Nessun pensatore islamico ha esercitato un'influenza più profonda e duratura sulla storia del pensiero orientale di quanto abbia fatto Avicenna. Egli condusse una vita rischiosa e agitata: per ben due volte a stento sfuggì alla morte, prima per mano di un re e più tardi di soldati furibondi. L'imprigionamento e l'umiliazione non turbarono una figura piena di vitalità e provocante, passata nella stona dell'Oriente di volta in volta come un mago, un ateo maledetto, un grande filosofo, un mistico sublime, un uomo gioviale e la guida dei non-conformisti. Lo studioso persiano Soheil M. Afnan offre qui una completa descrizione della sua vita e delle sue opere. Dopo un'introduzione generale, che presenta i predecessori notevoli di Avicenna e il ricco sfondo culturale della Persia nel decimo secolo, narra interamente la complessa, avventurosa esistenza del filosofo. Segue quindi un' esposizione della logica di Avicenna, della sua metafisica - disciplina in cui diede i suoi maggiori e più originali contributi -, della sua posizione nel conflitto tra ragione e rivelazione, dei suoi principi di psicologia, del suo apporto - rilevante - alla medicina e alle scienze naturali. L'autore conclude la sua monografia con una discussione circa l'influenza delle opere di Avicenna sulla storia delle idee nel suo Paese e in generale nell'Oriente e sul pensiero scolastico dell'Europa medievale. Lo studio attinge alle fonti originali in persiano e in arabo.
Le Réalisme méthodique è stato pubblicato già da molti anni in traduzione spagnola e più recentemente in traduzione inglese. Quella che qui viene presentato è la prima traduzione italiana integrale. Nuova edizione con aggiornamenti bibliografici.
Per l'uomo di oggi, che non spera più nella salvezza alla fine dei tempi ma ha davanti a sé un tempo senza fine, navigare in mare aperto sembra ormai diventato l'unico modo di vivere. Ma quale rotta seguire, dopo il tramonto di ogni certezza e il declino della tradizione giudaico-cristiana in Occidente, due segni distintivi della nostra epoca? Al termine di un lungo e originale itinerario di riflessione sulla modernità, Salvatore Natoli analizza le varie forme del fare (il lavoro, innanzitutto, ma anche il consumo, il progresso, il rischio) e il loro rapporto con quello che dovrebbe essere il vero obiettivo di ogni essere umano: un buon uso del mondo. Partendo dalla distinzione aristotelica tra "agire" (dare un senso alle proprie azioni) e "fare" (eseguire un compito), l'autore si chiede quanto, nella nostra frenetica attività quotidiana, siamo "agenti", soggetti capaci di realizzarsi in ciò che fanno, e quanto invece siamo "agiti", elementi impersonali di una serie causale e anonima di cui non si vede né l'inizio né la fine. Per essere titolari della propria vita, e quindi davvero liberi, non basta infatti conformarsi a ciò che l'organizzazione sociale richiede, ma occorre istituire un rapporto autentico con il proprio desiderio, con la propria corporeità e con gli altri. Così, nella società delle abilità, della tecnica e del saper fare, si ripropone in tutta la sua urgenza la questione delle virtù, intese come "abilità a esistere", in grado di darci stabilità e consistenza.
Più volte ristampata e tradotta in un numero crescente di paesi, quest'opera è una rilettura originale della storia contemporanea, dove l'analisi critica del revisionismo storico - a cominciare dalle tesi di Nolte sull'Olocausto e di Furet sulla rivoluzione francese - si intreccia con quella di una serie di fondamentali categorie filosofiche e politiche come guerra civile internazionale, rivoluzione, totalitarismo, genocidio, filosofia della storia. Questa edizione ampliata analizza le prospettive del nuovo secolo. Da un lato il revisionismo storico continua a riabilitare la tradizione coloniale, com'è confermato dall'omaggio che uno storico di successo (Niall Ferguson) rende al tramontato Impero britannico e al suo erede americano, dall'altro vede il ritorno sulla scena internazionale di un paese (la Cina) che si lascia alle spalle il "secolo delle umiliazioni". Sarà in grado l'Occidente di tracciare un bilancio autocritico o la sua pretesa di essere l'incarnazione di valori universali è da interpretare come una nuova ideologia della guerra?
Un'introduzione inattuale alla filosofia attraverso sette dialoghi serrati, sette colloqui segnati da uno stile diretto, carichi oltre che di ragionamento anche di emozione, di slanci entusiastici, di ironia, di passione filosofica. Sette chiacchierate vere non solo per l'ordinarietà e la genuinità dei contesti in cui la scena è via via ambientata, ma anche e soprattutto per il fatto di essere scambi incentrati sul tema della verità.
È lecito maltrattare gli animali? E mangiarli? Molto del dibattito odierno sulla natura e sui diritti degli animali ha avuto prodromi antichi, anche se con categorie diverse dalle nostre. Pietro Li Causi e Roberto Pomelli ci propongono una selezione di testi chiave sul tema, ritradotti per l'occasione e accompagnati da un commento storico-filologico, aprendo suggestive connessioni con la modernità. Il volume raccoglie l'ottavo e il nono libro della "Historia animalium" di Aristotele, i frammenti degli stoici sugli animali, i tre trattati di Plutarco sul vegetarianismo e sulla "questione animale" (De esu carnium, Bruta animalia ratione uti e De sollertia animalium) e infine il "De abstinentia" di Porfirio. Il volume si apre con Aristotele perché sono stati proprio gli studi di questo pensatore e dei suoi allievi a inaugurare una forma di discorso autonomo sugli "zoa". Un discorso non più occasionale e sporadico che, a partire dalle osservazioni sulle differenze fra gli uomini e gli altri animali, risulta seminale e fondativo per gli sviluppi ulteriori del pensiero greco. Dopo Aristotele, uno snodo fondamentale è costituito dagli stoici, paladini del depotenziamento delle funzioni "mentali" degli animali e della deresponsabilizzazione etica degli umani nei loro confronti. Una risposta ferma e decisa alle posizioni stoiche viene dal versante del medio e neoplatonismo, con Plutarco e soprattutto con Porfirio.
La filosofia della mente e una disciplina relativamente giovane, ma erede di una lunga tradizione cominciata con il pensiero greco e segnata dalle linee tracciate da Platone, Aristotele e Democrito. I temi classici del rapporto tra mente e corpo e tra coscienza e intenzionalità sono un campo sempre più vivo e centrale della riflessione filosofica e oggetto di un dibattito fecondo, soprattutto in ambito analitico. In dialogo con le acquisizioni della ricerca in psicologia empirica e con i dati sul funzionamento del sistema nervoso provenienti dalle neuroscienze cognitive, la filosofia della mente costituisce uno snodo chiave delle scienze dell'uomo. Questa introduzione si propone di illustrarne i concetti e le teorie principali, con un approccio rigoroso che permette di avere una panoramica ricca e precisa e ne fa uno strumento d'ingresso ideale per i neofiti ma anche di sintesi per gli specialisti.
«Non facciamo finta di dubitare in filosofia di ciò di cui non dubitiamo nei nostri cuori» (C.S. Peirce, Alcune conseguenze di quattro incapacità) «Nella seconda edizione della Critica della ragion pura c'è un celebre passo, molto importante, nel quale Kant dice che l'"Io penso" - Das Ich Denke - deve accompagnare tutte le sue idee, "altrimenti esse non mi apparterrebbero davvero". Per quel che mi riguarda, non ritengo le mie idee mia proprietà privata; pensavo invece che fossero della Natura e che appartenessero al suo autore. [...] ciò che sempre accompagna virtualmente un argomento non è l'"Io penso", ma è: "Non pensi?"» (C.S. Peirce, Manoscritti 636, 24-26)
Che cosa devo fare? Questo è l'interrogativo dell'Etica. L'etica riguarda l'agire umano, è una scienza pratica e non speculativa. Studia l'agire in vista di raggiungere un fine che può essere conseguito liberamente. La morale è essenzialmente scienza della libertà, perché è con la libertà che l'uomo realizza se stesso. La persona umana è un essere che vive in società. Il progetto di vita e i fini perseguiti da una persona devono coniugarsi con quelli di altre persone. In ragione di questi dati di esperienza comune sorge la Politica. Questa è un'altra branca della Filosofia, e studia le virtù e i doveri dell'uomo in quanto è inserito in una comunità sociale. In sintesi i gli argomenti trattati: i grandi paradigmi morali; il fine ultimo dell'uomo; la pienezza della felicità secondo san Tommaso d'Aquino; legge e coscienza; le fonti della moralità; l'atto umano e le passioni; le virtù morali; il peccato; l'impegno morale nella cultura della persona e della società; che cosa è la filosofia politica; i grandi paradigmi politici; la persona soggetto primario della politica; il bene comune; il potere politico: autorità e sovranità; le virtù politiche: prudenza, obbedienza, giustizia; la legge civile e lo Stato di diritto; diritti e doveri dell'uomo; la dottrina sociale della Chiesa; la risposta cristiana ad alcuni problemi socio-politici; l'amore e la pace, valori supremi di una politica planetaria.
Il giudizio sulla figura dell'idolo e sulla pratica dell'idolatria è unanime e costante: si tratta, sempre e per tutti, di qualcosa di negativo, di pericoloso, di una realtà con la quale è bene non avere nulla a che fare. La parola d'ordine è dunque sempre la stessa: gli idoli devono essere distrutti. Eppure gli uomini, della nostra come di ogni altra epoca, siano essi credenti o non credenti, ricchi o poveri, colti o ignoranti, non smettono un istante di fabbricarli e adorarli. Come spiegare l'universalità di tale legge? Perché "il bisogno di comunione nell'adorazione è il più grande tormento di ogni uomo singolo, come dell'intera umanità, fin dal principio dei secoli" (F. Dostoevskij)? Perché "vi sono nel mondo più idoli che realtà" (F. Nietzsche)? Il volume cerca di rispondere a queste domande elaborando una teoria che pone la figura dell'idolo e la pratica dell'idolatria non in relazione con una determinata scelta del soggetto, ma più essenzialmente con il suo stesso modo d'essere. Nell'ultima parte dello studio si propone un'originale interpretazione della società dei consumi la cui natura più profonda viene individuata nell'essere ultimamente "una comoda idolatria per le masse a basso costo". Una stimolante opera filosofica alimentata dal costante e fecondo dialogo con la psicoanalisi, l'esegesi biblica e la letteratura.
No, non è giusto, questo non e buono, non è una causa santa questa in cui viene offuscato e distrutto lo splendore della gioventù. Siamo noi, i vecchi, ad aver peccato; abbiamo mandato questi giovani sui campi di battaglia per le nostre maledette passioni, per la nostra morte spirituale, per la nostra incapacità di vivere generosamente del calore del cuore e della viva visione dello spirito. Usciamo da questa morte, poiché siamo noi i morti, non i giovani caduti per la nostra paura di vivere. Anche i loro fantasmi sono più vivi di noi; ci espongono all'eterno ludibrio di tutti i tempi futuri. Dai loro fantasmi deve scaturire la vita e noi ne saremo vivificati.
Nel 1945 l'umanità scopre un volto del male che fino ad allora nella storia non si era mostrato: Auschwitz. Poste di fronte a quest'evento, la ragione e la filosofia sembrano aver smarrito le loro risorse per comprendere e interpretare una realtà che appare radicalmente nuova e smisurata. Un'indicazione viene invece dalla letteratura. Dopo l'esperienza di internato in quel campo della morte, infatti, il premio Nobel per la pace Elie Wiesel decide di scrivere racconti, cronache e commenti. Per testimoniare, per tentare di capire, per guardare la storia dal mondo sicuro dell'immaginazione e della creatività. E per permettere la sopravvivenza a se stesso, alla sua generazione e a quelle successive. Proprio all'interno della ricchissima produzione letteraria di Wiesel quest'agevole opera individua spunti e tracce per una riflessione profonda e intensa sul male a partire dalla novità che l'evento di Auschwitz costituisce. Perché incontrare l'orrore è l'unico modo per saperlo riconoscere e poterlo affrontare quando di nuovo si ripresenti, magari in forme diverse ma non meno terribili.