Attraverso le vicende del cartaginese Smerciato, rapito e venduto come schiavo da bambino e al centro di una complicata vicenda di eredità, amori, trucchi e agnizioni, la commedia Poenulus, "il Cartaginesino", introduce nel teatro plautino uno spunto di riflessione sull'umanità del nemico, sul significato della presenza dell'"altro", poiché nessuno più dei Cartaginesi incarnava per il pubblico romano i connotati dello "straniero". Al centro del "Truculentus" c'è invece una scaltra cortigiana, Frinetta, che riesce a circuire i suoi tre amanti e si rivela uno dei più antichi esempi letterari di "femme fatale". Ad accomunare le due commedie è il tema della guerra (le guerre puniche in particolare) e dei profondi cambiamenti socio-culturali che ne sono derivati. Le figure marginali nella Roma repubblicana, lo straniero e la donna, divengono in queste tarde opere plautine protagoniste, a testimonianza di come Plauto seppe affrontare anche le scottanti questioni poste dalla Storia sulla scena romana a lui contemporanea.
Opera fondamentale della latinità e di tutta la storiografia occidentale, "Le storie" di Tacito furono scritte intorno al 110 d.C. e narrano - nella parte a noi pervenuta - i fatti del 69-70 d. C., dal famoso "anno dei quattro imperatori" succeduti a Nerone alla prima guerra giudaica con l'assedio di Gerusalemme. Benché incomplete, "Le storie" costituiscono un prezioso documento per conoscere la storia del I secolo dell'Impero e un raffinato documento letterario, di straordinaria densità e forza espressiva. Severo, solenne, Tacito scava nel profondo degli animi degli uomini per dipingere senza infingimenti la brama di potere di chi regna, l'ipocrisia dei cortigiani, la volubilità degli eserciti, l'insensatezza del volgo. Con un'analisi lucida e un giudizio acuto, innalza il contingente - la vicenda del principatus romano - a categoria storica universale, mostrando come la corruzione dei valori, il benessere e l'avidità abbiano portato alla fine di quella libertas mai sufficientemente rimpianta. Ancora oggi le sue parole permettono di penetrare nei disegni nascosti dei governanti, mostrando "di che lacrime grondi e di che sangue" la facciata del potere.
La fine del IV secolo dell'era cristiana vede, nella penisola italica, profonde trasformazioni della sensibilità letteraria e religiosa. Nel cuore di un impero d'Occidente ormai prossimo alla fine, dove convivono gli idiomi germanici da un lato (lo stesso generale Stilicone, l'uomo allora più potente, era di origini barbare) e la religione cristiana dall'altro, Claudiano, nato in terra greca, legge i classici della letteratura latina e se ne innamora. Decide che farà rivivere l'incanto dei versi di Virgilio e di Ovidio, e ci lascia, incompiuto, un poemetto mitologico di una grazia e di una levità artistica senza pari, dedicato a un mito antichissimo, che ha ispirato poeti e pittori di ogni epoca: canta il rapimento della bella Proserpina, dea della primavera, preda del signore dei morti. Il dio dell'Ade, Plutone, non sa resistere al fascino fresco e leggiadro della ragazza, proprio come il poeta che, destinato a vivere in un mondo ormai al tramonto, soggiace alla malia dell'età dell'oro della romanità, regalando ai posteri un poema raffinato ed elusivo: il più degno epilogo della grande poesia latina.
Tra i dialoghi filosofici più famosi di Seneca, il De brevitate vitae tratta un tema di perenne attualità e tanto più sentito nella nostra epoca dai ritmi frenetici: la fugacità del tempo e la brevità della vita. Che però, sostiene Seneca, ci appare tale solo perché non sappiamo afferrarne la vera essenza, e ci disperdiamo in mille futili occupazioni senza averne consapevolezza, avidi di possedimenti materiali ma incapaci di gestire il nostro bene più prezioso: il tempo.
Rappresentate entrambe nel 161 a.C., "Eunuchus" (L'eunuco) e "Phormio" (Formione) furono i maggiori successi di pubblico e commerciali di Terenzio. Tratte rispettivamente da un soggetto di Menandro e di Apollodoro di Caristo, celebri commediografi greci, negli intrecci sembrano non discostarsi dai canoni del genere: giovani innamorati, situazioni contrastate, gelosie, bambini perduti di cui si ritrovano le origini portando così al felice scioglimento finale. Ma tutta nuova è, in questi come negli altri testi di Terenzio, l'attenzione per la psicologia dei personaggi, indagata con finezza e con una lingua elegante e raffinata, degna dei più esclusivi circoli letterari dell'antichità, cui l'autore apparteneva.
Nato cittadino ateniese, Senofonte è stato forse il più celebre ammiratore del modello di vita spartano nella Grecia antica. Nell'esercito spartano combattè contro i Persiani e contro la sua stessa patria, Atene; a Sparta volle risiedere negli ultimi anni della sua vita avventurosa; a Sparta, e secondo il costume della città, volle che fossero allevati i suoi figli. Si spiega così il tono entusiastico che pervade i due scritti raccolti in questo volume: il primo tesse le lodi dell'antica costituzione di Licurgo, che con somma saggezza regolò ogni aspetto della vita spartana, imponendo un modello che l'autore dipinge come esemplare; il secondo è un lungo epitaffio del re, amico e protettore di Senofonte, Agesilao, figura assai discussa e controversa già ai suoi tempi, ultima incarnazione di quei tradizionali ideali virili che permeano le leggi licurghee. Nonostante la passione politica ai limiti della partigianeria che anima le pagine di Senofonte, queste appaiono a tutt'oggi come una testimonianza d'eccellenza sull'ultimo periodo di potenza e sul declino della città lacedemone.
I due testi plautini qui raccolti, risalenti rispettivamente al 186 e al 200 a.C., ruotano entrambi attorno a una storia d'amore contrastata. Il primo mette in scena un patrigno e un figliastro innamorati della stessa ragazza, una trovatella, che alla fine si scoprirà di libera nascita e così potrà sposare il più giovane dei pretendenti, di cui è innamorata, beffando i tardivi desideri del vecchio. Il secondo riprende il tema dei fratelli e delle vicende parallele, tipico del teatro classico, per raccontare la storia di due sorelle che insistono nel serbarsi fedeli ai mariti, di cui non hanno notizie da tempo, contro i tentativi del padre di farle risposare. La loro dedizione sarà premiata dal ritorno degli sposi nel frattempo divenuti ricchi.
Composte da Ovidio negli ultimi anni della propria vita, a partire dal 12 d.C. durante l'esilio a Tomi sul Mar Nero, le "Epistulae ex Ponto" sono quarantasei lettere in distici elegiaci che il poeta invia alla moglie, ai famigliari, agli amici o a personaggi influenti della Roma augustea, supplicandoli perché si adoperino per farlo rientrare in patria. Tutta l'opera è pervasa da una straordinaria complessità di sentimenti nei confronti, prima di tutto, del potere, che viene adulato e smascherato insieme. Ma anche degli amici, soprattutto poeti, e di se stesso, protagonista di un'elegia che, nei forti tratti autobiografici, non cessa mai di essere letteratura di alto rango. Sono versi, questi delle Epistulae, che hanno sempre suscitato intense reazioni nei lettori e sono stati un modello per autori, spesso grandissimi, che l'esilio lo hanno vissuto in prima persona, da Seneca a Brodskij. La costruzione letteraria apparentemente facile lascia intatto un denso nucleo di irrisolta umanità, nel quale ogni lettore finisce per ritrovare un'immagine di sé.
Un papiro dell'Università di Milano, pubblicato nel 2001, ci ha restituito oltre cento nuovi testi di Posidippo di Fella, acclamato epigrammista della prima età ellenistica. La fortunata scoperta ci permette di ricostruire una personalità artistica di cui prima si intuivano solo vagamente i contorni. Posidippo avvertì il fascino del "nuovo mondo" fondato da Alessandro Magno: visse a lungo ad Alessandria, cantò i fasti e lo splendore della corte tolemaica. Ma non fu solo un poeta cortigiano; i nuovi epigrammi gettano luce anche sulla vita quotidiana della gente comune: ci sono epitaffi (per donne, soprattutto), racconti di naufragi, dediche al dio Asclepio "per grazia ricevuta". Ne emerge il quadro di un'epoca complessa, segnata da trasformazioni profonde, sorprendentemente vicina alla sensibilità moderna. La presente edizione (che ripropone, accanto al "nuovo", il "vecchio" Posidippo) fornisce al lettore anche non specialista l'informazione e gli strumenti critici necessari per comprendere questa raccolta poetica così raffinata e densa di umanità.
Il teatro di Plauto affonda le proprie radici nella commedia tradizionale italica, coniugata con i raffinati testi greci, soprattutto di Menandro. Tratta da un soggetto menandreo è infatti la prima delle due commedie qui raccolte, "Bacchides", basata sulla doppia storia d'amore di due giovani per due cortigiane gemelle, con una serie di esilaranti equivoci e scambi di identità. La trama segue uno sviluppo articolato e un ritmo indiavolato, che rende assai divertente il testo anche per i più smaliziati lettori contemporanei. La seconda opera, "Curculio", mette invece in scena un'altra situazione tipica del teatro antico, l'amore contrastato di un ragazzo per una schiava già comprata da un soldato sbruffone, con l'aggiunta però anche qui della cifra tipica dei testi plautini, quella complicazione della trama e dell'intrecciarsi di inganni, fraintendimenti, tranelli e vicende erotiche che, insieme alla caratterizzazione dei personaggi (soprattutto il parassita Gorgoglione), porta a risultati di irresistibile, talora feroce e persino tragica, ironia.
La creazione dell'universo e la nascita di tutti gli dei, dagli oscuri abissi del Caos progenitore alla vittoria delle divinità olimpiche sugli empi e bestiali titani: i miti più antichi e solenni della Grecia classica in uno dei poemi più celebrati dell'antichità.
L'"Appendix vergiliana" raccoglie una serie di componimenti poetici che fin dall'antichità furono attribuiti al giovane Virgilio. L'intera silloge è in realtà spuria, frutto dell'ingegno di diversi poeti minori del I secolo d.C. e risente dell'imitazione di numerosi modelli. I testi contenuti sono i più diversi: dai brevi epigrammi a un compianto funebre per Mecenate, dai poemetti amorosi e mitologici ai bozzetti di ambiente popolare, spesso di intento parodistico, come la celebre "Zanzara".
Sono gli anni della seconda Guerra Punica, che vede Roma impegnata nella dura lotta contro Cartagine, e il racconto è arrivato al suo momento cruciale: Annibale minaccia le porte dell'Urbe. Spiccano in entrambi i campi, valorosi generali: Marcello, Fabio Massimo e Cornelio Scipione da una parte, dall'altra Annibale e Asdrubale, la cui eroica morte chiude la narrazione.
La commedia degli errori e degli scambi che ha ispirato autori come Shakespeare. Due gemelli separati dal destino scatenano equivoci e colpi di scena di un'irresistibile comicità.
Nello Pseudolus, l'omonimo servo vuole aiutare in ogni modo il padroncino a conquistare una ragazza schiava di un perfido lenone, e ne combina di tutti i colori. Nel Trinummus bastano tre monete a convincere un sicofante imbroglione a prendere il posto di un'altra persona.
Le storie sono la grande opera con cui la Grecia celebra la sua resistenza ai barbari - i persiani - contro i quali essa difese i valori della libertà e dell'individuo. Ma rappresentano anche l'architrave della disciplina storica. Erodoto è infatti nel V secolo a. C. il primo ad analizzare i fatti nel loro concatenarsi razionale, sottraendoli al fatalismo e alla visione mitica. Tanto che la sua indagine laica, volta a comprendere le ragioni degli avvenimenti, gli valse la definizione di "padre della storia" da parte di Cicerone. Due volumi con cofanetto. Testo greco a fronte.
La natura spirituale e l'aspetto formale ideale dell'arte, in un trattato di critica estetica che Goethe definì "un bel prodotto della ragione nella sua massima espressione". Un'opera fondamentale del pensiero umano.
Lupi crudeli, leoni prepotenti, cornacchie vanitose e cani bramosi diventano, in queste celeberrime favole, i protagonisti di straordinarie allegorie sulla natura umana. Una serie di preziosi precetti morali, che, nel corso dei secoli, non hanno mai perso la loro attualità, sotto l'aspetto fresco e fantasioso di storielle di animali.
Il disprezzo della morte, la sopportazione del dolore e degli altri turbamenti, il modo di ottenere la felicità comportandosi con onestà e i limiti del bene e del male. Cinque trattati filosofici, scritti sotto forma di dialoghi, con i quali il celebre retore romano affronta i grandi problemi della vita.
La storia di Elettra, la figlia di Agamennone che, per vendicare il padre assassinato, ordisce il matricidio e quella delle madri dei sette eroi caduti all'assedio di Tebe che supplicano di riavere le spoglie dei loro cari.
Come raggiungere la felicità, come mantenere il proprio equilibrio, come affrontare l'azione della vita di tutti i giorni, in armonia con i propri desideri. Sfidando i secoli, i consigli del grande filosofo a un giovane poeta, risultano preziosi suggerimenti per gli uomini di tutti i tempi.
La storia della regina Ecuba e delle altre donne troiane spartite come bottino di guerra tra i vari re greci conquistatori di Troia e quella del supremo eroe Eracle che, tornato a casa dopo le sue celebri dodici fatiche, viene reso folle dalla crudele dea Era e stermina la sua stessa famiglia.
Il Timeo, o della natura, è una delle opere più note del filosofo greco. In esso si parla dell'antichissimo mito della perduta Atlantide, potente regno che si estendeva oltre le colonne d'Ercole e che, millenni prima, aveva minacciato di invadere l'intero Mediterraneo, e dell'ordine che regna nella natura, voluto da un Demiurgo creatore dell'intero universo.
La grandiosa parabola dell'Impero romano, la sua storia, le sue antiche tradizioni, la sua gloria militare e la sua fatale missione nel mondo nelle pagine immortali di Tito Livio.
Il romanzo d'amore fra Ovidio e Corinna, nucleo centrale di questo libro, è fra i più particolari della letteratura romana. Ripreso dall'esempio di altre celebri raccolte di liriche erotiche e sentimentali, gli Amores si rivelano quasi come una parodia del genere, evidenziando tutti gli aspetti umoristici e satirici delle relazioni amorose. Il poeta, ben lungi dall'esaltare la fedeltà, si vanta di poter amare due donne insieme, di poter beffare mariti gelosi e persino di poter dividere la stessa donna con altri.
Attraverso una fitta trama di situazioni, personaggi, caratteri, problemi sociali, intrecci d'interessi politici, simpatie e antipatie viscerali, motivi propagandistici ricorrenti e osservazioni umoristiche, queste orazioni, intorno a una vicenda nota come la congiura di Catilina, costituiscono uno dei testi più densi e più celebri dell'oratoria politica romana. Testo latino a fronte.
Teopropide è lontano da casa per affari, intanto il figlio Filolachete se la spassa con l'amata Filomazio, una serva da lui riscattata a caro prezzo. Il servo Tranione, per coprire il padroncino che con Filomazio e un amico ubriaco si sta divertendo nella casa, sbarra la strada a Teopropide, tornato inaspettatamente, dicendogli che la casa è infestata dagli spiriti e che il figlio, per comprare una casa nuova, ha dovuto pagare una grossa somma (quella che in realtà gli è servita per riscattare Filomazio). Dapprima l'inganno riesce, poi però Teopropide scopre la verità ed è furente contro il figlio. L'amico, non più ubriaco, riesce a rabbonirlo e a ottenerne il perdono.