«Essendomi recentemente cimentato con l'arduo compito di tradurre la Metafisica di Aristotele, il libro forse più difficile dell'intera storia della filosofia, mi sono imbattuto in una serie di problemi, alcuni dei quali previsti e altri invece imprevisti, che hanno reso l'impresa, oltre che ardua, anche affascinante». Affrontando problemi inerenti alla trasmissione del testo, alla traduzione e alla interpretazione, Berti mostra - contro una lettura teologizzante, di origine neoplatonica - il tratto problematico della filosofia aristotelica: la metafisica non è né teologia, né ontologia, ma scienza delle cause prime.
La Società filosofica italiana (SFI) è la più antica istituzione della filosofia in Italia, che ha avuto una presenza costante nella sua cultura. Essa ha attraversato i tre grandi periodi della storia istituzionale italiana dall'Unità ad oggi: liberale, fascista, democratico, riuscendo a fare dei congressi il luogo di confronto tra i diversi orientamenti. Nata nel 1906, ha tenuto fino dagli anni Cinquanta al 2013 ben trentotto congressi (circa uno ogni tre anni), dei quali in questo lavoro si fornisce una cronaca delle relazioni e dei dibattiti, sottolineando il ruolo che ha avuto il contesto culturale e politico. Inoltre, la SFI ha sollecitato la nascita di sue sezioni in molte città, che in tempi e modi diversi hanno organizzato seminari, convegni, conferenze su argomenti filosofici. Essa ha promosso la presenza della filosofia nella scuola italiana, contribuendo a rinnovarne l'insegnamento e promuovendo corsi di aggiornamento e sperimentazioni.
La logica si presenta, oggi, come una disciplina totalmente astratta, priva di qualunque aggancio “empirico” con l’esperienza, addirittura più della matematica che, alla fine ha a che fare con calcoli che terminano con dati numerici utili a “qualcosa” e non sempre solo con simboli vuoti. Eppure la logica, originariamente, nasce anch’essa come una scienza in qualche modo “sperimentale”... La differenza con le “scienze sperimentali” come la fisica, la biologia, ecc., consiste nel fatto che queste ultime hanno come oggetto delle entità reali “extra-mentali”, osservabili con i nostri sensi esterni, mentre l’oggetto della logica è tratto dall’esperienza “interna” (mentale, non esternamente sensibile) e studia le regole di funzionamento del pensiero, considerato indipendentemente dal suo significato, dal suo possibile riferimento al mondo extra-mentale, finendo per distaccarsene completamente. In questo nostro percorso ci interesseremo, in una prima parte, della logica aristotelica, il cui impiego è basilare anche per accostare tutte le altre, occupandoci in primo luogo della logica “formale” e in secondo luogo della logica “materiale”, nel senso di logica della “dimostrazione”. In una seconda parte vedremo come si è giunti ad introdurre l’uso dei “simboli” nella logica moderna e nella logica matematica, fino ad ottenere una sua formalizzazione totale. Accenneremo poi alle problematiche che hanno riaperto una sorta di “via empirica” anche per la logica odierna (“incompletezza” dei sistemi assiomatici) e ai più recenti sviluppi che aprono la strada a quella nuova disciplina che va sotto il nome di “ontologia formale”, riaffacciandosi così anche alla logica e alla metafisica classica.
Marco Cangiotti, La complessità dell'esperienza umana e l'ideologia naturalistica; Mario De Caro, Natura e naturalismi; Armin Kreiner, Teismo e naturalismo. Un naturalista può credere in Dio?; Andrea Lavazza, Natura, senso comune, scienza; Francesco Viola, Diritto e naturalismo; Giacomo Canobbio, Naturalismo vs teologia; Massimo Giuliani, Teva': la natura nel pensiero rabbinico; Federico Laudisa, Naturalismo. La teoria della conoscenza tra filosofia e scienza; Antonio Pieretti, Tra umano e postumano. Un'identità fragile, eppure preziosa; Damiano Bondi, La natura come esperienza; Giovanni Bombelli, Diritti umani, natura e orizzonti dell'"umano comune"; Antonio Allegra, Il fantasma della libertà. Sulle conseguenze politiche del naturalismo; Alessandro Di Caro, Intelligenza artificiale e naturalismo Stefano Calboli - Vincenzo Fano, Re Salomone e il naturalismo metodologico; Gerardo Cunico, Etica e natura nel pensiero di Habermas; Holm Tetens, Naturalismo (a cura di A. Aguti); Pierre Aubenque, Physis (a cura di I. Bertoletti).
Nel mondo del Ventunesimo secolo sono esplose tensioni forse tra le più laceranti della storia: il contrasto tra la globalizzazione, e la crisi economica che ne è conseguita, e le istanze locali delle forze del passato; le migrazioni delle masse di poveri che premono alle porte del ricco Occidente; lo scontro tra le forme della cultura e la tradizione occidentale, che sino a poco tempo fa poteva considerarsi dominante, e il terrorismo di matrice islamica. A questi problemi la politica non è in grado di offrire soluzioni efficaci: non sul piano internazionale, dove ogni forma di cooperazione tra Stati viene messa in seria discussione, né all'interno dei singoli Paesi, dove ha ceduto all'economia la gestione della società, limitandosi a garantire il funzionamento del mercato. In relazione a questo quadro Emanuele Severino riprende e sviluppa qui temi a lui cari come il rapporto tra politica, tecnica e filosofia e propone una chiave di lettura per smascherare il significato profondo della volontà di disfarsi di quella adesione alla verità assoluta che il tempo presente vuole abbandonare. In questo processo il capitalismo, per trionfare sui propri nemici, dopo aver emarginato la politica, deve sfruttare a fondo le potenzialità della tecnica, la quale è divenuta sempre più forte e ora da serva si sta trasformando in padrona, svuotando il capitalismo del suo scopo e conducendolo quindi alla morte. Quello che oggi ci pare uno scontro epocale tra valori è in realtà soltanto l'espressione di una battaglia di retroguardia, tra le diverse "verità" che intendono piegare il mondo alla loro visione ma che in realtà sono tutte destinate a essere sconfitte dall'avvento della tecnica, che potrà compiersi pienamente solo quando quest'ultima potrà godere del sostegno della filosofia e raggiungere il proprio scopo: realizzare tutto quanto è possibile.
In un'epoca in cui il loro numero è in aumento e quindi anche il loro potenziale politico, i «vecchi» sono lasciati soli da una società che considera la vecchiaia l'età del lutto, un coacervo di ogni tipo di violenze. Quelle sul corpo, preda di malattie; quelle perpetrate da un mondo ossessionato dalla giovinezza, pronto alla sopraffazione di chi è debole; quelle dell'anima, afflitta da lutti, rimpianti e ricordi opprimenti. Abbandoniamo questa immagine di disfatta della vecchiaia, creiamo un movimento «ardente» che riconosca alla terza età, l'età agonica (dal greco agon, combattimento e gioco), di possedere la ricchezza di un patrimonio formato dal tempo vissuto. Alla vecchiaia deve essere restituito il diritto a ricoprire un ruolo di primo piano nella società umana e che sia sinonimo di grande esperienza, di sensibilità e saggezza. Invecchiare non vuol dire vegliare, e l'autore ce lo dimostra offrendoci una galleria di personaggi ai quali la «grande età» ha regalato nuovo vigore e straordinaria creatività, come Freud inventore della psicanalisi, Duchamp inventore dell'arte moderna, il Re Lear di Shakespeare, il Faust di Goethe, Picasso e tanti altri. E anche la Bibbia riconosce alla vecchiaia una posizione di privilegio, prestigiosa e prodigiosamente creativa. Che la «grande età sia un'età combattiva e ludica, nella prospettiva di una nuova epoca sotto il segno anche di un eros eterno!»
Ogni qualvolta ci chiediamo cosa mangiare, in che modo amare, o semplicemente come fare a essere felici, ci stiamo in realtà domandando come condurre nel migliore dei modi la nostra vita. Ma dove possiamo trovare, nel mondo di oggi, risposte valide? Il filosofo Massimo Pigliucci propone di non cercarle in lontane tradizioni spirituali orientali, ma di trarre ispirazione dall'antica e più prossima filosofia che guidava Seneca e il grande imperatore Marco Aurelio: lo stoicismo. Risalendo alle sue fonti potremo finalmente rispondere agli interrogativi che assillano quotidianamente noi donne e uomini moderni, da come far fronte alla rabbia o all'ansia al modo in cui risollevarsi dopo una dolorosa esperienza personale. Con questo libro impareremo ad agire sulla base di ciò che è realmente sotto il nostro controllo, e a separare da tutto il resto ciò per cui vale davvero la pena preoccuparsi, così da avere sempre, come auspica una saggia preghiera stoica, «la serenità di accettare le cose che non possiamo cambiare, il coraggio di intervenire su quelle che possiamo cambiare, e la saggezza di distinguere le une dalle altre».
"Venite a me, voi che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò". Da queste brevi righe tratte dal Vangelo di Matteo [11,28], Kierkegaard fa partire il proprio "esercizio di cristianesimo", polemico nei confronti di chi suppone che si possa giungere a Dio senza un impegno diretto, personale, interiore, radicale. Poiché l'attesa di Dio, dice il pensatore danese, ci deve condurre a una scelta decisiva, aut aut, pro o contro, che ci riguarda nel profondo e che resta insuperabile. Il cristiano deve sapere che non vi è altra possibilità di conciliazione e di pace in se stesso, se non "andando a Dio", muovendo verso quel Dio che, unico, ha il potere di consolare, di ristorare. Chi cerca salvezza in se stesso e nelle proprie azioni, non troverà altro che angoscia. I grandi temi del pensiero di Kierkegaard sono tutti riassunti in queste pagine altissime, che non smettono di provocare il lettore e di invitare il credente a una conversione continua.
"Uscito nel 1971, 'Una teoria della giustizia' di John Rawls può essere ormai considerato un classico della filosofia morale e politica contemporanea, da decenni al centro della discussione e della critica. Portando a un alto grado di generalizzazione e astrazione la tradizionale teoria del contratto sociale, Rawls propone una teoria della giustizia come equità che ha per oggetto i principi che modellano l'assetto fondamentale delle istituzioni della società. I principi di giustizia sono quelli che persone razionali sceglierebbero in una posizione iniziale di eguaglianza. In questa situazione ipotetica, nessuno conosce la propria posizione nella società, la propria sorte nella distribuzione, naturale e sociale, di doti e capacità. Deliberando dietro un 'velo di ignoranza', gli individui determinano i loro diritti e doveri, accordandosi sullo schema equo (giustificabile per tutte le parti) di distribuzione dei costi e dei benefici della cooperazione sociale." (Salvatore Veca)
Questo libro, al suo apparire nel 1924, s'inquadrava in un progetto di ricerca, intenzionalmente perseguito dall'autore come lotta contro il pregiudizio «razionalistico» di un medioevo privo di originalità filosofica, ma anche contro un certo conformismo neo-scolastico tendente a far confluire sulle posizioni tomistiche la varietà delle posizioni degli altri esponenti della tradizione scolastica. Lo scopo di Gilson era mostrare l'esistenza di un pensiero medievale degno del nome di filosofia, cioè di sapere fondato nell'evidenza della ragione, ma anche correggere, in nome della storia ridata a se stessa, una certa ideologia del medioevo filosofico-teologico che s'inibiva di cogliere tutta la ricchezza e la complessità della storia stessa di questa convivenza di teologia e filosofia per incanalarsi troppo rapidamente in una sorta di reductio diversarum doctrìnarum ad Thomam. Il primato di Tommaso, più che un «dogma» fondato su una venerabile tradizione di ammirazioni, doveva essere qualcosa da riscoprire nella circolarità tra il rigore storiografico e un impegno teoretico-dialettico di confronto.
Tre motivi per leggerlo: Perché è un libro che non ti aspetti: una meditazione sul dissenso, che parla però molto di consenso e propone una collocazione costituzionale dei gruppi di protesta. Perché Hannah Arendt racconta di Socrate, Thoreau e della rivoluzione americana per tracciare la differenza che corre tra disobbedienza civile e obiezione di coscienza. Perché è un piccolo, prezioso manifesto sulla partecipazione attiva, contro la dittatura dei politici e le prepotenze dei governi.
Il volume contiene la traduzione di tutti gli scritti filosofici e teologici di Nicolò Cusano (1401-1464) e la prima versione italiana dei suoi più importanti scritti matematici. La traduzione, condotta sul testo dell'edizione critica curata dall'Accademia delle Scienze di Heidelberg, è corredata di note esplicative, che illustrano tutti i riferimenti contenuti nei testi e le loro fonti, sia dirette sia indirette, e di un ampio e accurato commentario sistematico, mentre il saggio introduttivo ripercorre i temi fondamentali del pensiero e dell'opera di Cusano.