«È come se, attraverso il modello utopico. si costituisse un punto di riferimento al di fuori e a prescindere da qualsiasi spazio, luogo e momento storico. Ebbene, come si può costruire una città concreta, prevedere un'alternativa alla situazione che è, attraverso un modello che non è? o, quanto meno, che non è ancora?
È forse questo il modo, per tornare a parlare di "profezia" e di realtà collocate nel futuro? con annessa svalutazione del presente?
C'è una critica rivolta da Aristotele a Platone, che ricalca molto fedelmente questo genere di obiezioni. Platone si era fatto carico di sostenere una tesi alquanto sconvolgente, per il suo tempo, e anche per oggi. Proponeva che, nella sua città, vigesse la comunione dei beni, delle donne e dei figli. Una tale invenzione, ad Aristotele, parve talmente rivoluzionaria - è strano che di Platone si parli come di un rivoluzionario, e di Aristotele, al contrario, come di un conservatore! - che dovette sembrargli ovvio avversaria con tutte le sue forze. L'imputazione prima fu precisamente questa: se un'idea del genere fosse stata valida, certamente ci avrebbe pensato qualcun altro ad attuarla, e non sarebbe stato necessario arrivare fino a tempi tanto recenti (stiamo parlando del IV secolo, prima dell'era volgare!), senza avere trovato luogo o tempo per vederla realizzata.
Il problema è davvero tutto qui. Ed è un problema che, alla fine dei conti, ci porterà a distingue la categoria (e il concetto) di utopia dalla categoria (e dal concetto) di utopismo, che non sono affatto la medesima cosa.»
Dall'Introduzione
Quello del 1984 è l'ultimo corso tenuto da Michel Foucault al Collège de France. Già malato, comincia le lezioni solo a febbraio per terminarle alla fine di marzo. Muore pochi mesi dopo, il 25 giugno. Queste circostanze gettano una luce particolare sul corso, che si è portati a leggere come una sorta di testamento spirituale, dove il tema della morte ricorre frequentemente. Il corso prosegue e radicalizza le analisi condotte l'anno precedente. Anche qui, la domanda centrale ruota intorno alla funzione del "dire-il-vero" e al ruolo che la verità riveste nell'ambito della politica e dei rapporti di potere. Si tratta in sostanza di stabilire, nell'ambito della democrazia, un certo numero di condizioni etiche che sono irriducibili alle regole formali del consenso ma che fanno appello alla dimensione morale individuale: il coraggio di fronte al pericolo e la coerenza. Foucault ritorna alle radici della filosofia greca, rivalutandone l'idea di democrazia contrapposta a ogni forma di tirannia, antica e moderna. Nella morte di Socrate non emerge la paura di morire, ma l'angoscia di non poter portare a compimento la propria "missione essenziale", il compito che dà senso a una vita. Attraverso una rivalutazione del pensiero dei cinici viene sottolineata sia l'importanza di un radicale ritorno all'elementarità dell'esistenza sia lo "scandalo della vita vera": al tempo stesso provocazione pubblica e pratica filosofica, che comporta un accoglimento dell'essenzialità delle cose.
Una pluralità di indagini e di metodi convergono sulla coppia di concetti Dio e Divino, considerati in un ampio spazio temporale che va dal mondo antico al Medioevo fino alla contemporaneità. Il primo tema messo in luce è la definizione del divino, nella filosofia greca classica, nell'età imperiale e nel XX secolo, qui riconsiderando la natura di "dio provvidente" alla luce della tragedia umana della Seconda guerra mondiale e dell'olocausto. In seconda istanza, il discorso si rivolge alla questione del finalismo: questo tema, connesso a quello della provvidenza, è investigato sotto molteplici punti di vista e costituisce il baricentro dell'opera. In quest'ambito si colloca il problema del male in una prospettiva universale e metafisica, cioè nell'opposizione fra assoluto e relativo, umano e divino, sensibile e soprasensibile. Il bilancio teoretico di questa ricerca si traduce nel riconoscere alla metafisica non solo la competenza su un vasto repertorio di ambiti (protologia, eziologia, ontologia, ousiologia, teologia), ma anche lo studio specifico della sostanza e di ciò che dipende da essa, al fine di esprimere in maniera fondata quanto può essere assunto come fondamento di altro secondo una visione gerarchica di tutto ciò che esiste. Il volume raccoglie gli Atti del Convegno "Il divino e l'ordine del mondo: una polarità ricorrente. Minima Metaphysica" tenuto presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano il 5-7 novembre 2012.
Da dove vengono le idee sulle quali è stato costruito lo Stato moderno? Qual è la vera origine di ideali come uguaglianza e libertà? In che punto della nostra storia, e perché, abbiamo iniziato ad adorare la crescita economica come se fosse una divinità? Con "L'invenzione dell'individuo", Larry Siedentop fa piazza pulita delle teorie storiche precedenti, e presenta una nuova, radicale prospettiva sulle sorprendenti origini delle credenze e delle convinzioni che ci hanno reso ciò che siamo. In un racconto che attraversa 1800 anni di storia europea, Siedentop presenta un rifiuto netto del consueto resoconto sulle origini del liberalismo occidentale - ossia sul suo emergere in opposizione alla religione nella prima età moderna. "L'invenzione dell'individuo" racconta come un nuovo ruolo sociale egualitario, l'individuo, sorse e prese gradualmente il posto della famiglia, della tribù e della casta come base dell'organizzazione sociale. Un lavoro intellettualmente provocatorio e una richiesta a ciascuno di noi di ripensare e riconsiderare le idee stesse sulle cui basi le società e i governi occidentali sono stati costruiti. Prefazione di Marco Ventura.
Uno dei testi di filosofia più conosciuti degli ultimi decenni e senza dubbio il più famoso di Lévinas. In questo volume del 1961 il suo pensiero trova la prima, e per certi aspetti definitiva, sistemazione. Dal punto di vista tematico è infatti un'opera conclusiva le cui tesi sono ormai diventate patrimonio comune dell'attuale panorama filosofico. La pretesa di "Totalità e infinito" è la pretesa stessa del pensiero di Lévinas: non si tratta di proporre un'etica come corpus di valori, o di analizzare le conseguenze etiche di una particolare filosofia prima, e neppure di rivolgersi all'etica come unico ambito di riflessione rimasto dopo i proclamati fallimenti di ogni possibile metafisica, ma di individuare nell'etica il luogo stesso della verità metafisica, la scena del dispiegarsi vivente di questa verità. Al di là di ogni facile strumentalizzazione e di ogni colpevole ingenuità, è con una simile pretesa che il lettore di "Totalità e infinito" è chiamato a confrontarsi.
Delle arti - di ciò si tratta in questo libro. Delle arti, appunto, al plurale. O anche della problematicità di un singolare - l'"arte" -, che si rifrange ogni volta in una molteplicità lontanissima dall'essere omogenea. Jacques Derrida non si è mai sottratto alla sottile quanto inevitabile ingiunzione che le "arti del visibile", ossia il disegno, la pittura e la fotografia, ma anche il cinema, la videoarte e il teatro, suscitano per il solo fatto di esistere. Ed è vero - come il lettore potrà constatare - che la decostruzione trova nelle arti un'occasione assai feconda di esplicitare, mettere alla prova e sperimentare la portata dei suoi concetti. Per quanto concerne il visibile, infatti, si tratta sempre, anche se in modalità differenti nelle arti e rispetto alla scrittura, della traccia, del tratto, di spettri, e dunque di un "vedere senza vedere niente". Derrida non avrà pensato che a questo non vedere, come rivelano i testi qui raccolti (saggi, interventi, conferenze, interviste, scritti per cataloghi d'arte), apparsi lungo l'arco di venticinque anni di attività e pratica di scrittura, successivi alla pubblicazione di "La vérité en peinture" (1978) fino al 2004.
Partendo dal tema dell’io e della soggettività, nell’incrocio tra domanda di felicità e offerte del mercato globale, il libro di Adriano Pessina affronta il tema dell’insoddisfazione come emerge nella società dell’efficienza e del benessere. In questa prospettiva, vengono discussi sia i temi legati all’uso quotidiano delle tecnologie informatiche, sia alcune delle più recenti proposte di miglioramento, di sé e delle future generazioni, ottenibili grazie a interventi di stampo medico o farmaceutico. L’io, consumatore di immagini, perennemente collegato con una solitudine affollata in cerca di relazioni, partecipa di una continua trasformazione delle sue esperienze. La rete gli permette di condividere emozioni e parole senza la mediazione del corpo, del luogo e del tempo; medicina, biologia, farmacologia gli prospettano l’avvento di quella grande salute che non è solo liberazione dalla malattia e dalla sofferenza, ma dal fardello di una finitezza che non è mai all’altezza del desiderio. Di che cosa, o di chi, l’io è dunque insoddisfatto? Il dislivello permanente tra desiderio umano e mondo dei possibili, offerto dalla tecnologia e dal suo mercato, traccia un nuovo volto della perfezione: un ideale che sembra a portata di mano e che è sorretto da teorie che prospettano il futuro di una nuova umanità. Uscendo dall’alternativa tra bioconservatori e post-umanisti, si apre allora di nuovo la domanda sullo specchio nel quale l’io potrà ritrovare il suo autentico volto. Tra Prometeo e Dio, la questione dell’io non trova facili risposte e richiede la pratica di un tempo per pensare.
Se il pensiero filosofico contemporaneo ha decretato la morte della metafisica, è ancora possibile un discorso etico? Due secoli dopo la "Fondazione della metafisica dei costumi" di Kant, Habermas riflette sulla ragione pratica in vista di quella che potremmo definire la 'fondazione post-metafisica dei costumi'.
Presentiamo la traduzione di "On a New Interpretation of Plato's Political Philosophy" (1946), di Leo Strauss. Sotto le spoglie di una lunga e polemica recensione al volume di John Wild, "Plato's Theory of Man", Strauss espone le tesi principali della sua interpretazione di Platone, un impianto ermeneutico che troverà ampia espressione successivamente, negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, nei commentari che egli dedicherà a singoli dialoghi platonici come "la Repubblica", "le Leggi" e "il Simposio." Secondo Strauss, la filosofia di Platone coincide con un radicale scetticismo zetetico, che trova nella rappresentazione dialogica la forma espressiva più adeguata. Il Platone che Strauss ci consegna risulta tutt'altro che rassicurante, poiché ha la forza di interrogare direttamente le nostre autorappresentazioni morali e politiche, di mettere in discussione la perfetta autoreferenzialità della "democrazia moderna" - quando intesa come il migliore degli ordini possibili -, nonché di porre sotto accusa tanto il relativismo quanto il normativismo quali inadeguati posizionamenti della filosofia rispetto alla politica.
Il volume presenta due delle prime opere di Leibniz, fra le pochissime che egli pubblicò in vita: la tesi per il conseguimento del titolo di "Magister Pbilosophiae" (1664) e la dissertazione dottorale in legge (1667). La prima opera, "Saggio di questioni filosofiche estratte dalla giurisprudenza", origina dalla convinzione, alquanto insolita per l'epoca, che la giurisprudenza senza la guida della filosofia "sarebbe un labirinto inestricabile". Le questioni, esaminate con stupefacente acume, includono un ventaglio di argomenti che si irraggiano enciclopedicamente dalla logica alla metafisica attraverso matematica, fisica, fisiologia e zoologia. Nella seconda opera, "Discussione inaugurale sui casi perplessi in diritto", Leibniz sviluppa una dettagliata analisi logica e giurisprudenziale intorno ai casi, come diremmo oggi, difficili da sciogliere, a sostegno della tesi, anch'essa all'epoca insolita, che ogni caso deve trovare la sua soluzione all'interno del diritto. Le analisi proposte e le tesi sostenute in entrambe le opere sono illustrate e testate su un ampio repertorio di esempi, molti dei quali possono essere interessanti anche per i giuristi contemporanei. Il volume consta inoltre di due saggi introduttivi, note di commento al testo, nonché di una appendice bio-bibliografica relativa agli autori citati da Leibniz nelle due opere.
Il cattolicesimo liberale e il liberalismo di cultura laica si sono variamente intrecciati nella storia dell'Italia contemporanea, sperimentando il dissenso teoretico ma anche una profonda comunanza di valori morali. Il volume ripercorre la complessità di questa relazione, intellettuale e religiosa oltreché politica, attraverso la lunga amicizia fra Stefano Jacini e Benedetto Croce, che ne costituisce uno dei momenti più intensi e significativi nella prima metà del Novecento. Esponente del Partito Popolare e della Democrazia Cristiana, Jacini si impegnò ad approfondire culturalmente il rapporto fra cattolicesimo e libertà dall'esperienza modernistica del "Rinnovamento" agli studi sulla politica ecclesiastica del Risorgimento, nati dal confronto con la grande storiografia crociana durante il fascismo. Fu proprio la "religione della liberta", teorizzata da Croce in chiave laica e immanentistica, il riferimento dialettico al quale Jacini contrappose il cattolicesimo liberale ottocentesco come antecedente e fondamento di quello antifascista.
Che cos'è la verità? Come può essere giustificata la pretesa di conoscerla? Queste sono le domande che caratterizzano l'indagine epistemologica. Questo manuale universitario propone a chi si avvicina allo studio dell'epistemologia un percorso in cui, tenendo presenti i dibattiti in corso nella filosofia analitica contemporanea ma trovando anche indicazioni decisive nel pensiero di san Tommaso e di John Henry Newman, vengono affrontati i temi centrali dell'indagine filosofica sulla conoscenza: la percezione, la conoscenza intellettuale, la certezza, la verità, la giustificazione e le sue diverse forme (inferenza, esperienza, testimonianza).