Il "Trattato contro i donatisti" di Ottato è un'opera - redatta, a più riprese, tra 365 e 392 - di raro valore documentario, in sette libri che ricostruisce le origini della disputa tra cattolici e donatisti e definisce il profilo ecclesiologico della vera Chiesa a partire dall'integrità della sua vita sacramentale, secondo il principio del nesso lex orandi - lex credendi: ciò che la liturgia custodisce è la norma della fede. Per la prima volta edito in Italia corredato delle Appendici ottaziane, vero scrigno di documenti dell'epoca. Sono l'antichità e il prestigio della liturgia, la sua condivisione tra le parti in contesa e la sua diffusa conoscenza tra i fedeli a fondare la forza di un'argomentazione condotta in base ad essa, stabilendo un "ponte" tra chi scrive e il suo pubblico.
Ne «i due libretti sulla penitenza» che Ambrogio scrisse nell'ultimo quarto del IV secolo (Ambrogio, Commento al Salmo 37 1), confluirono l'aspra polemica con i Novaziani (sostenitori di un inflessibile rigorismo morale) e un'esortazione alla penitenza che il vescovo pensò per i suoi fedeli della Chiesa di Milano. Si tratta di un documento di grande interesse perché, oltre a documentare l'intensità del dibattito ecclesiale e a offrire uno spaccato sulla prassi pastorale della penitenza, lascia trasparire, come in filigrana, una sorta di riflessione autobiografica di Ambrogio stesso che ascrive alla misericordia di Dio nei suoi confronti l'essere passato dall'esercizio severo della giustizia, amministrata nelle vesti di giudice, all'abito della compassione proprio del ministro della Chiesa.
Il digiuno rappresenta una delle opere della maturità di Tertulliano. Tra i manifesti del suo radicalismo religioso, questo breve trattato indirizza con nettezza verso la prassi ascetica tanto la vocazione martirologica della Chiesa tanto le aspettative escatologiche correlate alla professione di fede del credente. Questo scritto rivela anche una forte carica polemica, indirizzata dall'autore verso gli «psichici» - quei cristiani che, sulla scorta di 1Cor 2,14, erano incapaci di comprendere le cose spirituali. Sin dall'esordio dell'opera, Tertulliano richiama l'integralità della fede cristiana. Non vi può essere una professione di fede disincarnata: il rigore della prassi religiosa non si distingue dalla fermezza nel credere; credere è insieme professare la fede e comportarsi di conseguenza. Il testo, è il più antico trattato sul digiuno pervenutoci. L'edizione ha testo originale a fronte e un impianto interpretativo totalmente rinnovato.
La Spiegazione del Credo rappresenta un autentico tesoro per la conoscenza delle origini cristiane. Quest'opera, nata quale espressione consapevole del legame del suo autore con la fede battesimale ricevuta nella sua Chiesa madre - l'«Ecclesia aquileiensis nostra» -, custodisce una testimonianza insuperabile per ricostruire la tradizione dei Simboli di fede delle Chiese delle origini. È infatti quest'opera che ha permesso di ricomporre l'antico Simbolo di fede della Chiesa di Roma. La Spiegazione del Credo di Rufino venne ritenuta nel medioevo latino una sorta di modello in materia, facendo da parametro e da esempio per tutti i successivi scritti di questo tipo. Introduzione Giuseppe Laiti.
Il Vangelo di Filippo, qui edito per la prima volta in Italia con testo copto a fronte, è un breve scritto, redatto in lingua greca ma giunto soltanto nella versione copta, risalente a II-III secolo d.C. Si tratta di un importante tassello per comprendere quel particolare quadrante delle origini cristiane sorto dalla predicazione di Valentino di Roma. Composto quale autentico mosaico letterario, il Vangelo di Filippo raccoglie una collezione di fonti originariamente indipendenti sottoposte a un tentativo di armonizzazione forse a opera di Axionico di Antiochia, a detta di Tertulliano il migliore custode dell'insegnamento di Valentino. Si tratta di un manifersto e insieme di una "regula fidei" che restituisce un ritratto inedito della gnosi, non privo di debiti con le tradizioni giudaiche, nel quale prassi cultuale, indissolubilità del nesso corpo-anima e attesa del Giorno del Signore occupano uno spazio del tutto evidente.
Gli Estratti da Teodoto, qui editi per la prima volta in italiano, sono tredici Frammenti, redatti da Clemente di Alessandria in polemica con gli scritti dello gnostico Valentino di Roma e di Teodoto. Si tratta di documenti fondamentali per la conoscenza dello gnosticismo, il grande "avversario" delle Chiese antiche, il cui studio è sempre più al centro delle ricerche sulle origini cristiane. Il curatore, Giuliano Chiapparini, tra i massimi esperti di queste tradizioni religiose, attraverso un'ampia introduzione e un commento dettagliato a questi straordinari Frammenti, guida il lettore alla piena comprensione del loro retroterra, del loro significato e della loro fondamentale importanza.
Le Conversazioni con i padri - «una definizione compiuta e ponderata della teologia monastica»: J. Leclercq - sono uno dei fondamenti della tradizione ascetica: una delle opere più ricche e tuttavia più attente alle concrete possibilità (intellettuali, fisiche, psicologiche) del cristiano - e del monaco - a cui viene chiesto di crescere ogni giorno, senza eroismi ma anche senza alibi. In queste importantissime pagine, due giovani monaci, Cassiano e Germano, ripercorrono in una sorta di "diario" spirituale il lungo viaggio - realmente percorso, sul finire del IV secolo - tra i maggiori esponenti dell'ascesi egiziana. I dialoghi con questi autorevoli maestri, fedelmente riportati, definiranno il profilo ideale del vero asceta, percorrendo così il primo, decisivo passo nel cammino del nascente monachesimo d'Occidente.
Eusebio, autore della celebre Storia ecclesiastica, agli inizi del IV secolo compose un’opera esegetica intitolata Domande e risposte sui Vangeli: parzialmente perduta – ma diversi tipi di florilegi ne riportano lunghi frammenti –, essa ha il merito di affrontare problemi spesso incontrati dal lettore attento dei Vangeli senza reticenze. Le domande sono precise ed Eusebio non le elude, di fatto offrendo al lettore un’autentica lezione di esegesi, data da uno dei più grandi studiosi dell’antichità cristiana.
Vescovo dell’importante diocesi di Cirro (all’epoca contava più di 800 chiese), Teodoreto (393-458) è considerato l’ultimo grande della tradizione antiochena: protagonista della storia teologica del V secolo, fu amico di Nestorio - del cui pensiero, però, non condivise gli esiti più estremi - e strenue avversario di Cirillo di Alessandria.
Il “Commento alle lettere di Paolo”, che qui viene per la prima volta offerto integralmente al pubblico italiano, è un’opera imponente - un’esegesi analitica di tutto l’epistolario paolino-: si tratta di una testimonianza assai rilevante di una tradizione esegetica, di stampo tipologico, di origine antichissima e dagli esiti originali rispetto a quelli della scuola alessandrina (Clemente e Origene) e a quelli della tradizione latina (Agostino e Girolamo).
Fedeli allo stile di Cesario, le 19 Omelie del Commento all’Apocalisse fondono contributi e suggestioni che il vescovo di Arles trasse da Padri diversi attraverso una rielaborazione che conduce sempre a una nuova, originale, riflessione. Molto attento alla problematica liturgico–sacramentale e alle sue implicazioni pastorali, il Commento tralascia la lettura storico–millenaristica di Apocalisse (il quando e il come degli eventi narrati nello scritto), sottolineandone invece il simbolismo in una chiave che, anche passando per il richiamo penitenziale, ha a cuore di delineare un itinerario di salvezza.
Tra le prime opere composte, intorno al 630, da Massimo il Confessore, la Mistagogia è probabilmente il più rilevante - per datazione e contenuto - tra i commentari della liturgia bizantina che ci sia giunto. In questo scritto, un monaco laico - Massimo - descrive le fasi e i luoghi della celebrazione eucaristica trasferendo la prassi cultuale sul piano escatologico, cristologico, storico e antropologico: i tempi e i luoghi del rito diventano tipologia del Regno che giunge, immagine del Cristo - della sua incarnazione e della parusia -, sintesi storico-salvifica e modello antropologico.
Quando, sul fare del 411, la Chiesa cattolica d'Africa e quella donatista furono convocate in un'assise promossa dall'imperatore Onorio per sanare il secolare scisma africano, giunsero a Cartagine quasi 600 vescovi. La conferenza, svoltasi sotto la guida di un giudice imperiale, il nobile Marcellino, si protrasse per tre intense giornate i cui dibattimenti furono meticolosamente verbalizzati dalla burocrazia statale, giungendo a noi quasi per intero. Raramente si ha la possibilità di osservare gli eventi storici "direttamente", senza la mediazione di chi racconta, ricorda, interpreta, spiega o giudica il passato: in questa preziosa circostanza è viceversa possibile. Il lettore assisterà alla verbalizzazione puntuale di un confronto serrato e denso tra due Chiese che rivendicavano la pienezza della loro dignità storica e teologica, sfidandosi sui più svariati registri: da quello biblico/ermeneutico a quello teologico - ed ecclesiologico in particolar modo -; da quello storico a quello giuridico e processuale. Le fasi decisive di un conflitto che segnò in profondità l'ecclesiologia cattolica si svolgono sotto gli occhi del lettore, senza alcun filtro. A rendere ancor più preziosa questa occasione editoriale vi è l'intervento diretto di Agostino d'Ippona: affermato vescovo cattolico, egli prenderà parte al dibattimento guadagnandosi immediatamente un ruolo di primo piano che, senza alcun dubbio, può essere definito decisivo per le sorti dell'intera conferenza.
Metodio d'Olimpo affronta in questo dialogo alcune domande che attraversano la storia dell'umanità: qual è l'origine e quali sono le ragioni del male? Com'è possibile che un Dio buono e giusto abbia permesso il male? Perché non lo contrasta visibilmente? Il paradosso di un'esistenza che aspira quotidianamente alla felicità mentre sperimenta il dolore che deriva dall'esperienza del male pervade in profondità il libero arbitrio. Pazientemente Metodio sviluppa il suo ragionamento coinvolgendo dapprima il momento della creazione (Dio ha creato il male?) per poi interrogarsi sul male stesso (cos'è il male?); attraverso un confronto fra opinioni diverse in un dialogo tra tre interlocutori, la riflessione giunge a un punto di svolta decisivo: è il libero arbitrio dell'uomo a determinare la possibilità del male. Il male, in ultima istanza, è il disobbedire a Dio: l'uomo, attraverso il proprio arbitrio, può scegliere di abbandonare il suo creatore ed è questo che determina il male. La visione di Metodio, tuttavia, non è pessimistica e non si limita a constatare il legame tra il male e la libertà degli uomini. Egli compie un passo ulteriore, attribuendo al libero arbitrio una funzione fondamentalmente e profondamente positiva: l'uomo, per essere veramente libero, deve avere a disposizione anche la scelta della disobbedienza affinché, decidendo liberamente di obbedire a Dio, egli possa salvarsi. Il libero arbitrio, insomma, è un dono d'amore di Dio e un privilegio di libertà.
Si tratta di quindici composizioni, accomunate dall'identità del tema e dalla forma poetica. In origine molto probabilmente erano composizioni separate, destinate a uso liturgico, come commento esegetico-meditativo dopo la lettura dei testi biblici ai quali si riferiscono. In questa raccolta Efrem non svolge solo una catechesi, ma, con un linguaggio intimo che coinvolge, comunica la sua esperienza, la sua tensione verso il mistero di Dio, la sua ricerca come teologo. Secondo la teologia di Efrem, il paradiso storicamente realizzato è la Chiesa che cammina sulla terra, ma la persona tende a una pienezza di vita che trascende ogni possibilità della creatura.
L'"Elogio di Costantino" è un testo composto da due diversi discorsi che la tradizione ha sempre trasmesso insieme, come un'unica opera. Ambedue vedono la luce nel 336, anno trentesimo del regno di Costantino; il primo è, a tutti gli effetti, un trattato di teologia politica in cui per la prima volta viene presentata una interpretazione cristiana del potere regale, mentre il secondo ha un carattere più apologetico. Eusebio elabora un concetto di regalità che coniuga pensiero ellenistico e altoimperiale con la tradizione biblica: il sovrano è l'amico di Dio che, imitando Cristo-Verbo del Padre, realizza un regno giusto. Proprio in questa riflessione cristologica consiste l'originalità del contributo eusebiano.
Benché parziale - ci sono rimasti solo 21 salmi - il commento è molto ampio e presenta una esegesi molto vicina a quella di Origene, di cui abbiamo perso quasi totalmente il Commento ai Salmi. Un'ampia introduzione colloca l'autore nell'ambiente storico, letterario e teologico del suo tempo. Ogni salmo è preceduto da una nota che inquadra il salmo in sé e sottolinea l'approccio di Didimo; il testo del commento comprende anche gli interventi degli uditori e la relativa risposta di Didimo ed è accompagnato da note abbondanti e precise che offrono al lettore una chiave interpretativa del testo, ma anche della personalità di questo illustre discepolo di Origene.
Di Papia si sa solo che fu vescovo di Hierapolis in Frigia nei primi decenni del secondo secolo e che scrisse un'opera in cinque libri: "Esposizione degli oracoli del Signore". Di essa rimangono pochissimi frammenti, ai quali si aggiungono informazioni su elementi dell'opera e sul suo autore; il tutto è trasmesso da scrittori cristiani distribuiti tra il secondo e il tredicesimo secolo. Questi frammenti, quindi, pur con i difficili problemi che pongono - e che richiedono un approfondito commento storico e letterario - costituiscono una fonte insostituibile d'informazione sulle pratiche e le dottrine di ambienti cristiani antichissimi, che erano ancora in contatto con la prima generazione dei credenti in Gesù.
Insieme agli Inni Pasquali, gli Inni sulla Natività e sull'Epifania, di Efrem il Siro sono da annoverarsi tra i massimi capolavori della letteratura innografica cristiana. Il grande poeta e teologo, vissuto nel terzo secolo dell'era cristiana, canta il mistero natalizio con immagini intense e suggestive che prende a prestito dal testo biblico e dalla natura. Le due collezioni complete, curate da I. De Francesco e tradotte ora per la prima volta in italiano dai testi originali, comprendono i 28 inni sulla Natività, di cui 16 di sicura autenticità, e i 13 inni sull'Epifania. L'opera è un contributo importante alla riscoperta di uno dei massimi poeti della prima cristianità.
Le Lettere festali di Atanasio derivano dall'usanza dei vescovi di scrivere alle proprie diocesi per annunciare la data della Pasqua e, non di rado, diventavano strumento di catechesi, di esortazione e di notizie sulla situazione religiosa della diocesi stessa, fonte quindi di informazioni sulla vita delle prime comunità cristiane. Le Lettere di Atanasio sono un documento prezioso per ricostruire il suo pensiero teologico, tenendo conto del difficile tempo che la Chiesa egiziana del quarto secolo attraversava. Sono anche un'autorevole fonte di informazioni che aiutano a delineare il ritratto psicologico della personalità di Atanasio, figura di spicco nelle controversie teologiche del suo tempo. Questo volume raccoglie anche l'Indice delle Lettere festali redatto da un anonimo chierico che documenta l'attività della cancelleria episcopale alessandrina e offre ulteriori elementi d'informazione. Le Lettere sono 45; sono giunte a noi in due antiche versioni: siriaca e copta, poiché l'originale greco è andato perduto. Come per tutti i volumi di questa collana, il testo è arricchito da un'introduzione e bibliografia molto documentate e ogni lettera è preceduta da una scheda che ne registra il contesto storico, lo stato di conservazione e soprattutto i temi fondamentali affrontati.
In epoca medievale, e in particolare in Inghilterra, la vita reclusa era una forma diffusa di radicalità evangelica che coinvolgeva uomini e donne che sceglievano la solitudine dentro il cuore della città. Questa regola, scritta da A. di Riveaulx per la sorella, è diventata punto di riferimento per la letteratura monastica medievale e non solo. L'interesse di questa opera è storico, per gli squarci sul mondo dei religiosi dell'epoca, e attuale per la proposta umana e spirituale, improntata ad una sana ed equilibrata conoscenza di sé.
Questo importante testo di Gregorio il Taumaturgo, del terzo secolo, è stato sottoposto dal curatore M. Rizzi, ad una rigorosa e innovativa analisi letteraria, storica, filosofica e teologica. Questo ha permesso di far emergere intenzioni e obiettivi che superano quelli del tradizionale discorso di ringraziamento per raggiungere obiettivi politici che mirano a presentare l'ideale cristiano come modello dell'ideale civile imperiale.
L'opera, datata tra il 393 e il 394, è un commentario sistematico al Discorso della Montagna secondo Matteo; l'unico nella produzione letteraria dei primi secoli del cristianesimo. Uno degli aspetti più originali di quest'opera è lo schema settenario che include beatitudini, doni dello Spirito e petizioni del Padre Nostro. Da queste pagine emerge nitida la preoccupazione di Agostino di rispondere alle finalità proprie della retorica classica: offrire un testo formale elegante e godibile e nello stesso tempo offrire un cibo spirituale nutriente ai destinatari dell'opera. Come tutti i volumi della stessa collana, anche quest'opera contiene una ricca introduzione al testo che sottolinea gli aspetti più importanti dell'opera esegetica di Agostino in generale e del Discorso in particolare.
È la prima volta che vengono tradotte in italiano dai testi originali le tre raccolte complete degli Inni Pasquali, di Efrem il Siro, il grande poeta e teologo, vissuto nel terzo secolo dell'era cristiana, che cantano il mistero dell'Agnello immolato, descritto attraverso i due grandi libri della Scrittura e della natura. L'opera è quindi un contributo importante alla riscoperta di uno dei massimi poeti della prima cristianità e di un capolavoro della letteratura innografia cristiana. Il curatore. I. De Francesco, ha messo in evidenza la fine tessitura biblica degli inni e il tipo di ermeneutica messa in opera da Efrem, che subisce gli influssi delle due grandi scuole esegetiche del tempo: Antiochia e Alessandria.
Solo poco più di un secolo fa un manoscritto di un monastero di Costantinopoli ci ha restituito la Didachè o Insegnamento degli apostoli, di cui all'età dei Padri si erano perse le tracce. Questo breve ma importante documento, la più antica regola di una comunità cristiana, contiene disposizioni per l'istruzione catechistica fondamentale, per la celebrazione del battesimo e dell'eucaristia, per il discernimento dei carismi e delle funzioni ministeriali. La presente edizione - con introduzione, testo, traduzione e note di G. Visonà - con testo greco a fronte, ripercorrendo l'ampio e contrastato dibattito della critica, giunge a sottoscrivere la grande arcaicità di un testo che viene situato entro il I secolo s.C., a ridosso dell'età apostolica, nel medesimo contesto in cui hanno la luce i vangeli. Alcune tradizioni che esso ci trasmette, come la liturgia e le preghiere eucaristiche, ci portano a diretto contatto con la fede e il culto della Chiesa primitiva. La Didachè, infatti, affonda le sue radici negli strati più profondi delle origini cristiane, là dove è ancora viva e fluida la tradizione su Gesù, dove appare tuttora vitale il legame con il patrimonio del giudaismo e dove ancora si avverte l'eco delle prime liturgie e risuona l'annuncio degli antichi profeti cristiani.
Vissuto a cavallo tra il quarto e il quinto secolo, Massimo operò come vescovo a Torino in anni difficili e in una Chiesa ancora molto giovane, ma ricca di fermenti. I sermoni qui raccolti riguardano i tempi liturgici a partire dal nucleo pasquale e rivelano una personalità di pastore impegnato a difendere la sua comunità dalle eresie, a purificarla dai residui di un paganesimo ancora vivo, molto attento alle diverse situazioni di vita del popolo a lui affidato. Inoltre questi sermoni documentano l'influenza delle chiese limitrofe, in particolare di quelle della Gallia, soprattutto per quanto riguarda la liturgia.
Incontrarsi, in maniera diretta, con i testi della prima cristianità è sempre affascinante perché attraverso di essi si entra in contatto con la fede della Chiesa primitiva. Accostarsi alle catechesi del Crisostomo significa entrare in contatto con un autorevole esponente di una delle espressioni più feconde della riflessione liturgica della prima cristianità: la mistagogia, intesa come spiegazione e introduzione alla contemplazione e alla celebrazione del mistero di Cristo attraverso il Battesimo e la Santa Cena, che costituivano i sacramenti dell'iniziazione all'epoca in cui Crisostomo operava.
Il volume, curato da E. Cattaneo, mette in risalto come fin dalle origini la Chiesa ha visto nascere al suo interno una molteplicità di ministeri a servizio delle comunità. Alcuni suscitati direttamente dallo Spirito; altri si riallacciavano, nello stesso Spirito, al mandato che Cristo aveva affidato agli Apostoli. Altri ancora rispondevano a esigenze più concrete e pratiche. In questo modo la Chiesa, comunità fraterna, cresceva e si strutturava sotto la guida dei pastori, non senza conoscere prove dolorose e tensioni al proprio interno. Tale è la realtà viva che si rivela dai testi patristici dei primi tre secoli presentati in questo volume. La loro lettura è indispensabile ancora oggi per cogliere la forte spiritualità del ministero e le sue esigenze, sempre valide.
Dopo una premessa di carattere generale sulla concezione che i Romani avevano dei problemi riguardanti la sfera religiosa, premessa indispensabile per aiutare a comprendere meglio il tipo di mentalità che costituisce il retroterra della legislazione romana in materia di religione cristiana, il libro si occupa proprio di tale legislazione, per evidenziarne i tratti principali e, soprattutto, per coglierne i successivi sviluppi attraverso i secoli. Questa pubblicazione offre l'opportunità di soffermarsi sui testi più significativi di questo secolare percorso legislativo, presentati per la prima volta tutti insieme in traduzione italiana.
Il volume, curato da M. Forlin Petrucco, raccoglie le lettere che Giovanni Crisostomo, deposto dall'episcopato di Costantinopoli e allontanato dalla città, scrisse dall'esilio alla diaconessa Olimpide. Sono il documento di prima mano del rapporto tra due personaggi eccezionali, travolti entrambi dagli intrighi della politica ecclesiastica loro contemporanea. Sono lettere che raccontano non solo la vita quotidiana dell'esule ma soprattutto l'esperienza straordinaria di una direzione spirituale a distanza, fatta di esortazioni, parole di consolazione, riflessioni sulla natura, certezze in merito al premio celeste e fiducioso abbandono all'amore di Dio.
Affrontare in maniera sinottica, tra mondo classico e mondo cristiano, il tema della morte prematura, significa chiamare a un radicale confronto due diverse visioni della persona. Il volume di L.F. Pizzolato, è una raccolta di testimonianze, alcune delle quali tradotte per la prima volta in lingua moderna, che esprimono riflessioni ricche di spiritualità e di profondo senso umano.
Il volume, curato da: E. Dal Covolo, M.G. Bianco e F. Bergamelli, raccoglie e commenta le più importanti testimonianze dei primi tre secoli riguardo alla presenza e all'identità dei laici nella Chiesa antica (prima parte). Vengono poi presentati altri testi che si riferiscono all'atteggiamento dei primi cristiani dinanzi ad alcune realtà secolari, quali la ricchezza e la povertà, la condizione femminile e le istituzioni politiche (seconda parte). Un'antologia che vuole essere un tentativo nuovo per situare il discorso sui laici dei primi secoli in un orizzonte più ampio, dando anche modo di verificarne meglio le linee.
Scritta nel IV secolo da Atanasio, la Vita di Antonio è un best seller della letteratura cristiana, presente in centinaia di codici nelle biblioteche di tutto il mondo. Di Antonio, "il padre dei monaci", conosciamo l'infanzia e la giovinezza, le notti trascorse vegliando e pregando, la predicazione, la fuga verso il deserto, i miracoli compiuti in nome di Dio, le battaglie contro i filosofi e gli eretici? In pochi racconti della letteratura universale troviamo tanta semplicità, tanta tensione drammatica, tanta ingenuità, unite a una sottile sapienza intellettuale, che continuano ad affascinare, oggi come sedici secoli fa, il grande pubblico. Completano la nostra conoscenza di questo padre del deserto i trentotto Detti e le sette Lettere sicuramente autentiche.
Nella Gallia della seconda metà del IV secolo nascono figure di monaci singolari: Sulpicio Severo è una di queste: "avvocato" uscito dalla scuola di Bordeaux, conquistato dall'ideale della solitudine, autore della Vita di Martino. Singolare è pure il protagonista dello scritto: si tratta di un ex soldato, poi monaco, poi vescovo che non rinuncia alla vocazione eremitica, apostolo delle Gallie, taumaturgo, capace di lottare contro il diavolo e contro le sopraffazioni dei potenti; un personaggio il cui fascino deriva dalle infinite anomalie che lo contraddistinguono.
Le Catechesi di Cirillo e Giovanni di Gerusalemme, definite "uno dei più preziosi monumenti dell'antichità cristiana", offrono un quadro ricco e illuminante della iniziazione cristiana come si svolgeva nel IV secolo. Ci mettono a contatto diretto con la fede delle prime generazioni, quale era fedelmente trasmessa dai pastori, in una comunità anche geograficamente vicina al luogo di origine del cristianesimo. Il cristiano d'oggi vi ritrova la sua stessa fede espressa in uno stile limpido e semplice; il tono cordiali e comunicativo, sempre saldamente ancorato alla Scrittura, rende l'argomentazione persuasiva e convincente.
I Sermoni liturgici di Agostino d'Ippona presentati in questo volume, curato da L. Padovese, ci trasmettono l'immagine di un pastore impegnato e mediare esistenzialmente la Parola di Dio: al tempo stesso presentano i diversi approcci teologici del grande pensatore africano ai misteri celebrati proprio in un'epoca nella quale l'anno liturgico sta prendendo forma. Questi sermoni sono un esempio di pedagogia omiletica e una testimonianza di primo piano sulla storicizzazione e fissazione in tempi prestabiliti delle celebrazioni della vita di Cristo.
Il testo, curato da Maria Grazia Mara, raccoglie due opere esegetiche di Agostino. La prima "Commento di alcune questioni tratte dalla Lettera ai Romani", non rientra in senso stretto nel genere dei commentari; si presenta piuttosto sotto forma di "quaestio", forma letteraria ripresa dalla tradizione scolastica greca. La seconda opera "Commento incompiuto della Lettera ai Romani" voleva essere un commento sistematico a tutto il testo di Paolo. Spaventato però dalla fatica e dalla mole dell'impresa, Agostino, dopo aver dedicato un intero libro al solo commento di Rm 1,1-7, rinuncia a completare il commento.
Queste 74 Omelie sui Salmi curate da Giovanni Coppa, presentano affiancati i nomi dei due massimi studiosi della Scrittura nell'antichità patristica, greca e latina: Origene e Gerolamo. Scoperte e attribuite a quest'ultimo sulla fine del secolo scorso, un più meditato riscontro col loro background storico-culturale ha portato di recente a farne risalire la paternità a Origene. L'attribuzione a Origene spiega poi l'influsso che egli ha avuto sui successivi commenti patristici al salterio.
Il Salmi e S. Paolo costituiscono la fonte pressoché unica a cui si alimenta il pensiero dei Padri sulla speranza: Ma il percorso non è così semplice e lineare. Ai Padri, infatti, si deve arrivare attraverso due grandi collettori, il mondo greco ellenistico e quello biblico giudaico. Dal primo i cristiani mutuano il termine con cui designano la speranza (elpís), dal secondo ne ereditano i tratti teologici fondamentali e la struttura storico-salvifica. Ma da una parte elpís avrà in ambito pagano un significato commisurato all'uomo greco, mentre dall'altra il mondo biblico affida l'idea di speranza a un lessico suo proprio, che solo parzialmente, e non univocamente, si interseca con l'area semantica dell'elpís. Non si dà dunque immediata corrispondenza tra l'elpís dei greci, la "speranza" dei giudei e quella dei cristiani. Il presente volume intende pertanto privilegiare, in una prima parte, ciò che precede, prepara, fa capire i Padri, in modo da rendere immediatamente perspicua, nella seconda parte, la diretta lettura dei testi patristici.