È qui presentato in traduzione italiana, con testo greco a fronte, Introduzione e Bibliografia, il primo trattato cristiano di antropologia, scritto intorno al 400 d. C. da Nemesio, vescovo di Emesa (odierna Homs, in Siria). Nemesio intende rivolgersi soprattutto a non cristiani - ebrei e pagani di scuola neoplatonica - illustrando quale sia la natura dell'uomo, creatura posta da Dio ai confini dell'essere, tra divinità e irrazionalità. Ricco di discussioni critiche del platonismo, dell'aristotelismo, delle filosofie ellenistiche e del neoplatonismo, spazia dalla composizione di anima e corpo alla posizione dell'uomo all'interno della natura, dalla provvidenza al libero arbitrio, dalla razionalità alla passionalità. Questo trattato ebbe grande diffusione nel medioevo e in età moderna, grazie anche all'erronea attribuzione a Gregorio di Nissa, che ne favorì una diffusione tale da influenzare profondamente il pensiero antropologico cristiano.
Che Origene sia il teologo ed esegeta più dinamico del cristianesimo antico non dubita nessuno: ma occorre rimarcare, anche a beneficio degli studi classici, che è anche il più dinamico dei filologi. Riconosciuta come tratto visibile della sua opera, ma di fatto marginalizzata come strumento accessorio, ridotta entro la sola dinamica tra "lettera" e "allegoria", l'attitudine filologica di Origene è in realtà l'architrave del suo pensiero: consente di verificare, senza scorciatoie banalizzanti, il suo rapporto con la tradizione pagana; di accertare la profondità e l'estensione della sua cultura e come funzionasse quindi la scuola in epoca imperiale; di comprendere i presupposti della sua teologia, della sua esegesi, della sua filosofia del linguaggio. Permette soprattutto di misurare l'impatto rivoluzionario di un uomo che ha imposto alla Chiesa, nel tormentato equilibrio tra le attese del teologo e le esigenze del filologo, l'obbligo della ragione critica. Frutto di una dissertazione dottorale in Filologia classica presso l'Università di Berna, questo ormai classico studio di Bernhard Neuschäfer costituisce in tal senso un contributo capitale alla storia del cristianesimo, della filologia e della scuola antica.
Il "De vera religione", all'interno dell'ampio e contrastato dibattito sul pensiero agostiniano delle origini, occupa un posto di tutto rilievo. Questa traduzione integrale, con testo a fronte e commento, rende finalmente accessibile una fonte essenziale. L'opera, scritta da Agostino circa tre anni dopo aver ricevuto il battesimo, ma prima dell'ordinazione presbiterale (391), affronta un tema quanto mai centrale per stabilire quale fosse l'idea che l'autore aveva del cristianesimo e quale fosse il suo atteggiamento nei confronti del neoplatonismo. Non è un'opera polemica né apologetica, ma di esortazione alla "vera religione" che passa attraverso la ricostruzione della sua concreta esperienza religiosa di conversione. Un testo che riletto ora, alla luce del dibattito storiografico, chiarisce l'autonomia dell'elaborazione suo pensiero cristiano dalla filosofia pagana neoplatonica.
Il rapporto tra cristianesimo e filosofia è visto da tempo come un aspetto della più ampia interazione tra cristianesimo e cultura greco-romana, che in passato era stata interpretata in modo preconcetto da una parte e dall'altra. Gli studiosi della filosofia antica vedevano nel testo cristiano uno dei tanti testi da usare. Dall'altro lato, gli specialisti del cristianesimo antico si rifiutavano di vedere nei testi cristiani qualcosa di diverso dalla Sacra Scrittura, e ritenevano che eventuali elementi filosofici che vi si potessero rintracciare in realtà non dovessero essere tenuti in considerazione. In realtà le cose si rivelarono più complesse: è vero che pensatori cristiani non interessati alla tradizione di fede non esistettero, ma ve ne furono alcuni che non videro nella filosofia una contraddizione alla fede, e, per di più, ebbero una grande fama sia nella tarda antichità sia nel Medioevo. Per quale motivo? Le pagine di questo volume - riguardanti la teologia e la filosofia nella letteratura cristiana antica, da Gregorio di Nissa, Tertulliano e Marcione, a Claudiano, Gerolamo, Porfirio e Cirillo di Alessandria - sono destinate a comprendere e interpretare la relazione tra Scrittura e filosofia, intesa, quest'ultima, come elaborazione, attualizzata ai tempi e ai modi, dello stesso kerygma cristiano.
Il concetto-chiave di chrêsis o "retto uso", fondamentale nell'etica antica e presente anche in ambito medico e giuridico, indica il modo in cui i Padri della Chiesa si posero di fronte alla cultura classica: come api, raccolsero il polline dai suoi fiori per trasformarlo in alimento. Gnilka - da filologo classico - con metodo scientifico aderisce qui al pensiero dei Padri seguendo la storia di tale concetto dalla Sofistica (V/IV a.C.) agli autori bizantini del VII/VIII d.C. Un testo programmatico per lo studio della letteratura cristiana antica e non solo, permettendo di rispondere a questioni teologiche tuttora aperte.
Dopo il successo della prima edizione (1995) e la sua tradizione in varie lingue, questa Storia della letteratura cristiana antica, riveduta e ampliata, intende mettere in rilievo precipuamente gli aspetti letterari che caratterizzano gli scritti dei primi secoli cristiani e che spesso vengono trascurati dalle antologie opere esistenti. La produzione letteraria cristiana è stata considerata quasi sempre o come strumento per la storia della Chiesa antica o come aspetto particolare della storia del pensiero patristico. Quest'opera, invece, vuole considerare l'insostituibile apporto che il cristianesimo ha arrecato alla formazione della cultura occidentale. Il termine "cultura" deve essere inteso in senso lato, e non esclusivamente come se si identificasse con i raggiungimenti artistici; essa comprende il pensiero, le problematiche, le soluzioni che l'antico testamento produsse e visse al proprio interno. In tal modo si recupera, pur osservandola in un suo ambito specifico, la peculiarità del messaggio evangelico, che costituisce il nucleo insostituibile di ogni forma letteraria cristiana. Antichi e nuovi contemporaneamente furono i contenuti e i generi di questa letteratura, che costituì il passaggio dalla civiltà antica a quella medievale.
Questa nuova edizione della "Storia della letteratura cristiana antica", riveduta e ampliata, intende mettere in rilievo precipuamente gli aspetti letterari che caratterizzano gli scritti dei primi secoli cristiani e che spesso vengono trascurati dalle analoghe opere esistenti. La produzione letteraria cristiana è stata considerata quasi sempre o come strumento per la storia della Chiesa antica o come aspetto particolare della storia del pensiero patristico. Quest'opera, invece, vuole considerare l'insostituibile apporto che il cristianesimo ha arrecato alla formazione della cultura occidentale. Il termine "cultura" deve essere inteso in senso lato, e non esclusivamente come se si identificasse con i raggiungimenti artistici; essa comprende il pensiero, le problematiche, le soluzioni che l'antico cristianesimo produsse e visse al proprio interno. In tal modo si recupera, pur osservandola in un suo ambito specifico, la peculiarità del messaggio evangelico, che costituisce il nucleo insostituibile di ogni forma letteraria cristiana. Antichi e nuovi contemporaneamente furono i contenuti e i generi di questa letteratura, che costituì il passaggio dalla civiltà antica a quella medievale.
Il libro ricostruisce come i Padri della Chiesa hanno pensato la Trinità (la relazione tra Padre, Figlio e Spirito Santo) e la Rivelazione cristiana in base ai concetti della metafisica greca. In gioco è il rapporto tra cristianesimo ed ellenismo: un tema quanto mai dibattuto, e qui analizzato con rigore e chiarezza. - Il libro è anche un'affascinante ricostruzione della storia del concetto di spirito (pneuma), dal suo significato filosofico (ragione, anima) a quello teologico cristiano, diventando nome della terza Persona divina. Da tale storia emerge anche una nuova prospettiva sullo spirito dell'uomo e sul suo rapporto con il corpo e il mondo. - Le controversie teologiche tra patristica greca e latina sono esposte e chiarificate in modo nuovo.
Se la nascita e lo sviluppo del pensiero cristiano delle origini sono segnati dall’incontro con la filosofia greca, un protagonista di questo incontro, nel periodo fra il II e il III secolo, è Origene di Alessandria (185- 253 d.C.), il più autorevole teologo ed esegeta cristiano prima di Agostino. - Il libro mostra, con attenzione anche agli aspetti linguistici, come Origine si serva del pensiero antico, soprattutto del platonismo, per interpretare le Sacre Scritture e alimentare la riflessione sui contenuti della rivelazione. Una interpretazione che ha segnato la storia della teologia cristiana, occidentale e orientale. - Un libro, insieme di storia della filosofia e storia del cristianesimo, che apre nuove piste di ricerca.
Epifanio si collega alla tradizione eresiologica inaugurata da Giustino nel II secolo e proseguita da Ireneo e Ippolito, ma, vissuto nel IV secolo, scrive in un Impero ormai cristiano, nel periodo delle grandi controversie teologiche, nel corso delle quali l'intervento imperiale svolge un ruolo non trascurabile. Il Panarion è un vero e proprio trattato eresiologico, anche se nel corso del III e del IV secolo alcuni autori inseriscono nei loro scritti elenchi, più o meno lunghi, di eresie - basti pensare a Clemente d'Alessandria, Origene, Eusebio di Cesarea, Cirillo di Gerusalemme. L'opera, monumentale e ricca di documenti, si compone di tre libri, ripartiti in sette tomi, nei quali sono presentate e confutate ottanta tra eresie e scismi: il primo libro contiene tre tomi e quarantasei eresie (Barbarismo, Scitismo, Ellenismo, Giudaismo e Samaritanismo, con le rispettive suddivisioni, e le eresie sorte dopo l'incarnazione di Cristo, dai Simoniani ai Tazianei), il secondo due tomi e ventitré eresie (dagli Encratiti agli Ariani), il terzo due tomi e undici eresie (dagli Audiani ai Massaliani). Chiude il trattato «la difesa della retta fede e verità, che è rappresentata dalla santa, cattolica e apostolica Chiesa», in cui l'autore sintetizza i punti fondamentali della dottrina cattolica ortodossa - la Trinità, l'incarnazione di Cristo, la resurrezione dei morti, il giudizio eterno - e i principi istituzionali che reggono la Chiesa - la liturgia, le riunioni, i digiuni, le festività, la vita dei fedeli e dei monaci, le prescrizioni per la vita quotidiana. Il risultato di questo lavoro è un panarion, appunto, una cassetta di medicinali, dalla quale poter trarre rimedi contro morsi e punture mortali. Fuor di metafora, una sorta di manuale di pronto soccorso, al quale i cristiani della retta fede possono attingere le informazioni di cui necessitano per riconoscere a quale categoria appartengano gli eretici incontrati nel loro cammino, eventualmente per confutarli, per convincerli a rinsavire, e anche per guidare i fedeli a non cadere nell'errore.
Epifanio si collega alla tradizione eresiologica inaugurata da Giustino nel II secolo e proseguita da Ireneo e Ippolito, ma, vissuto nel IV secolo, scrive in un Impero ormai cristiano, nel periodo delle grandi controversie teologiche, nel corso delle quali l'intervento imperiale svolge un ruolo non trascurabile. Il Panarion è un vero e proprio trattato eresiologico, anche se nel corso del III e del IV secolo alcuni autori inseriscono nei loro scritti elenchi, più o meno lunghi, di eresie - basti pensare a Clemente d'Alessandria, Origene, Eusebio di Cesarea, Cirillo di Gerusalemme. L'opera, monumentale e ricca di documenti, si compone di tre libri, ripartiti in sette tomi, nei quali sono presentate e confutate ottanta tra eresie e scismi: il primo libro contiene tre tomi e quarantasei eresie (Barbarismo, Scitismo, Ellenismo, Giudaismo e Samaritanismo, con le rispettive suddivisioni, e le eresie sorte dopo l'incarnazione di Cristo, dai Simoniani ai Tazianei), il secondo due tomi e ventitré eresie (dagli Encratiti agli Ariani), il terzo due tomi e undici eresie (dagli Audiani ai Massaliani). Chiude il trattato "la difesa della retta fede e verità, che è rappresentata dalla santa, cattolica e apostolica Chiesa", in cui l'autore sintetizza i punti fondamentali della dottrina cattolica ortodossa - la Trinità, l'incarnazione di Cristo, la resurrezione dei morti, il giudizio eterno - e i principi istituzionali che reggono la Chiesa - la liturgia, le riunioni, i digiuni, le festività la vita dei fedeli.
Ci si può accostare secondo diverse prospettive e con diversi metodi al cristianesimo antico, un periodo tanto affascinante quanto magmatico, creativo e differenziato. Un aspetto caratterizzante fin dagli albori le fonti letterarie cristiane è costituito dall'inesausta riflessione teologica. Il volume indaga le ragioni di questa particolarità, offrendo una sintesi attenta ai nodi problematici, ma allo stesso tempo chiara, del pensiero degli antichi cristiani. Si parla di teologia con accezione vasta, comprendendo non solo la cristologia e quella che, seppure anacronisticamente per i primi tre secoli, si può definire concezione trinitaria, ma anche ciò che i cristiani pensavano dell'uomo, della storia, della sua fine, dei modi di vivere e di organizzarsi come seguaci di Gesù. L'approccio alla materia è storico: si è evitato di valutare gli autori in base a posteriori criteri di ortodossia, da spiegare anch'essa in un'ottica storica, o di sovrapporre uno schema di progresso lineare al concreto farsi del pensiero, da analizzare nella diversità delle aree geografiche, degli influssi culturali, dell'organizzazione delle singole chiese: ne risulta un quadro ricco e sfaccettato, perché i cristiani pensarono cose diverse su Dio e su Gesù, e tuttavia unificato dalla comune convinzione che Gesù fosse il portavoce di Dio e che la sua funzione fosse salvifica.
La Confutazione di tutte le eresie, di incerta attribuzione, è un'opera eresiologica antica fra le principali a noi pervenute. Costituisce sia una fonte di notevole rilievo per la conoscenza della filosofia greca, delle dottrine e delle pratiche esoteriche tardo-antiche, sia un repertorio sulle diverse sette gnostiche, molte delle quali altrimenti ignote. È un documento unico nel suo genere, dove sono descritte con grande vivacità le controversie teologiche e i conflitti personali entro la Chiesa di Roma agli inizi del III secolo. L'opera, qui tradotta con commento, ha un'introduzione di Emanuele Castelli e un saggio in appendice del curatore Aldo Magris, che ne mostra l'importanza per capire il paradigma gnostico.
Un'indagine in grado di offrire un volto complessivo di Origene riducendo la ricchezza di spunti sulla preghiera dispersi nel suo vasto corpus in una prospettiva storiografica capace di vedere gli influssi esegetico-teologici del pensiero di questo maestro sul primo cristianesimo.
Le storie del diluvio, composto nel 1899, è uno degli esiti più originali e maturi della ricerca storico-religiosa di Hermann Usener. Lo studioso vi svolge ben più di un’analisi comparativa delle fonti babilonesi, semitiche, indiane e soprattutto greche del diluvio. Partendo dalla figura dell’eroe protagonista, Deucalione, che Usener interpreta come un giovane dio della luce portato sulle onde, prende in considerazione le varianti regionali del mito greco, ambientato di volta in volta sul Parnaso, sull’Otri, sul Gerania, fino alle aree ellenizzate della Siria, dove sorge una Gerapoli Bambyce, e della Frigia, dove la città di Apamea ricorda nel nome l’arca del diluvio. Attraverso la disamina, audace e rigorosa, dei simboli della luce, della nave e del pesce, lo studioso mira alla «comprensione dell’immagine mitica, nella sua molteplicità e ambiguità».
L’intero saggio appare come una ricerca del nocciolo del racconto mitico, Mythenkern, avviluppato dalle successive rielaborazioni letterarie: il motivo dell’eroe trasportato sulle acque in un’arca fino alla cima di un monte è comune a tutti i miti del diluvio. Il massimo risultato raggiunto da Usener in questo saggio, che precorre la fondamentale teorizzazione del 1904, Mitologia, consiste dunque nella messa a punto di un nuovo metodo per lo studio “scientifico” del mito.
COMMENTO: La prima traduzione dell'originale saggio di Hermann Usener, nel quale l'autore, a partire dalle fonti babilonesi, semitiche, indiane e greche, analizza l'immagine del mito del diluvio nella sua molteplicità e ambiguità.
HERMANN USENER (1834-1905), filologo classico e storico delle religioni, professore nelle università di Berna, Greifswald e Bonn, è stato una delle grandi figure della storia delle religioni dell’Ottocento. Tra le sue opere ricordiamo: Epicurea (1887, tr. Bompiani 2002), Götternamen (1896, tr. I nomi degli dèi, Morcelliana 2008), Dreiheit. Ein Versuch mythischer Zahlenlehre (1903, tr. Triade. Saggio di numerologia mitologica, Guida 1993), e il volume sul vescovo S. Ticone uscito postumo nel 1907 (tr. San Ticone, Morcelliana 2007).
ILARIA SFORZA si è perfezionata in Discipline filologiche classiche alla Scuola Normale Superiore di Pisa. È autrice di un saggio sugli impieghi del duale omerico e sulle scene di duello nella ceramica corinzia, L’eroe e il suo doppio (ETS 2007), e ha curato per Morcelliana di Hermann Usener, San Ticone (2007).
Il discorso agiografico antico è qui considerato quale insieme di strategie retoriche e forme letterarie che tramandano in modo narrativo la memoria di ciò che uomini e donne, ritenuti incarnare un ideale di perfezione, hanno compiuto durante la loro vita e anche dopo. Una definizione che intende mettere in secondo piano le più consuete classificazioni di contenuto e di genere letterario per meglio cogliere l'articolazione e i cambiamenti di una letteratura e di pratiche cultuali in tumultuoso sviluppo e differenziazione, in dialogo con i diversi ambienti culturali e religiosi senza delimitazioni a priori fra ciò che è giudaico, pagano o cristiano. Il volume si concentra sui testi e sui loro autori domandandosi: da quali circostanze storiche nasce un testo agiografico come interagisce con il contesto culturale e teologico a quale pubblico intende rivolgersi. La novità consiste nel tentativo di cogliere le traiettorie dei testi sul lungo periodo, le reinterpretazioni, le interazioni fra loro e con i diversi contesti culturali, le logiche di trasformazione del discorso agiografico e dei suoi linguaggi nelle mutate condizioni storiche a partire dall'esame dei testi redatti fra la fine del I sec. e l'inizio del II, attraverso lo sviluppo del discorso agiografico sui martiri; l'analisi di alcune Vite dei filosofi di autori pagani del II e III sec.; e inoltre gli scritti di Atanasio, Eusebio, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa, Gerolamo, Prudenzio...
Pensiero giudaico ellenistico è un’espressione priva di confini ben definiti. Comprende la filosofia, ma si estende anche ad ambiti teorici compresi in opere di carattere letterario, scritti religiosi, apologetici o parenetici. Il termine stesso filosofia rinvia alle sue origini greche; in senso stretto, però, in periodo ellenistico, di filosofia ebraica si può parlare solamente a proposito di Filone di Alessandria, forse di Aristobulo, di quegli autori che sistematicamente hanno utilizzato categorie filosofiche per la loro elaborazione, in un dialogo serrato con platonismo, aristotelismo, stoicismo, epicureismo e altri indirizzi teorici. Autori che, non solamente scrivono in greco e sono formati alla cultura greca, ma a questa attingono come ambito categoriale di interpretazione della realtà e delle Scritture. Autori per i quali, parallelamente, la Torah costituisce punto di partenza ineludibile, testo di autorità, espressione della tradizione e dell’identità. In particolare Filone, vero e proprio iniziatore di un modo di fare filosofia, coniuga interpretazione della Bibbia e lettura del pensiero greco. Difficilmente definibili sono opere quali Il libro della Sapienza o Giuseppe e Aseneth o anche La Lettera di Aristea: se non possono essere dette filosofiche fanno parte, però, della storia del pensiero. Anche da un punto di vista geografico l’ambiente di provenienza è differenziato: il fulcro della produzione è Alessandria d’Egitto, ma il referente ideale costante è Gerusalemme, il polo cui guarda la diaspora, il luogo in cui ha sede il Tempio, il faro cui tutti gli ebrei si rivolgono.
In quest’ottica il termine stesso «ellenismo» ha più volti: se da un lato indica un periodo storico (il tempo che va dal regno di Alessandro Magno alla battaglia di Azio nel 31 a.C.), dall’altro significa una forma culturale e politica nuova, l’incontro tra popoli, conoscenze, culture differenti. È nella pluralità dei significati, e nell’evolversi dei concetti fra mondo greco e pensiero ebraico che si muove, pionieristicamente, questa storia.
COMMENTO: La prima storia del pensiero giudaico ellenistico, dai libri biblici fino a Filone di Alessandria, scritta da una delle maggiori studiose di filosofia antica.
FRANCESCA CALABI è docente di Storia della Filosofia tardo antica all’Università di Pavia. Tra le sue pubblicazioni: God’s Acting. Tradition and Philosophy in Philo of Alexandria; Lingua e legge di Dio: interpretazione e politica in Filone alessandrino. Ha tradotto opere di Filone di Alessandria, di Flavio Giuseppe e la Lettera di Aristea a Filocrate.
Epifanio si collega alla tradizione eresiologica inaugurata da Giustino nel II secolo e proseguita da Ireneo e Ippolito, ma, vissuto nel IV secolo, scrive in un Impero ormai cristiano, nel periodo delle grandi controversie teologiche, nel corso delle quali l’intervento imperiale svolge un ruolo non trascurabile. Il Panarion è un vero e proprio trattato eresiologico, anche se nel corso del III e del IV secolo alcuni autori inseriscono nei loro scritti elenchi, più o meno lunghi, di eresie – basti pensare a Clemente d’Alessandria, Origene, Eusebio di Cesarea, Cirillo di Gerusalemme.
L’opera, monumentale e ricca di documenti, si compone di tre libri, ripartiti in sette tomi, nei quali sono presentate e confutate ottanta tra eresie e scismi: il primo libro contiene tre tomi e quarantasei eresie (Barbarismo, Scitismo, Ellenismo, Giudaismo e Samaritanismo, con le rispettive suddivisioni, e le eresie sorte dopo l’incarnazione di Cristo, dai Simoniani ai Tazianei), il secondo due tomi e ventitré eresie (dagli Encratiti agli Ariani), il terzo due tomi e undici eresie (dagli Audiani ai Massaliani). Chiude il trattato «la difesa della retta fede e verità, che è rappresentata dalla santa, cattolica e apostolica Chiesa», in cui l’autore sintetizza i punti fondamentali della dottrina cattolica ortodossa – la Trinità, l’incarnazione di Cristo, la resurrezione dei morti, il giudizio eterno – e i principi istituzionali che reggono la Chiesa – la liturgia, le riunioni, i digiuni, le festività, la vita dei fedeli e dei monaci, le prescrizioni per la vita quotidiana. Il risultato di questo lavoro è un panarion, appunto, una cassetta di medicinali, dalla quale poter trarre rimedi contro morsi e punture mortali. Fuor di metafora, una sorta di manuale di pronto soccorso, al quale i cristiani della retta fede possono attingere le informazioni di cui necessitano per riconoscere a quale categoria appartengano gli eretici incontrati nel loro cammino, eventualmente per confutarli, per convincerli a rinsavire, e anche per guidare i fedeli a non cadere nell’errore.
EPIFANIO DI SALAMINA (310/320-403), di famiglia cristiana, fu uomo di grande erudizione che si dedicò fin da giovane allo studio della Scrittura e all’ascesi. A vent’anni fondò un monastero e intorno al 367, pur continuando a condurre vita ascetica, divenne vescovo di Costanza a Cipro. Le sue grandi opere sulle eresie furono scritte nella maturità e portano nomi simbolici: l’Ancorato (374) e il Panarion (374-377).
DESCRIZIONE: Isidoro di Siviglia è una figura che non manca di sorprendere: fu celebre dai suoi tempi fino a tutto il Medio Evo (immortalato da Dante nel cielo dei sapienti, Par. X, 130-131), e di lui non abbiamo una biografia; fu originale nel nucleo del suo proposito di fornire un’affidabile e pronta enciclopedia dello scibile a popolazioni che non avevano altra fonte accessibile e nei suoi scritti singoli attinse dalle più varie parti senza apportare contributi personali specifici; fondò il genere letterario della Summa, e le Etimologie costituiscono un insigne monumento al suo merito.
È una personalità che giova quindi conoscere nella sua fisionomia esatta, con precisione di analisi e obiettività di valutazione. La presente Introduzione mira appunto a soddisfare questa esigenza. Ne illustra pertanto l’attività sociale e l’opera letteraria, esaminate quale proiezione del suo carattere e della sua mentalità.
COMMENTO: Un ritratto (la vita, il pensiero, la recezione nella posterità) del grande Padre della Chiesa, celebre per le sue Etimologie e Sentenze, che compendiano il meglio della cultura patristica.
FRANCESCO TRISOGLIO ha insegnato Storia bizantina e Storia della civiltà e della tradizione classica presso la Facoltà di Lettere, indirizzo classico, dell’Università di Torino. Della sua bibliografia – un centinaio di articoli e volumi – ricordiamo gli studi concernenti la letteratura greca (specialmente i tragici e gli storici) e latina (Cicerone e Plinio il Giovane), quella cristiana greca (Gregorio di Nazianzo, il Christus Patiens e Basilio) e latina (Cipriano, Ambrogio, Girolamo, Massimo di Torino) e quella bizantina (Procopio di Cesarea). Per Morcelliana ha curato Gregorio di Nazianzo, Autobiografia. Carmen de vita sua (2005); Isidoro di Siviglia, Le sentenze (2008).
Cecilio Cipriano Tascio (inizio III sec. - 14 settembre 258) si convertì al cristianesimo in età matura e ben presto divenne vescovo di Cartagine. Ricoprì la carica episcopale per circa un decennio, guidando con fermezza e autorevolezza la Chiesa africana in un periodo di grave crisi, segnato da persecuzioni, pestilenze e scismi, e rivelando oltre ad una personalità determinata ed energica, anche doti di pastore benevolo, sollecito e premuroso nei confronti dei suoi fedeli. La sua produzione letteraria risente profondamente del clima difficile e confuso degli anni a cavallo della metà del III secolo e deriva direttamente dall’attività pastorale, rispondendo a problemi e situazioni che erano sorte in seno alla comunità cristiana africana. Non scrisse pertanto opere teologiche, speculative o polemiche, ma prevalentemente opere pastorali in cui predomina l’aspetto parenetico; esse ne rivelano lo spirito pratico, le doti umane e la profonda conoscenza dell’animo e delle debolezze degli uomini. La sua missione fu coronata dalla palma del martirio, circostanza che contribuì ad accrescerne la fama anche oltre i confini africani e che consegnò ai secoli successivi una figura ideale di vescovo e martire.
Solo nel XIX secolo si è risvegliato un nuovo interesse per Gregorio di Nissa, il più giovane dei Padri Cappadoci (335-395 ca.): un proliferare di studi che valicano i confini isolati dei soli cultori di patristica. Un serio interesse scientifico verso uno dei più grandi autori dell'epoca tardo-antica che in queste pagine prende corpo seguendone l'opera e il pensiero e dando una analitica interpretazione dei punti più problematici - ma anche più significativi per la posterità - attraverso una minuziosa indagine esegetica, sempre compiuta facendo riferimento ai testi originali. Un tentativo di ricostruzione storico-critica del Cappadoce, come figura poliedrica: "ricercatore" appassionato, letterato versatile, profondo conoscitore della cultura antica e autentico mistico. Il lavoro è diviso in quattro sezioni: alla parte introduttiva ne segue una dedicata al pensiero su Dio e una alla dottrina antropologica, mentre l'ultima è dedicata alla cristologia, ecclesiologia ed escatologia. È una sintesi che tenta di armonizzare in un quadro organico la complessa produzione di Gregorio. Sintesi auspicata da Jean Daniélou, uno dei suoi più grandi interpreti novecenteschi, cui si deve la definizione di fondatore della "teologia mistica" attribuita al nisseno per la sua profonda indole teoretico-speculativa.
La prima traduzione italiana delle Sentenze di Isidoro di Siviglia si giustifica come un documento di primaria importanza non solo della sua epoca, ma della cultura medievale. Innanzitutto esse costituiscono la prima "summa", ispiratrice di un genere letterario che si sarebbe poi sviluppato con grande fortuna. Esse parlano a tutti, all'uomo comune come persona, al monaco come tipo dell'ascetismo, all'ecclesiastico come responsabile della vita religiosa, alla autorità civile come investita della missione di organizzare la società. È il primo trattato di morale politica. Presenta una visione organica della verità dogmatica e della sua incarnazione nella pratica, porgendola in una concisione essenziale; non sono trattazioni diffuse, ma messaggi che tendono a concentrarsi in un motto: Isidoro non diluisce, lancia delle illuminazioni che debbono fissarsi nella memoria per diventare viatico alla spiritualità quotidiana.
Lo studio sulla Leggenda di san Ticone - che, secondo le poche notizie in nostro possesso, fu vescovo di Cipro e feroce avversario dei culti pagani verso la fine del IV secolo - costituisce, dopo l'indagine su santa Pelagia di Gerusalemme, la seconda e più matura prova degli interessi per l'agiografia del grande ed eclettico filologo e storico della religione classica Hermann Usener. Seguendo i dettami e gli influssi del trend storico religioso coevo, il personaggio di Ticone viene ricollegato alla figura di una divinità pagana dal carattere agreste e connessa ai riti di rigenerazione e fertilità. Si tratta di un'interpretazione ardita e stimolante, in un'indagine condotta con maestria filologica, che, sebbene non tutte le tesi proposte in questo saggio possano essere accolte, contribuisce non di meno a gettar luce sui legami, a volte evidenti, altre volte più oscuri, tra l'antica religione greca e il nuovo culto cristiano, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti più popolareggianti e la persistenza di pratiche folkloriche. Il saggio è qui presentato per la prima volta in traduzione italiana, con un'Introduzione di Ilaria Sforza che ne mette puntualmente in luce le caratteristiche di novità.
L'Epistula de castitate di Pelagio - qui per la prima volta tradotta e commentata - è il testo su cui si sono basati gli scrittori cristiani per consigliare la castità come unico modo di vita degno dell'appartenenza del singolo alla comunità dei credenti; in essa si trovano elementi di continuità con S. Paolo, esibiti da Pelagio anche nel suo commento alle Lettere paoline. Ma non solo; la lettura dell'Epistula si rivela fondamentale per accostarsi alla dottrina morale pelagiana, elaborata come riflessione sul bonum naturae, quel bene di natura racchiuso nell'animo dell'uomo, che vi accede con tre facoltà: la possibilitas donata da Dio all'uomo, la voluntas propria e appartenente all'uomo stesso e l'actio, anch'essa del tutto umana. Sulla via della castità, come imitatio Christi in grado di diffondersi in tutto il mondo fra i credenti, verso la quale Pelagio esorta tutte le anime, si incontrano i grandi temi della morale cristiana e pelagiana: il peccato (sempre gravissimo), il castigo, la misericordia di Dio, il libero arbitrio dell'uomo e le virtù - tre principalmente: la castità, la rinuncia ai beni terreni e la giustizia.
Vi sono molte notizie per la maggior parte degli autori cristiani antichi, non sulla biografia di Ilario di Poitiers (310-320/367-368?). Oltre alle informazioni che si possono dedurre dai suoi scritti, le fonti principali per la vita di Ilario di Poitiers sono rappresentate soprattutto dalle notizie fornite da Girolamo, da integrare con quelle ricavabili dagli scritti di altri autori successivi, come Sulpicio Severo. La figura di Ilario di Poitiers emerge a tratti vivi da queste pagine nella sua lotta contro l'eresia ariana, nel suo confronto con l'impero di Costantino e con la filosofia pagana. L'autrice, dopo aver approfondito il pensiero del Vescovo attraverso l'analisi delle opere (la dottrina trinitaria, la cristologia, l'esegesi del Vangelo di Matteo e le opere successive all'esilio), ne traccia la fortuna nella storia delle interpretazioni - come se le qualità, tradizionalmente riconosciutegli, di sapienza, profondità di dottrina e solida virtù avessero alimentato la sua fermezza nel contrastare l'eresia e nel sostenere la Chiesa, della quale è stato "fermissima colonna". Un ritratto di incisiva essenzialità, che introduce al pensiero patristico con sobria limpidezza.
L'opera intende mettere in rilievo gli aspetti letterari che caratterizzano gli scritti dei primi secoli cristiani e che spesso vengono trascurati. La produzione letteraria cristiana, infatti, è stata considerata quasi sempre o come strumento per la storia della Chiesa antica o come aspetto particolare della storia del pensiero patristico. La presente "Letteratura cristiana antica", invece, vuole considerare l'apporto che il cristianesimo ha arrecato alla formazione della cultura occidentale.
Un'introduzione al pensiero di Quinto Settimio Florente Tertulliano, primo, e certamente tra i più grandi, fra gli autori latini cristiani a noi pervenuti. L'Autore ha studiato all'Università di Pisa, presso la quale sta svolgendo il dottorato di ricerca in Filologia e Letteratura greca e latina. Il volume si rivolge principalmente a studenti e docenti di Letteratura cristiana antica.
Una essenziale ma precipua introduzione al pensiero, alla vita e alle opere di Gregorio Nazianzeno, uno dei Padri Cappadoci, da parte di un importante studioso di patristica.
Si tratta dell'edizione scolastica universitaria della "Storia della letteratura cristiana greca e latina". Ma è anche un testo destinato al lettore comune. Moreschini è ordinario di Letteratura Latina nell'Università di Pisa e Enrico Norelli è professore di Letteratura Cristiana Apocrifa nella facoltà di teologia dell'Università di Ginevra.
L'autore, docente di Filologia patristica all'Università di Macerata, analizza le novità apportate nel linguaggio e nei concetti elaborati dagli autori cristiani dei primi secoli, nell'assimilazione della tradizione filosofica greca (Clemente Alessandrino, Origene, i Padri Cappadoci, Gregorio di Nissa...). Il volume si rivolge principalmente agli studenti e docenti di filosofia e agli studiosi di patristica.
Una dettagliata e documentata storia del pensiero cristiano dalla sua genesi primitiva - in opposizione alla filosofia pagana - fino al VI-VII sec. d.C. Un libro che completa la "Storia della Letteratura cristiana antica", dello stesso autore.
Testo inedito tradotto e commentato (con greco a fronte) dell'Autobiografia di questo Padre della Chiesa, Gregorio di Nazianzo, con inquadramento biografico e storico. Gregorio di Nazianso, padre della Chiesa dei primi secoli, fu chiamato "dottore ecumenico" (insieme a Basilio il Grande e Giovanni Crisostomo). Il curatore Francesco Trisoglio è docente di Letteratura cristiana antica all'Università di Torino.
Il ritratto del pensatore cappadoce e "dottore della chiesa greca" (330ca.-379) steso attraverso la sua biografia, la sua teologia, la suapredicazione, le sue opere dottrinali e la sua posterità, e supportato da un’apparato bibliografico.
Ordinario di Letteratura Latina all'Università di Pisa, Claudio Moreschini è tra i più significativi studiosi della storia del pensiero tardo-antico pagano e cristiano. Il libro si rivolge principalmente a studenti e docenti di Letteratura cristiana antica.
Il volume raccoglie gli studi di uno dei maggiori studiosi di Origene e di esegesi biblica nei Padri della Chiesa.
Perché nel 397 Agostino interrompe il De doctrina christiana, una delle sue opere più ambiziose e sistematiche, lasciandola trent'anni da parte, per concluderla soltanto a pochi anni dalla morte? Cosa nasconde la vicenda tormentata di uno dei grandi classici dell'Occidente, summa insuperata della cultura cristiana? A partire da questi interrogativi, tramite un rigoroso metodo storico-critico e un'indagine analitica delle opere e della storiografia agostiniane, il volume tenta una reinterpretazione globale e innovativa del pensiero del doctor gratiae. Il De doctrina christiana incompiuto è il culmine del platonismo cristiano del primo Agostino, umanista apologeta del libero arbitrio. Esso precede e non segue l'Ad Simplicianum, l'opera che inaugura la teologia del nuovo, dell'altro Agostino, antiumanista confessore della predestinata, onnipotente grazia indebita e della peccaminosa impotenza della libertà umana. Le Confessiones ritrattano l'opera interrotta, definendo la nuova, eteronoma doctrina christiana: l'identità dell'interiorità dipende dall'alterità indisponibile della grazia; l'uomo conosce e ama Dio soltanto se lo Spirito vuole conoscere e amare Dio in lui. Il tardo completamento del De doctrina christiana compie la riflessione sull'ermeneutica e sulla retorica dello Spirito, unico vero Interprete della Scrittura, unica irresistibile Parola di persuasione, sì che la teologia della grazia rivelerà il suo debito - finora insospettato - rispetto alla teoria ciceroniana degli stili retorici. L'agostinismo maturo - di cui non solo il De Trinitate o il De civitate Dei, ma anche le convergenti opere antipelagiane sono componente strutturale e non emarginabile - è quindi interpretato come rivoluzionaria dialettica tra ragione (natura, libertà) e grazia, tra persistente, ma subordinata ontoteologia platonizzante (già definita dal primo Agostino) e nuova, dominante teologia del Dono. Ad immagine del san Bartolomeo di Michelangelo, l'altro Agostino, strappato a sé dalla violenza della grazia, toglie ed esibisce il resto del primo Agostino, così come il tardo completamento del De doctrina christiana ritratta, recupera e implicitamente sconfessa l'antica parte dell'opera. Al cospetto del Dono, il potere della natura, della libertà, della stessa ragione non può che essere svuotato e sospeso.