L'Unione economica e monetaria è stata disegnata secondo le concezioni ordoliberali del patto di stabilità e progresso. È stata pensata come l'elemento portante di una costituzione economica che avrebbe dovuto stimolare, oltrepassando le frontiere nazionali, la libera concorrenza degli attori del mercato e organizzare regole vincolanti per tutti gli Stati membri, neutralizzando le differenze di competitività esistenti nelle varie economie. Sennonché l'ipotesi che bastasse una libera e regolata concorrenza per raggiungere un benessere egualmente distribuito si è rivelata presto sbagliata. Disattese le condizioni ottimali per una moneta unica, le diseguaglianze strutturali delle varie economie nazionali hanno finito per aggravarsi; e continueranno ancora ad aggravarsi, finché la politica europea non la farà finita con il principio per cui ogni Stato nazionale deve decidere sovranamente da solo, senza guardare agli altri Stati associati.
Riflettere in maniera corretta e con eleganza su questioni difficili" è l'obiettivo di Daniel Dennett nel presentare qui una selezione di strumenti per pensare. Ma non è questa la vocazione di chiunque eserciti l'onesto mestiere del filosofo? Dennett ha con la filosofia una relazione privilegiata: non si tratta soltanto di rendere trasparente "l'atmosfera linguistica" in cui vengono posti i grandi problemi della tradizione, ma anche di attingere a quanto ci offrono discipline come la biologia evoluzionistica, la neurofisiologia, la logica matematica e le varie teorie della cosiddetta intelligenza artificiale. Ne emerge una inedita concezione dell'essere umano, destinata a mutare i presupposti delle più disparate "scienze morali", dall'antropologia alla storia, dal diritto all'etica. E tutto questo "gonfiando o sgonfiando" le varie pompe dell'intuizione a cui i filosofi ricorrono nel sostenere opposte tesi su questioni come la natura del significato, le funzioni della mente e il libero arbitrio. Il volume di Dennett sfida lettori intrepidi di qualsiasi estrazione a esplorare le proprie idee predilette con nuove capacità e, se è il caso, a cambiarle.
Un ritratto complessivo di uno dei pensatori dell'antichità, la cui prodigiosa attività di ricerca, dalla metafisica alla biologia e alla fisica, dalla psicologia all'etica, dalla politica alla poetica, dalla retorica alla logica, ha rappresentato una vera e propria "enciclopedia del sapere" destinata a esercitare un'influenza duratura sul pensiero occidentale.
Questo libro si propone come invito a una lettura critica e attiva di Kant. Il suo intento non è tanto quello di offrire un'esposizione completa degli scritti del filosofo, quanto piuttosto di proporre un percorso possibile, attraverso le sue opere principali, senza negare la problematicità e la complessità del suo pensiero. L'idea che lo anima è quella di provare a presentare la filosofia kantiana non come un porto sicuro, nel quale trovare un approdo tranquillo o, peggio, come un relitto del passato, ma come un'avventura del pensiero, un pensiero ancora vivo, vivo anche perché fa riflettere. È innegabile che Kant abbia segnato una svolta fondamentale nella storia del pensiero, ma questo non vuol dire che dobbiamo farne un monumento, tutt'altro, e neppure che dobbiamo accettare in blocco le sue soluzioni; perché, come dice giustamente Wilhelm Windelband, capire Kant vuol dire andare oltre Kant . Però bisogna fare la fatica di capirlo e di studiarlo a fondo. Se la lettura di questo testo facesse sorgere il desiderio di leggere direttamente le opere di Kant, avrebbe ottenuto pienamente il suo scopo.
Uscito nel 1979, il libro di Lyotard si è imposto fin da subito, e non solo nel dibattito filosofico, come un testo di riferimento. In questo libro l'autore, con radicalità, chiude i conti con la tradizione storico-filosofica del pensiero classico. Una tradizione che aveva segnato con forza, nel bene e nel male, la storia del Novecento. Non più quindi sistemi filosofici e grandi narrazioni basate sull'eredità dell'Illuminismo e sui grandi sistemi emancipativi, in primo luogo l'hegelismo e il marxismo, ma comprensione piena e accettazione di un nuovo modello di pensiero che identifica una nuova idea di modernità, basata essenzialmente sulla rottura netta con il passato: il "postmodernismo" per l'appunto. Questa espressione del filosofo francese fu immediatamente usatissima in tutto il dibattito culturale. Nel cambiamento epocale di paradigma Lyotard identifica un fattore centrale di trasformazione: il sorgere e il mutare di senso dell'apparato di pensiero tecnoscientifico, e con esso l'avanzare impetuoso delle nuove tecnologie, in grado di diventare vere e proprie protesi di linguaggio, cioè modi del pensiero dalla struttura innovativa. Lyotard non intendeva solo valorizzare la tecnoscienza, ma anche, e soprattutto, dare pari dignità a tutti i linguaggi, senza più porre una modalità di pensiero come "superiore" alle altre.
Il secolo scorso ha variamente proclamato la fine della filosofia in quanto metafisica. Nel nuovo millennio si indovinano, a livello istituzionale, sintomi di una sempre più conclamata obsolescenza degli studi umanistici, e quindi della filosofia intesa come disciplina accademica ed esercizio puramente intellettuale. Eppure, nel gesto ampio di questo transito epocale, trovarsi di fronte ai testi antichi può essere occasione di esperienze sorprendenti. Vale a dire, avvicinarsi al testo nella sua materialità impervia, nell'effetto straniante della sua opacità, nella sua refrattarietà alla risoluzione interpretativa o manualistica, può liberare risorse inattese per il pensiero, mettere a fuoco domande che non hanno cessato di riguardarci - che interrogano l'umano, le sue vicende e possibili configurazioni, le scelte, i percorsi, l'ipotesi della felicità. Incontrare l'antico (Aristotele, per esempio) in questo modo implica coltivare l'intimità con ciò che ancora ci elude. Allora diagnosticare la fine, intravedere altri inizi, non significa superare, passare oltre, né ancora andare altrove. L'origine ci scruta enigmatica. Il suo mistero inconsumato ci sta davanti. Lungi dal comportare una deposizione o un ritorno, lo sguardo volto al passato si espone a ciò che nel passato resta impensato, inaudito. Forse è proprio cogliendo l'antico nel suo carattere insondabile che si vi può intravedere la possibilità inespressa: nella fine, in seme, il compito del pensiero a venire.
Un'opera che affianca alla storia del pensiero occidentale quella altrettanto ricca ma meno esplorata delle culture non europee, presentando i contributi dei maggiori studiosi della filosofia islamica, del mondo ebraico, della tradizione latino-americana, del continente africano, dell'India, dell'Estremo Oriente e del Pacifico. Vero e proprio atlante del pensiero, questo libro offre uno strumento rigoroso ma accessibile per il dialogo interculturale che il mondo contemporaneo ci obbliga ad affrontare: risalendo alle radici delle più significative tradizioni culturali, restituisce tutta la ricchezza della trama di corrispondenze che ha dato forma al pensiero umano come lo conosciamo oggi.
All'origine dei diversi discorsi, molti dei quali "alla moda", sulla "fine della filosofia" che, almeno da Nietzsche, caratterizzano tanto pensiero dell'Occidente, sta la "sentenza" hegeliana: che la philosophia cessi di chiamarsi "amante" e si affermi finalmente come puro sapere, Sophia ovvero Scienza. Amore e Sapere debbono dirsi addio. Che il "sophós" dismetta il suo abito di eterno pellegrino e fissi la sua dimora. E questo il destino della nostra epoca? O ancora vi è "ciò" che non possiamo esprimere, rappresentare, indicare se non amandolo? Il discorso filosofico-metafisico porta in sé la traccia di questa tensione, e proprio là dove affronta il suo problema, la sua aporia costitutiva: che l'ente è, che nella sua singolare identità mai coincide con le determinazioni che il lògos ne predica, che la sua sostanza non può disvelarsi nella finitezza del suo apparire. Ogni ontologia deve basarsi su questa differenza - non differenza tra essere ed essente, ma differenza immanente alla realtà dello stesso essente, e in particolare proprio di quello straordinario essente che ha corpo e mente. Oltre l'esercizio sempre più vacuo delle decostruzioni, oltre gli astratti specialismi, oltre le accademie e le scuole, sarà a tale problema, eterno "aporoúmenon", e al "timore e tremore" che suscita, che questo libro intende fare ritorno, ascoltando alcuni grandi classici della tradizione metafisica, per svilupparlo ancora una volta.
Buona parte della filosofia politica moderna, da Machiavelli fino a Hegel e poi ancora al '900, pensa il popolo secondo i criteri di un razionalismo astratto. E così il popolo, anche in teorici della democrazia, finisce per diventare una "finzione": se ha realtà, è solo quella del pensiero. I risultati sono stati due. Da un lato, a questo popolo fantastico si è affidata la sorte dell'emancipazione facendone un soggetto collettivo della salvezza: in tal senso, c'è un filo rosso che collega Robespierre a Marx e a buona parte del pensiero rivoluzionario del '900. Dall'altro, quando si è denunciata la pericolosità di queste concezioni del popolo, si è arrivati, per un eccesso di realismo, al polo opposto, affermando che il popolo non esiste e che è sempre stato il prodotto di un pensiero ideologico. Da cui l'invito a convincersi che anche la democrazia non è né potrà mai essere "governo del popolo", ma governo di élite in competizione per il voto. C'è un'alternativa a questi due estremismi che ci condannano, rispettivamente, all'illusione o all'apatia? In gioco è il futuro della democrazia.
La verità è oggi temuta come una forma di violenza, specialmente da parte dei filosofi post-moderni. Questo timore spesso è dovuto a una concezione ideologica della verità come valore assoluto da imporre a tutti, mentre esso è del tutto ingiustificato rispetto alla concezione classica della verità, non riducibile alla teoria della verità come corrispondenza. In base alla teoria classica si danno diversi tipi di verità, verità di fatto e verità di ragione, verità storiche e verità scientifiche, verità di fede e verità poetiche: alcune facili da scoprire, altre implicanti complesse e faticose ricerche. In filosofia la ricerca della verità avviene in modi diversi, secondo il tipo di filosofia che si pratica, che può essere trascendentale, dialettico, fenomenologico, analitico-linguistico, ermeneutico, dialogico-confutativo. Un caso di ricerca della verità in filosofia è costituito dalla metafisica, intesa non nel senso tradizionale di ontologia o teologia razionale, bensì come metafisica problematica e dialettica, epistemologicamente debole ma logicamente forte. Esiste anche una verità pratica, che riguarda non la legge morale, ma il desiderio della felicità intesa come pieno sviluppo della persona umana, nel singolo individuo e nella polis.
La scoperta del dono, nelle nostre esistenze, è anche la scoperta di un particolare valore. Al di là delle classiche nozioni di valore di scambio e di valore d'uso, attraverso il dono e la sua circolazione facciamo i conti con il cosiddetto valore di legame. Oltre il valore monetario emergente dallo scambio, ed il valore rappresentante l'utilità di un bene, infatti, il valore di un dono si arricchisce della relazione entro cui si manifesta e che, simbolicamente, serve a rilanciare. Compito di queste pagine è comprendere a fondo il significato di tale valore, nonché di interrogarsi sulla possibilità e opportunità di una sua misurabilità e calcolabilità, cogliendolo nella concreta realtà delle relazioni umane. Il metodo interdisciplinare permette di analizzare a fondo i paradossi e le ambivalenze della realtà del dono, fino a comprendere le forme dell'esperienza umana del valore, nei suoi risvolti esistenziali, cognitivi, estetici, etici, politici, economici. Sembra qui in gioco, tra l'altro, la nozione stessa di "realtà", colta nella sua stratificazione in fatti, eventi, significati, soggetti, oggetti, relazioni e, appunto, valori. Non a caso la cognizione prevalente del valore e del disvalore orienta di fatto la società intera e conferisce un indirizzo di fondo alle culture.
Ogni generazione condivide il destino del proprio tempo, recupera il passato e si proietta nel futuro. La morte implica la trasmissione dei beni materiali da una generazione all'altra, ma quanto si riceve in eredità non sono soltanto cose: un intero mondo di simboli e principi si perpetua e si trasforma in questo passaggio secondo la prevalente logica del dono e della restituzione. Se in una delle canoniche divisioni della vita umana - quella tripartita in giovinezza, maturità e vecchiaia - la preferenza era data alla maturità, simbolo di pienezza e culmine dello sviluppo dell'individuo, oggi la gioventù e la vecchiaia si dilatano e la maturità si restringe. I giovani tendono a rimanere più a lungo a casa, i vecchi cercano una seconda giovinezza e restano spesso produttivi dopo il pensionamento. Anche per effetto della crisi del welfare state muta pertanto la trama dell'esistenza individuale e dei rapporti di solidarietà tra le diverse età della vita. Si indeboliscono, in particolare, i legami sociali e la fiducia tra le generazioni. Si potrà introdurre tra loro un nuovo, più equo e lungimirante patto? Quali saranno le modalità di restituzione di risorse materiali e immateriali - cose, sicurezza, affetti, autonomia - alle giovani generazioni?