Da Adamo, statua di fango, Eva ebbe Abele, amato da Geova; da Eblis, il Satana arabo (nella Bibbia, il Serpente), ebbe Caino, che per Geova fu sin dall'inizio una spina nel fianco. Le due discendenze - i Figli del Fango e quelli del Fuoco - popolarono la Terra. Ai primi toccarono la ricchezza, il potere politico, una saggezza languida e pomposa; ai Figli del Fuoco, l'abilità tecnica, il sentimento vivo dell'arte e della grandezza, l'oscura ferita di una colpa e il risentimento per le ingiustizie patite, la fatica, la solitudine, la miseria. Il mito delle due razze è lo sfondo su cui Gérard de Nerval collocò questo fantasy. Frammenti di leggende bibliche, coraniche e massoniche danno vita a un mito radicalmente nuovo. Da un lato c'è un discendente di Adamo, Solimano ben Daud (Salomone figlio di David), che vorrebbe la gloria di poeta e l'immortalità; dall'altro, nato dalla stirpe di Eblis, il suo capomastro Adoniram, che sogna di emulare gli splendori dell'epoca prima del Diluvio, e, guidato da Tubal-Kain, figlio di Caino, scende nel Regno sotterraneo, dove vede la tomba di Adamo, la pietra di smeraldo che occupa il cuore della terra, le immense serre infuocate dove gli Gnomi coltivano i metalli. Entrambi amano la Regina di Saba, vero cuore del racconto, padrona di un anello magico cui obbediscono gli Spiriti aerei - e incarnazione luminosa della capacità femminile di trasformare in ragione, poesia e grazia gli enigmi più tenebrosi.
Giovane medico del pronto soccorso, Gerard Galvan racconta una folle notte di molti anni prima, quando fra crisi di asma e arti spappolati era stato finalmente notato un uomo seduto su una sedia che ripeteva: "Non mi sento tanto bene". Il malato passa da tutti gli specialisti, convocati d'urgenza a risolvere uno dopo l'altro crisi acute di ogni genere: dall'occlusione intestinale all'esplosione della vescica, all'attacco epilettico. Rimasto accanto al suo letto, Galvan si addormenta e al mattino il malato non c'è più. È morto? È sparito? Dove è stato portato? Galvan non sa neppure come si chiama. Nessuno lo sa. Ma il paziente riappare e le cose che dirà e farà saranno per il buon Galvan la fine di un sogno.
Da vecchio, quando sarà diventato un pittore famoso, a chi gli chiederà: "Maestro, qual è l'immagine che ha di se stesso?" Louis Cuchas risponderà senza esitare, allegro e pudico come sempre: "Quella di un ragazzino". Infatti, anche quando attorno a lui si sarà ormai creata una vera e propria leggenda, rimarrà il bambino dall'occhio limpido e svagato che sembrava non guardare niente e invece "guardava molta gente e molte cose, ma non quelle che ci si aspettava lo interessassero", il bambino che non reagiva alle aggressioni degli altri, e a cui avevano affibbiato il soprannome di "angioletto". Era stato così sin da piccolissimo, negli anni - alla fine dell'Ottocento - in cui dormiva su un pagliericcio uguale a quello che spettava a ciascuno dei cinque fratelli (ciascuno, peraltro, di un padre diverso), in una sordida stanza di rue Mouffetard. Tutto lo incuriosiva e lo affascinava, e tutto lui assorbiva e immagazzinava - i tram, la verruca sulla guancia di una donna grassa, un quarto di bue appeso a un gancio, le espressioni delle facce per strada, i facchini delle Halles -, tutto quello che un giorno, quando avrebbe finalmente scoperto la propria vocazione, sarebbe entrato nei suoi quadri in larghe pennellate di "colori puri": come puri erano lo sguardo e l'anima di colui che se n'era appropriato.
Sono passati loti anni da quando Ida, ambiziosa e bellissima, ha sceso per la prima volta i trenta gradini del music-hall che avrebbe consacrato il suo successo. Ora, i suoi impresari vogliono provare il nuovo numero senza veli di una ballerina americana agli esordi. Quel corpo giovane riporta Ita ai tempi dei suoi difficili passi suasa scena, quando era solo una ragazza povera in terra straniera. La lunga gavetta, poi il successo, la fama, la ricchezza, e un segreto tenuto nascosto perfino a se stessa, un episodio terribile che torna con tutta la sua forza al momento di entrare in scena, nell'atto di fragilità estrema.
"Cattolico anonimo" è il racconto ironico e commosso di una crisi spirituale e di una conversione inattesa. Tutto comincia la sera in cui Thierry Bizot, produttore televisivo di successo, viene convocato dal coordinatore scolastico per discutere dei problemi del figlio tredicenne. L'incontro getta un seme: quasi senza rendersene conto Thierry confida al professore i suoi dubbi di padre, torna a casa con un nodo in gola, continua a pensare al breve dialogo di quel giorno. Quando riceve dal professore l'invito a una catechesi per adulti, reagisce con sarcasmo e scetticismo. Ma ci va, non immaginando nemmeno che sarà l'inizio di un percorso spirituale che lo porterà a incontrare personaggi straordinari, metterà in discussione le sue convinzioni e, infine, lo renderà più forte, permettendogli di mettere ordine nella sua vita. In questo romanzo autobiografico, vero e proprio "coming out spirituale", Bizot fa emergere gli interrogativi dell'esistenza attraverso le piccole vicende quotidiane, racconta un travaglio interiore, ma con la leggerezza di una serenità ritrovata.
Per la prima volta escono in lingua italiana "Tutti i racconti" di Irene Némirovsky, di cui questo primo volume contiene le prose di esordio e dei primi anni della maturità (1921-1934). Si tratta di testi che nella loro intelaiatura rivelano la ricchezza e la complessità della scrittura di un'artista che non ha esitato a ricorrere a originali contaminazioni di codici tra il genere letterario propriamente detto, il diario, il cinema, il teatro ecc. Sotto l'apparente leggerezza dello stile narrativo prendono corpo le vicende di uomini e donne che si succedono nelle generazioni, incastonando, ciascuno a modo proprio, uno squarcio di verità, ora tenera e ironica, ora drammatica, così com'è la vita. La delicatezza del tratto e la minuzia dell'osservazione con cui pagina dopo pagina si snodano le storie dei vari protagonisti non devono farci dimenticare la lucidità di osservazione e la singolare forza espressiva di una possente scrittrice che viene meritatamente oggi annoverata fra i grandi interpreti del Novecento. La crudezza e il nichilismo che abitano i suoi anti-eroi diventano icona della disfatta e della morte che investono gli anni fra le due guerre. Eppure Némirovsky riesce a insinuare in questo male di vivere il soffio della vita. Come scrive Roberto Deidier nell'Introduzione, "sotto il velo della Storia la vita continua a battere. E pulsa proprio di quel mistero, di quell'élan per cui è ancora capace di trasformare la sofferenza in amore".
Nell'ambito dell'opera di Irene Némirovsky, i cui romanzi sono stati pubblicati principalmente da Adelphi, la Passigli Editori ha in programma l'edizione integrale dei racconti, che costituiscono una dimensione particolarmente felice della sua narrativa. Dopo la raccolta "Siamo stati felici", pubblicata in questa stessa collana, vengono dunque qui riuniti con il titolo "Giorno d'estate" alcuni altri racconti inediti o poco noti, a testimoniare ancora una volta la grande capacità di Irene Némirovsky di penetrare nelle pieghe più riposte dell'animo umano. E se "Giorno d'estate", "Domenica" e "Natività" si presentano come tre delicati studi sulle diverse età della vita, con "L'inizio e la fine" e con "Vincoli di sangue" vediamo nuovamente prorompere la passione fino al sacrificio più estremo, che sia l'assassinio dell'amata o sia la devastazione della propria stessa vita, immolata sull'altare di un amore impossibile. Cinque racconti di straordinaria intensità, che per lucidità di analisi psicologica già rivelano la scrittrice che di lì a breve avrebbe pubblicato i suoi grandi romanzi - da "Due" a "I doni della vita", da "I cani e i lupi" a "I fuochi dell'autunno" - fino alla riscoperta del suo capolavoro scampato alla deportazione ad Auschwitz, quella "Suite francese" che è stata uno dei maggiori successi internazionali di questi ultimi anni.
Emilie prepara una cena a lume di candela per festeggiare il suo venticinquesimo anniversario di matrimonio. Manca solo il vino. Scesa in cantina, afferra una bottiglia avvolta in un foglio di giornale. E la pagina degli annunci. Mentre li scorre distrattamente, uno, all'improvviso, cattura la sua attenzione: "Emilie, Aix-en-Provence 1976. Raggiungimi ai più presto a Genova. Dario." D'istinto, Emilie risale le scale, spegne il forno e le candele, sale in macchina e dimentica il cellulare. Molla tutto - vita, marito e figlie - e si mette in viaggio. Verso l'Italia, verso i suoi sedici anni, verso un primo amore mai dimenticato. Un romanzo che parla della nostra vita: come è, come l'avremmo voluta e come sogniamo di poterla ancora cambiare.
Bisogna lasciare da parte il Melville delle imprese marinaresche, della balena, dei popoli lontani da scoprire, dei misteri da svelare. Questa selezione dei racconti di Melville rappresenta il drammatico punto di approdo del grande viaggio dello scrittore americano attraverso i misteri dell’uomo e della natura, in un mondo ingannevole dove i significati si ammucchiano uno sull’altro senza che si riesca a distinguere una salda verità. Così, alla fine del percorso, scopriamo il vecchio marinaio, stanco di navigare alla ricerca di nuovi mondi senza una bussola adatta, seduto tristemente nella propria casa, tornato a se stesso, nell’unico luogo che può definire saldo e privo di enigmi destinati a rimanere irrisolti.
Herman Melville nacque nel 1819 a New York. Nel 1839 si imbarcò come mozzo sul mercantile Lawrence diretto a Liverpool avviando un’intensa stagione di viaggi marinareschi. Tornato in patria aprì la sua carriera di narratore con fortunati resoconti
di viaggio, ai quali fece seguire romanzi che non trovarono il favore del pubblico. Tra questi vanno ricordati il capolavoro Moby Dick, Bartleby lo scrivano, Benito Cereno e Le isole incantate. Melville morì nel 1891, ignorato da critica e lettori. Il suo ultimo romanzo, Billy Budd, apparso postumo nel 1924, avviò la rivalutazione dello scrittore, scoperto in Italia soprattutto grazie alle raffinate traduzioni di Cesare Pavese.
In piena crisi di ispirazione, solo e senza un soldo, lo scrittore Tom Boyde non riesce a terminare il suo ultimo romanzo. Proprio quando tutto sembra perduto, nella sua vita entra Billie. Misteriosa e bellissima, compare all'improvviso in una notte di pioggia, con una storia incredibile da raccontare. Gli dice infatti di essere la protagonista del suo romanzo, caduta nel mondo reale da una frase che lui ha lasciato in sospeso. Se ora Tom non riprenderà a scrivere, lei morirà. Sembra assurdo, eppure... Eppure, Tom le crede. Perché è già follemente innamorato. Insieme Billie e Tom affronteranno un'avventura straordinaria, in cui nulla è ciò che sembra. E scopriranno che la vita, a volte, può essere un gioco pericoloso...
9 luglio 2012. Andrew Stilman, celebre giornalista del New York Times, da poco sposato, si alza di buon'ora, infila le scarpe da jogging e inizia la sua routine quotidiana con l'abituale corsa lungo l'Hudson River. Ma da quel momento la sua giornata smette di essere una giornata normale: Andrew viene aggredito e abbandonato a terra in una pozza di sangue. Quando riprende conoscenza, si convince di essere scampato miracolosamente alla morte. Ma qualcosa non torna: perché il calendario è fermo sulla data del 9 maggio, prima del suo matrimonio e dell'aggressione che lo ha costretto in un letto di ospedale. Da quel momento Andrew ha sessanta giorni per scoprire e fermare il suo assassino. Sessanta giorni per cambiare il corso del destino e riscrivere il futuro.
Nel corso della sua vita Voltaire scrisse 178 lettere in italiano a vari destinatari: si va da alcuni dei più grandi artisti nostrani, primo fra tutti Goldoni, a illustri accademici oggi dimenticati, dalla nipote (e amante) Marie Denis a diversi ecclesiastici di ogni ordine e grado: primi fra tutti i pontefici Benedetto XIV e Clemente XIII. Sono testi di varia natura, sempre di grande interesse, che si tratti dei biglietti erotici e amorosi consegnati clandestinamente alla Denis o delle missive spedite a cardinali, letterati, principi, conti e filosofi. Su tutti si impongono le epistole inviate a papa Benedetto XIV, dalle quali emerge non solo una innegabile stima reciproca ma soprattutto una voce di Voltaire a dir poco sorprendente, che in queste pagine risuona distintamente cattolica. L'agile libro di Gurrado - che presenta la prima raccolta completa di queste lettere - è arricchito da ampi contributi dedicati al rapporto tra Voltaire e l'Italia e all'uso della nostra lingua nei suoi scritti poetici e scientifici. Prefazione di Nicholas Cronk.