In questo nuovo volume della sua Controstoria, Onfray demolisce il mito di un Illuminismo razionalista e materialista, denunciando il carattere assai moderato o persino retrivo di alcuni fra i suoi più celebrati esponenti, e tracciando inedite demarcazioni fra i «buoni» materialisti e edonisti e i «cattivi» idealisti del secolo dei Lumi. Anche se messi all’Indice dal Sant’Uffizio, Voltaire e in fondo anche Diderot rimangono infatti deisti e antiatei, vincolati in maniera ambigua ai ricatti della trascendenza. Kant? Misogino e per di più razzista, come Diderot e Buffon. Sade? Un protofascista, che predica la sopraffazione, lo sfruttamento e il disgusto del corpo. Rousseau poi, oltre che criptoidealista, è un reazionario luddista, contrario alla scienza e favorevole alla cieca obbedienza e all’ignoranza del popolo.
Chi è da salvare sono invece gli esponenti di una corrente minore e storicamente perdente dell’Illuminismo "estremista": pensatori come Meslier, La Mettrie, Maupertuis, Helvétius, d’Holbach.
Giovanni Reale è uno dei massimi studiosi del pensiero antico e autore di fondamentali contributi su Presocratici, Socrate, Platone, Aristotele, Seneca, Pirrone, Plotino, Proclo e Agostino. Ha composto una Storia della filosofia greca e romana (in dieci volumi, Bompiani 2004) che si è imposta come un punto di riferimento. Per una nuova interpretazione di Platone è la sua opera di maggior successo, come dimostra lo straordinario numero di edizioni, le traduzioni in varie lingue e i giudizi dati dagli studiosi a livello internazionale.
Giovanni Reale (1931), uno dei massimi studiosi del pensiero antico, insegna presso l’Università Vita-Salute del San Raffaele di Milano. La sua sterminata produzione scientifica spazia lungo tutto l’arco del pensiero greco e latino: gli autori a cui ha dedicato specifiche monografie sono i Presocratici, Parmenide, Melisso, Socrate, Platone, Aristotele, Teofrasto, Pirrone, Seneca, Plotino e Proclo. Con Elisabetta Sgarbi ha pubblicato: I misteri di Grünewald e dell’Altare di Isenheim (2006), Le nozze nascoste o la Primavera di Sandro Botticelli (2007) e Il pianto della statua (2008). I suoi scritti sono attualmente tradotti in quindici lingue.
Il De Ente et Uno, qui presentato in nuova edizione critica e traduzione, costituisce uno dei vertici della filosofia dell’Umanesimo italiano. In quest’opera, frutto del più “maturo” pensiero di Giovanni Pico della Mirandola, l’enfant prodige del Rinascimento in brevi capitoli di approfondita riflessione teoretica, cesellati con passaggi degni della prosa dei più ispirati mistici, tenta di gettare le basi della conciliazione tra la filosofia di Platone e quella di Aristotele, momento aurorale del suo vagheggiato progetto di riunificazione del sapere universale. Il testo è accompagnato dalla prima traduzione italiana delle obiezioni del filosofo faentino Antonio Cittadini al De Ente et Uno e dalle risposte di Giovanni Pico. Il volume è curato da Raphael Ebgi (dottorando in “Metafisica” presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano) e, per la parte filologica, da Franco Bacchelli. Completano l’opera una prefazione di Marco Bertozzi e una postfazione di Massimo Cacciari.
Io sono dinamite raccoglie due tra gli scritti più importanti e controversi del filosofo tedesco: "Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è" e "L'anticristo. Maledizione del cristianesimo". "Ecce Homo", composto al culmine della genialità e all'approssimarsi della follia, è uno dei più acuti e struggenti ritratti autobiografici della letteratura europea. Subito definito "scandaloso", è un testo ricco di iperboli, paradossi geniali e sconvolgenti rivelazioni. Lo stile aforistico, diretto, contribuisce ancora oggi alla fama di questo saggio, che fu bollato dai contemporanei come l'opera di un pazzo, e che nei decenni successivi, e fino ai giorni nostri, riscosse invece un clamoroso successo di pubblico, tanto da rendere "Ecce homo" un vero e proprio classico del ventesimo secolo. "L'anticristo. Maledizione del cristianesimo", rappresenta un attacco frontale e devastante a tutta la civiltà occidentale, europea e cristiana. Un testo dissacrante e provocatorio, il tentativo di rovesciare morale, religione e cultura convenzionale a favore di una filosofia della vita e della volontà. Anticlericale, durissimo, crudele, "L'anticristo" è il manifesto ultimo della rivolta disperata di Nietzsche contro tutto ciò che egli chiama "i falsi valori".
Che cosa hanno in comune Socrate, Gesù e Buddha? Qual è il senso più profondo dei loro insegnamenti e dei loro messaggi spirituali? E perché questi messaggi sono così vivi ancora oggi? Frédéric Lenoir risponde a questi interrogativi attraverso una vera e propria inchiesta storica che è insieme anche un saggio filosofico e spirituale; ricostruendo infatti le biografi e dei tre maestri, attraverso un uso accurato delle fonti storiche, Lenoir ci mostra quali differenze, similitudini, punti di contatto si possono rintracciare nelle vite e negli insegnamenti dei tre saggi. Cinque grandi temi universali, la fede nell’immortalità dell’anima, la ricerca della verità, della libertà, della giustizia e dell’amore, riassumono i punti chiave del pensiero e della filosofia dei tre saggi, accomunati, nonostante le distanze temporali, geografi che e culturali, da un principio essenziale: quello di rivolgersi sempre all’essere umano nel suo insieme. Socrate, Gesù e Buddha sono tre maestri spirituali che prima di tutto ci insegnano a vivere, perché il loro messaggio non è mai freddamente dogmatico ma cerca sempre il significato delle cose, fa appello alla ragione ma riesce a parlare anche al cuore.
Nella modernità la teoria morale si astiene dal proporre modelli vincolanti di vita buona. Sennonché l'impossibilità di comporre la disputa sullo statuto morale e giuridico della vita umana prepersonale induce oggi Habermas a riproporre la problematica etica classica sul piano dell'universalità antropologica.
L'autore teme una genetica liberale che si affidi alle opzioni interessate dei genitori e ai meccanismi del mercato. Fuoriuscendo dal rapporto clinico e dialogico col paziente, ossia dai limiti strettamente terapeutici e negativi che presuppongono il consenso dell'interessato, il liberalismo genetico rischia di alterare quell'eguaglianza casuale della natalità cui tutti i cittadini devono il cominciamento di un esclusivo destino di socializzazione. Solo se manteniamo come giuridicamente indisponibile la casualità della nascita, i cittadini possono garantirsi l'eguaglianza di accesso all'ideale comunità dei soggetti morali e alla reale comunità dei cittadini politici.
"Teoria dell’inconcettualità" è l’ultimo grande capolavoro di uno dei massimi filosofi del Novecento, un vero e proprio testamento spirituale rimasto a lungo inedito e destinato a suscitare un nuovo e vivace dibattito culturale.
In questo libro Blumenberg delinea i capisaldi del progetto filosofico elaborato nel corso della sua lunga e prolifica carriera di studioso, traendo le conclusioni delle ricerche avviate in opere molto amate in Italia come Naufragio con spettatore, Il riso della donna di Tracia, La leggibilità del mondo, La legittimità della modernità o Elaborazione del mito.
Figura centrale dell'illuminismo europeo, Kant ha fornito al pensiero occidentale un apporto di fondamentale importanza: il superamento degli errori e dei pregiudizi grazie all'autonomia dell'attività speculativa, il progressivo affrancamento da interessi particolari, la graduale emancipazione della ragione umana e la fondazione di una nuova metafisica sono solo alcuni fra i debiti che i contemporanei hanno maturato verso il filosofo di Königsberg. In questo volume, di cui si presenta qui una nuova edizione aggiornata, Höffe ripercorre il formarsi delle tre grandi "Critiche" kantiane come ciò che doveva rispondere rispettivamente alle domande: Cosa posso sapere? Cosa devo fare? Cosa mi è lecito sperare.
Otfried Höffe insegna Filosofia pratica nell'Università di Tubinga. Tra i suoi libri: "Globalizzazione e diritto penale" (Ed. di Comunità, 2001); con il Mulino, "Giustizia politica" (1995) e "La democrazia nell'era della globalizzazione" (2007).
La polifonia del pensiero medievale passa attraverso i monasteri, le biblioteche, le università, la struttura della lectio e della quaestio; e poi il commento come genere filosofico, le teologie, gli aristotelismi e le censure intellettuali e, ancora, la scienza, la pluralità dei mondi, la politica, le pratiche e le teorie della medicina e della musica. Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri e Riccardo Fedriga hanno raccolto molti fra i più importanti medievisti italiani insieme ai più interessanti giovani studiosi per comporre una visione ampia e plurale del pensiero medievale che attiene, anche, all'etica espressa da laici, cavalieri, goliardi, poeti. Questo libro è dunque una vasta esplorazione dell'Occidente medievale, l'Europa "dai molti padri e dalle molte madri" che articola il pensiero greco, latino, arabo e ebraico, nel melting pot che prepara il decollo dell'età moderna.
Il volume raccoglie i due scritti più importanti e corposi appartenenti alla prima fase di attività intellettuale del pensatore russo, quando – stando al suo stesso giudizio – “riteneva” ancora di essere un critico letterario. Si tratta peraltro di due testi assai eterogenei, di diversa natura e anche di diversa importanza. Shakespeare e il suo critico Brandes è la prima opera pubblicata da Sv estov in volume autonomo, nel 1898, e la traduzione qui proposta è la prima edizione a livello mondiale in una lingua che non sia l’originale russo. La lettura di Shakespeare risente della recente “scoperta” da parte di Sv estov dell’opera filosofica di Nietzsche, e manifesta un’importante impronta interpretativa tragica, contrastante quando non apertamente polemizzante con la visione del critico danese Brandes. Il valore positivo dell’idea di tragico, incarnato dalla grandezza e dalla dignità morale dei Bruto e dei Coriolano, sarà ben presto soppiantato da una tragicità – sempre su orme nietzschiane – progressivamente più disperata. Una delle prime testimonianze dell’involuzione disperata del tragico è allora proprio l’inedito e incompiuto scritto su Turgenev, abbozzo di testo critico dedicato a Turgenev e Cv echov, il cui contenuto sarebbe confluito in buona parte nella Apoteosi dell’infondatezza di poco posteriore, dove per la prima volta lo shakespeariano “tempo” che è “uscito dai cardini” giunge fino in fondo al suo cammino lasciando il pensiero a una altezza intollerabile per la ragione e per le costruzioni pacificate e onnicomprensive dell’intelletto. Qui nemmeno il riscatto morale troverà più luogo, e come unica via d’uscita rimarrà da quel momento in poi l’invocazione all’Assurdo di Dio e alla contrapposizione Atene-Gerusalemme.
Vladimir Sergeevicv Solov’ëv (1853-1900),visionario profeta del dialogo e tenero amante della Sapienza Divina, scrisse “Il dramma della vita di Platone”nel 1898, lo stesso anno del secondo viaggio in Egitto allorquando cominciarono i primi segni di cedimento fisico dovuti al troppo lavoro. In XXX paragrafi Solov’ëv analizza –facendo precedere il tutto da una lunga introduzione su come intendere il concetto di “dramma” nel pensiero greco a partire dai pre-socratici– il legame tra la teoria dell’amore di Platone (o meglio: la sua “crisi erotica”, proprio per come la definisce Solov’ëv) e il consequenziale mutamento della sua visione del mondo. L’autore si chiede quale sia la svolta (e ‘quando’, oltre al ‘come’, precisamente, si sia consumata) che induce Platone –fino a quel momento pensatore del “non essente”, fondatore del ‘pensare’ metafisico e delle questioni gnoseologiche astrattamente interpretate– a dedicare le sue migliori opere all’amore. Un argomento fino ad allora non specificatamente rientrato nell’ordinarietà della sua sfera filosofica che lo porta alla proposizione di una teoria che non trova punti di appoggio nelle sue ‘visioni’ precedenti e che ha lasciato, in tutto il successivo corso del suo pensiero, un’impronta profonda, determinante. Ancor prima della contrapposizione tra il “vero essere” e l’umbratile “divenire”, l’apparente o il fenomeno, Platone, sotto l’influsso della dottrina e della morte di Socrate, presentì la contrapposizione etica tra ciò che deve essere e ciò che effettivamente è, tra l’autentico ordine morale e l’ordinamento della società data. Questo fu il ‘dramma’ vissuto da Platone e dalla risposta di Solov’ëv alla domanda precedente concludiamo che la revisione del pensiero filosofico platonico fu determinata proprio da tale ‘crisi’ (da cui scaturisce, appunto, la sua teoria dell’amore) che è concepibile solo come progresso del suo idealismo letteralmente imposto dalle esigenze di una nuova esperienza esistenziale.
La dialettica della durata è stata pubblicata nel 1936, nel pieno del surrazionalismo di Gaston Bachelard (1884-1962), ossia della dottrina epistemologica più spregiudicata e provocatoria del secolo scorso, pure in così piena sintonia con le rivoluzioni relativistica e quantistica della scienza fisica. Lo scritto critica in maniera costruttiva la nozione tradizionale di durata e propone l’originalissima nozione del tempo come scintillanza quantica. Oltre che per la profonda opera di scavo del concetto di durata, per il superamento netto del bergsonismo e per le proposte innovative nella riflessione sulla temporalità, il testo si caratterizza per la lucida prospettazione di una futura disciplina epistemologica: la ritmologia. Uno dei pochi libri filosoficamente decisivi sul problema del tempo. L’edizione è stata curata da Domenica Mollica, studiosa del pensiero epistemologico francese del XX secolo. Questa sua traduzione restituisce con grande sapienza lo stile immaginifico ma al contempo scientificamente sorvegliato dell’originale francese.