mondiale, Johann Fatzer e tre commilitoni nascondono il proprio panzer e scappano a Mühlheim, una città segnata dalla fame e dal malcontento sociale.
Quando scrisse le tre parti del "Wallenstein", fra il 1796 e il 1799, Schiller era ormai un uomo maturo. Aveva abbandonato le ingenuità e i furori ideologici delle prime tragedie, nelle quali il bene, il coraggio e la libertà stavano da una parte, e il male e la tirannide dall'altra. Nel portare sulle scene le vicende del generale dell'impero asburgico, che tante battaglie vinse durante la Guerra dei Trent'anni ma venne poi sospettato di tradimento e ucciso, Schiller non mette in campo vizi contro virtù, ma uomini a tutto tondo, un po' buoni e un po' cattivi, in lotta fra loro; soprattutto rappresenta le loro volontà teoriche in lotta contro l'andamento quasi meccanico delle loro azioni negli insondabili destini tracciati da quel groviglio di forze discordi che è la storia. Un caposaldo del teatro europeo tradotto da Massimo Mila sessant'anni fa in una prosa che ancora oggi appare moderna ed efficacemente teatrale.
"Il 'bando' di Antigone "condanna" Ismene all'ordine della pólis; solo lì potrà abitare, non importa sotto quali leggi, suddita per sempre. Nel tempo della pólis dovranno instancabilmente cercare occasionali compromessi la prudenza degli anziani e la volontà di potenza dei regnanti, la timorosa pietas di Ismene e la paura servile della prima guardia, immagine di quella del plethos, della plebe disprezzata da Antigone. Qui sarà chiamato a sopravvivere Creonte, sconfitto insieme al cieco Tiresia. Dura legge e dura prova, la cui necessità la parola tragica enuncia senza ombra di consolazione. E perciò il pathos che suscita fa sapere - e solo nel sapere 'guarisce'." (dall'introduzione di Massimo Cacciari)
Alla vigilia della "Guerra dei sei giorni" un uomo si ritrova con l'ex moglie e il suo nuovo marito. Scaveranno nelle ragioni del loro divorzio, con il fratello pazzo e la madre che lo sta diventando: una commedia cadenzata dalle notizie radiofoniche dell'ineluttabile guerra che li ha riuniti. Questa commedia si situa nell'ambito della drammaturgia israeliana legata alla formazione dello Stato d'Israele, ma nello stesso tempo ne definisce la specifica direzione di ricerca e di unicità. Spicca la tendenza a fotografare i personaggi in situazioni estreme di sensibilità nervosa, a portarli sull'orlo di qualche disastro o esplosione patologica di forze psichiche sopite, ad acuire il conflitto tra memoria, isolamento e oblio.
Tre eccezionali firme - Galiani, Lorenzi e Paisiello -, portarono nell'ottobre del 1775 sul palcoscenico del Teatro Nuovo una famosa commedia in musica, il "Socrate immaginario". Una Napoli intelligente che trova nella grazia e nella follia del sorriso la sua chiave di interpretazione del mondo, riuscendo con lo sbuffo di una risata amara a rasciugare il tragico dalle sue lacrime e a restituirgli echi forse ancor più struggenti. Con i "Prolegomeni al Socrate immaginario", e un altrettanto acuto esercizio d'ironia, Roberto De Simone propone la sua rilettura dell'opera originale. Nasce così un testo che è surreale luogo narrativo in cui due opere teatrali, con antica intelligenza napoletana, conversano tra loro in un'armonia quasi alchemica.
L'azione si svolge ai giorni nostri, probabilmente In Cile, ma potrebbe trattarsi di un qualsiasi altro Paese in cui è tornata la democrazia dopo un lungo periodo di dittatura. I protagonisti sono Gerardo Escobar, un dissidente del precedente governo, ora prescelto dal nuovo presidente per una commissione d'indagine che deve far luce sui crimini commessi durante l'ex dittatura, Paulina Salas, sua moglie, che durante il regime fascista è stata violentata e torturata dagli aguzzini che la tenevano prigioniera, e Roberto Miranda, un medico dal passato a dir poco equivoco. Nella loro casa si svolgerà un vero e proprio processo a Miranda, accusato di complicità nelle torture da Paulina, che lo riconosce quando, per un banale incidente, capiterà a casa sua.
Il volume raccoglie una serie di brani (dialoghi, monologhi e brevi scambi di battute) poi confluiti all'interno delle commedie più famose del drammaturgo, regista, sceneggiatore e attore nato a Londra nel 1930. Alcune di queste opere sono state recentemente rappresentate al National Theatre di Londra.
«Spesso - ha detto in passato Pinter, nella sua franchezza quasi infantile, a Lawrence Benski - mi guardo nello specchio e penso: "Ma chi diavolo è quel tipo là?"». E, ancora, in un'altra intervista: «Nulla mi sembra esistere di più concreto e di più sfuggente di un essere umano». Non sono battute «giuste» per Emma, Jerry, Robert? Non si celano, tra le righe, battute disarmanti come queste in quella chiusa, dura come un'inoppugnabile sentenza, della prima scena di Tradimenti (che, però, è l'ultima, a livello della vicenda): «Non importa. È tutto passato. Sì? Che cosa è passato? È tutto finito». (Guido Davico Bonimo)
Macbeth e Banquo, generali di Duncan, re di Scozia, incontrano tre streghe che salutano Macbeth come futuro signore di Cawdor e poi re, Banquo come progenitore di re. Lady Macbeth spinge il marito ad uccidere Duncan giunto nel loro castello, mentre i figli del re riescono a fuggire. Nominato re, Macbeth elimina Banquo, dalla cui ombra sarà però perseguitato. Interroga poi le streghe che gli profetizzano che non sarà mai vinto da "nato da donna" e che regnerà finché la foresta di Birnam non si muoverà. Malcolm e Macduff muovono contro Macbeth che fa ucccidere la moglie e i figli di Macduff. Lady Macbeth impazzisce e si uccide, il marito è ucciso da Macduff (tolto anzitempo dal ventre materno), mentre l'esercito avanza, coperto da rami e fronde.
L'anziano Messer Nicia e la bella e giovane moglie Lucrezia non riescono ad avere figli. Di ciò e della stupidità di Nicia approfitta Callimaco, innamorato di Lucrezia. Si finge un dottore e assicura a Nicia che Lucrezia avrà un bambino se berrà una pozione di mandragola, ma che il primo uomo che, dopo, giacerà con lei, morirà subito. Lo convince che è necessario trovare un poveraccio che si presti a tale opera per quella notte. A convincere Lucrezia si adoperano la sua sciocca madre Sostrata e lo spregiudicato fra Timoteo. Naturalmente è Callimaco travestito che passerà la notte nel letto di Lucrezia che, conosciuta la leggerezza del marito, eleggerà Callimaco suo amante.
Carlo, re dei Franchi, ha ripudiato Ermengarda, figlia di Desiderio, re dei Longobardi. Ermengarda torna dal padre e chiede di potersi chiudere in convento per trovare conforto nella preghiera. Un messo di Carlo intima a Desiderio di restituire le terre tolte al pontefice. Il re risponde sdegnosamente e la guerra è dichiarata. Alcuni duchi longobardi sono pronti a tradire. Nel campo dei Franchi giunge il diacono Martino a rivelare l'esistenza di un valico che permette a Carlo di prendere di sorpresa i Longobardi. Adelchi si difende strenuamente; intanto Ermengarda, muore in convento a Brescia. Un traditore apre ai Franchi le porte di Pavia, ultimo rifugio dei Longobardi. Giunge, morente, Adelchi che ha deciso di combattere fino all'ultimo.
"Quando cominciai a pensare alla gatta Cenerentola pensai spontaneamente ad un melodramma: un melodramma nuovo e antico nello stesso tempo come nuove e antiche sono le favole nel momento in cui si raccontano. Un melodramma come favola dove si canta per parlare e si parla per cantare o come favola di un melodramma dove tutti capiscono anche ciò che non si capisce solo a parole. E allora quali parole da rivestire di suoni o suoni da rivestire di parole magari senza parole? Quelle di un modo di parlare diverso da quello usato per vendere carne in scatola e perciò quelle di un mondo diverso dove tutte le lingue sono una una e le parole e le frasi sono le esperienze di una storia di paure, di amore e di odio, di violenze fatte e subite allo stesso modo da tutti. Quelle di un altro modo di parlare, non con la grammatica e il vocabolario, ma con gli oggetti del lavoro di tutti i giorni, con i gesti ripetuti dalle stesse persone per mille anni così come nascere, fare l'amore, morire, nel senso di una gioia, di una paura, di una maledizione, di una fatica o di un gioco come il sole e la luna fanno, hanno fatto e faranno".
Scritta intorno al 1950, nella scia di Zoo di vetro e di Un tram che si chiama desiderio, questa pièce porta nuovamente in scena una donna non più giovane e non più bella che rinuncia all'esistenza per mitizzare caparbiamente il proprio passato. Ma questa volta la materia è trattata in chiave comica e prevede un lieto fine. La rosa tatuata sarà portato per la prima volta sulle scene italiane da Valeria Moriconi, per la regia di Gabriele Vacis.
Il "Diario" di Anna Frank viene tradotto negli Stati Uniti nel 1952, dove è accompagnato da una prefazione di Eleanor Roosevelt, vedova del presidente scomparso nel 1947. Le entusiastiche accoglienze critiche spingono un uomo di teatro, Meyer Levin, a proporre a Otto Frank un adattamento teatrale. Il padre di Anna finisce per accettare proprio a seguito delle insistenze di Eleanor, che lo convince dell'opportunità di far conoscere il testo anche attraverso il teatro e il cinema. Occorreranno tuttavia altri tre anni prima che il "Diario" venga affidato alla penna di due drammaturghi, Albert Hackett e Frances Goodrich. Un adattamento teatrale rappresentato ininterrotamente da quarant'anni sui palcoscenici di tutto il mondo.
"L'inferno del maggiore Lager, del Lager per antonomasia è disegnato nella sua estensione e profondità, le sue istallazioni descritte con rigore catastale, l'iter del detenuto minuziosamente tracciato, dalla sosta sulla banchina ferroviaria al forno crematorio. Ma il passato è solo una delle dimensioni dell'oratorio di Weiss: l'altra, meno avvertibile per la sua stessa mobilità e ambiguità, è quella del presente, del modo in cui quel passato è rivissuto, atteggiato. All'evocazione dei fatti compiuta dagli scampati, corrispondono le interpretazioni, le prese di posizione degli imputati e di molti «testimoni», che depongono a piede libero. Questo aspetto dell'Istruttoria, se anche meno emozionante, ha una forza di rivelazione, anzi di denuncia, stupefacente".
Con la propensione all'ascolto, originariamente determinata da un difetto visivo, don Marzio è il prototipo di quei frequentatori di caffè che sanno di questo e di quello, che raccolgono notizie dalla voce degli altri e dalle gazzette per farsene portavoce, senza la cura di controllarle e di verificarne la fondatezza, mescolando verità e invenzione. Nella bottega del caffè si nasconde una vena scientifico-filosofica caratteristica del diciottesimo secolo e non manca quel doppio livello di lettura, quell'aspetto metateatrale che più volte si ritrova nel Goldoni.
Commedia in prosa in tre atti, scritta in dialetto veneziano. Rusteghi sono Lunardo, Cancian, Simon, Maurizio, che sotto l'abito di moralisti sono gretti e meschini. Le loro donne però si ribellano quando Lunardo combina il matrimonio della sua figlia di primo letto, Lucietta, con Filippetto, figlio di Maurizio, senza informarne prima gli sposi né la moglie Margarita. Felice, moglie di Cancian e Marina, moglie di Simon, aiutano Margarita a far sì che i ragazzi, contro il divieto di Lunardo e Maurizio, si possano almeno conoscere, prima delle nozze. Scoperta la cosa i due padri si infuriano, ma Felice li calma mostrando quanto le loro pretese siano assurde.
La bella locandiera Mirandolina è corteggiata, senza speranza, dal conte di Albafiorita e dallo spiantato marchese di Forlinpopoli, ma non dal cavaliere di Ripafratta che mostra disprezzo per le donne. Mirandolina usa tutte le sue armi di seduzione e lo riduce in breve ai suoi piedi. Quando il cavaliere le confessa il suo amore, la bella locandiera lo umilia davanti a tutti e annuncia le sue nozze con Fabrizio, cameriere della locanda.
“Non c’è da meravigliarsi che, uscendo dal teatro, la gente si chieda cosa diavolo ha visto. In casi come questo si finisce sempre per attribuire all’autore un preciso disegno simbolico, e si rigira il testo pezzo per pezzo, battuta per battuta, cercando di ricostruire il puzzle. Si ha l’impressione che Beckett, a casa sua, stia ridendo malignamente alle nostre spalle, mentre con una semplice intervista alla televisione potrebbe chiarire ogni cosa. Diremmo subito che, a nostro parere, pretendere a tutti i costi questo “sesamo apriti” non ha senso. Stabilire se Godot è Dio, la Felicità, o altro, ha poca importanza; vedere se in Vladimiro ed Estragone la piccola borghesia che se ne lava le mani, mentre Pozzo, il capitalista, sfrutta bestialmente Lucky, il proletariato, è perfettamente legittimo, ma altrettanto legittima è la “chiave” cristiana, per cui tutto, dall’albero che si trova sulla scena, e che dovrebbe rappresentare la Croce, alla barba bianca di Godot, si può spiegare Vangelo alla mano”. (Carlo Fruttero)
L'avaro Euclione ha trovato una pentola piena di monete d'oro ed è terrorizzato che gli venga rubata. Il suo vicino di casa, il ricco Megadoro, gli chiede in moglie la figlia Fedria e Euclione acconsente non sapendo che la ragazza, violata durante le feste di Cerere, sta per avere un bambino. Lo sconosciuto padre è Liconice, nipote di Megadoro che confessa a Euclione la sua colpa e chiede in moglie Fedria. Il servo di Liconide, Strobile, ha trovato la pentola piena di monete d'oro, ma è disposto a darla al suo padrone in cambio della libertà.
Commedia in cinque atti scritta probabilmente a Parigi nel 1582. La commedia, nella sua storia iniziale e nell'apparato di cui si circonda, pare un episodio della guerra condotta dal Bruno contro l'accademismo, il conformismo e la pedanteria. La trama si annoda su tre motivi: "sono tre materie principali, spiega l'autore, intessute insieme... l'amor di Bonifacio, l'alchimia di Bartolomeo et la pedanteria di Manfurio; però per la cognizion distinta de' soggetti, ragion dell'ordine et evidenza dell'artificiosa stesura, rapportiamo prima da per lui l'insipido amante, secondo il sordido avaro, terzo il goffo pedante".