In questo saggio, al classico approccio della ricerca di punti di contatto, formali o semantici, del sistema sacrificale israelitico con le prassi sacrificali e le sottostanti concezioni dei popoli dell'Antico Vicino Oriente, si affianca un'ulteriore e, soprattutto, nuova chiave interpretativa, che evidenzia come in una qualche forma nei vari sacrifici, fatte salve le peculiarità di ognuno di essi, si riverberasse e si prolungasse la celebrazione della Pasqua e del sacrificio pasquale.
Daniel Meurois, amatissimo "viaggiatore astrale" che dal 1980 attinge alle Memorie dell'Akasha per restituirci con autenticità le testimonianze delle grandi anime del passato, intraprende un percorso eccezionale: raccontarci integralmente la vita di Gesù, anche nelle sfaccettature meno note, ove non del tutto sconosciute; i primi trent'anni della sua vita, gli studi presso gli Esseni, il viaggio di diciassette anni che lo conduce fino all'Himalaya e poi in Egitto, alla Grande Piramide, dove diventa a tutti gli effetti il Cristo. Un viaggio emozionante, che metterà in discussione le nostre certezze e che verrà molto amato da chi ricorda con entusiasmo uno fra i più straordinari libri di Daniel Meurois scritto in collaborazione con Anne Givaudan trent'anni fa: "L'altro volto di Gesù". La vita e la forza spirituale delle comunità essene in cui era nato e cresciuto il giovane Gesù, poi partito per un lungo viaggio iniziatico prima di fare ritorno, già adulto, in Palestina. Qui è il viaggio stesso che ci viene svelato, una sorta di percorso di formazione a cui Gesù si sente chiamato, sulle tracce delle sue precedenti incarnazioni ma anche a confronto con le grandi religioni orientali, da cui, a volte, trarrà spunto.
Chi è l'uomo di fede? Quali sono le sue prerogative e i suoi ambiti di azione? Che significato ha il suo destino solitario? La persona credente è ineluttabilmente sospesa tra individualità e comunità; tra le esistenze diverse - eppur entrambe necessarie -dell'homo faber e dell'homo religiosus; tra cosmo e Rivelazione; tra "natura" e "alleanza"; tra pensiero scientifico e intimo dialogo con Dio. Che ne è di un simile essere umano nella società contemporanea? E destinato, sconfitto, a ritrarsi da essa oppure a svolgere, come sempre è accaduto, un ruolo insostituibile, anche se arduo e spesso incompreso, nel mondo degli uomini? Un gigante dell'ebraismo del XX secolo, il rabbino e pensatore di origine lituana Joseph Dov Beer Soloveitchik, in questo suo scritto si è lungamente interrogato al riguardo, decostruendo la sua contemporaneità e anticipando i tempi presenti. L'uomo di fede è dunque destinato ad essere ancora nostro contemporaneo, nonostante il suo ruolo e la sua missione siano oggi divenuti forse più complessi che in epoche passate. Anche preghiera e profezia restano "fatti" attuali, forme diverse ma convergenti dell'inesausto dialogo tra l'essere umano e Dio, in cui l'individualità della singola persona necessita imprescindibilmente di una comunità orante, scaturente dall'Alleanza e da quest'ultima sempre definita. "La solitudine dell'uomo di fede" è un capolavoro della produzione spirituale e filosofica del Popolo di Israele nel corso del XX secolo, sinora inedito in Italia. La riflessione etica kantiana e, successivamente, della Scuola di Marburgo, l'esistenzialismo cristiano di Kierkegaard e il pensiero dialogico di Buber trovano sì eco nelle pagine di Soloveitchik, ma sono destinati a restare sullo sfondo, come le note basse suonate dalla pedaliera di un organo. La chiave di violino, entro cui si orienta e si dipana la partitura della riflessione di questo rabbino, è invece posta dalla vivente tradizione religiosa di Israele: la Bibbia e il Talmùd, la Halakhah e la Haggadah.
La tesi di un antisemitismo filosofico in Heidegger, tornata in voga con la pubblicazione dei Quaderni neri a cura di Peter Trawny, appare per nulla innovativa se si tiene conto delle precedenti campagne diffamatorie condotte da Victor Farias e Emmanuel Faye e si entra nel merito dei testi heideggeriani. In questa analisi ci guida Francois Fédier - con saggi scelti, frutto di un ventennio di studi su Heidegger e la questione ebraica, e un'intervista inedita di Stefano Esengrini - mostrando la marginalità del pensiero politico heideggeriano, nelle sue cadute e rettifiche, rispetto alla grandezza speculativa del filosofo. Heidegger va compreso alla luce dell'analitica del Dasein: l'esserci che è condiviso da tutti gli uomini ed è agli antipodi di una ideologia della razza, essendo l'apertura originaria che ci precede ma in nessun modo predestina. Un'apertura che si svela in maniera peculiare nell'opera d'arte.
Il nostro rapporto con il futuro, inteso come accesso alla vita vera, e al centro dell'opera di Jacob Taubes (1923-1987), uno degli autori più rappresentativi del pensiero ebraico del Novecento. Filosofo, teologo ed esegeta, Taubes assume il messianismo apocalittico come chiave per leggere la storia occidentale, a partire dalla testimonianza di Paolo di Tarso. La redenzione dal male e dalla morte non viene pero rinviata a un avverare posto fuori dalla storia poiché piuttosto inizia nel presente in modo imprevisto, interrompendo l'andamento consueto del corso del mondo. Questa possibilità di liberazione non è immaginabile come un hollywoodiano lieto fine, poiché piuttosto vibra già nell'attesa delle generazioni passate e nasce ogni giorno nell'azione efficace di chi, invece del potere, sceglie la giustizia, la sollecitudine per gli altri e l'amore politico. Il pensiero di Taubes, che questo libro presenta e discute evidenziandone la fecondità, sa restituire il senso del futuro a una società che si crede senza alternative.
È possibile esporre e comprendere l'etica ebraica 'stando su un piede solo' ossia in poche e semplici formule? Non è piuttosto il giudaismo un cammino lungo e complesso, e dunque anzitutto halakhà, un insieme di norme tese a santificare la vita quotidiana e a rafforzare un'identità di popolo? Quali sono i nessi tra la sfera etica, di sua natura universale, e la sfera delle pratiche simbolico-rituali, che caratterizzano e rendono particolare lo stile di vita ebraico? Cosa dice poi il pensiero rabbinico in merito all'etica del lavoro, o sulle attuali urgenze ecologiche, sull'esercizio del potere, sulla difesa dei diritti umani? In queste pagine la delicata questione del rapporto tra etica e halakhà viene indagata alla luce degli antichi dibattiti rabbinici fino alle discussioni contemporanee passando naturalmente attraverso la grande lezione etica di Maimonide. Uno studio affascinante e impegnativo, guidato dalla stella polare della giustizia, secondo il dettame della Torà: "La giustizia, la giustizia seguirai" (Deuteronomio 16,20).
L'archivio di Babatha - piccola possidente giudea vissuta agli inizi del II sec. d.C. - è costituito da documenti in greco, aramaico e nabateo. Al momento della scoperta nei primi anni 60 del secolo scorso, i documenti si trovavano nella borsa che Babatha aveva portato con sé in un antro del Deserto di Giuda, ove si era rifugiata e aveva trovato la morte nei torbidi connessi con la rivolta di Bar Kokhba (132-135 d.C.). Principalmente inerenti a transazioni economiche e alle vicende legate alla tutela del figlio Yehudah, i documenti consentono uno sguardo unico sulla vita della donna e sui conflitti della società in cui visse, travagliata da profonde trasformazioni giuridiche e amministrative, come anche sociali e culturali. Alla traduzione in italiano dei documenti dell'archivio e del contratto matrimoniale di Babatha, il volume affianca i testi originali in greco e aramaico, preceduti da un'introduzione approfondita in cui si presenta l'origine e il contesto della scoperta, lo stato degli studi, le caratteristiche dell'archivio e dei singoli documenti alla luce delle indagini.
Nato ad Amsterdam nella prima metà del Seicento, Mošèh Zacuto trascorse gran parte della propria vita in Italia, prima a Venezia e poi a Mantova, dove rimase fino alla morte nel 1697. Rabbino, cultore della mistica ebraica (la cosidetta cabbalà), esperto di giurisprudenza talmudica e finissimo poeta, la sua figura riassume i diversi poli geografico-culturali che costituirono l’esperienza ebraica della prima età moderna. Autore prolifico, Zacuto ha lasciato un’opera imponente e variegata, tuttora in parte manoscritta. Al suo periodo italiano risale anche la composizione del Toftèh ‘arùkh (L’inferno allestito), un lungo poema drammatico dedicato alla descrizione, in accesi toni coloristici, dell’oltretomba ebraico e delle pene che attendono i malvagi nella gehènna. Scritto in un linguaggio di straordinaria complessità e macabra suggestione, traboccante di astrusi riferimenti cabbalistici, L’inferno allestito si proponeva in realtà scopi didascalici e di moralizzazione, assai simili a quelli perseguiti, in ambito cristiano, dalla vibrante oratoria sacra di epoca controriformista. Vagamente ispirato all’Inferno dantesco, il poema di Zacuto si collocava alla confluenza tra la cultura ebraica tradizionale e le tendenze letterarie e intellettuali europee, contribuendo a consacrarne l’autore tra i più alti esponenti della poesia ebraica di età barocca.Il volume è curato da Michela Andreatta che insegna lingua e letteratura ebraica presso la University of Rochester negli Stati Uniti. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Gersonide, Commento al Cantico dei Cantici nella traduzione ebraico-latina di Flavio Mitridate. Edizione e commento del ms. Vat. Lat. 4273 (cc. 5r-54r) (Olschki, 2009).
I primi versetti della Genesi costituiscono da sempre un'arena di scontro per esegeti, filosofi e mistici. Tutto ruota intorno all'oggetto d'indagine della teodicea, quella branca della teologia che studia l'origine del male: si tratta di una realtà presente nella creazione e addirittura in Dio? Preesiste al bene, così come le tenebre preesistono alla luce? È una scorza dura che protegge un frutto succoso dagli attacchi di chi lo vuole distruggere? In antichi testi ebraici si legge che Satana fu il primogenito di Dio, o che il primogenito di Adamo, Agrimas, potenza primordiale malvagia, prese in moglie una lilit, una demonessa, la quale gli generò novecentomila figli che avrebbero invaso il mondo e imposto la loro supremazia se non fosse intervenuto Matusalemme a sterminarli con una spada magica. La storia della generazione del male da un principio positivo appare già nel IX secolo in un passo del vescovo Agobardo di Lione, dove si attribuisce agli ebrei la credenza in un Dio il quale, seduto sul suo trono sorretto da quattro bestie in una sorta di grande palazzo, «fa pensieri superflui e vani che, data la loro inanità, si trasformano in demoni» – una formulazione destinata a riverberarsi in molte forme della tradizione cabbalistica medioevale. Basandosi sull'analisi di testi perlopiù ignoti, ignorati o fraintesi dalla ricerca contemporanea, Moshe Idel indaga in pagine dense e coinvolgenti i processi che portarono all'adozione nel giudaismo di tradizioni dualistiche iraniche o gnostiche e all'elaborazione di gerarchie ontologiche in cui i due princìpi opposti di bene e male sono comunque intesi come entità subordinate al loro creatore. E solo di rado il male appare in forme diaboliche, perché in fondo esso deve la sua vitalità alle scintille di Dio che vi si trovano incluse, senza le quali sarebbe incapace di agire o addirittura di esistere.
Il volume mette a disposizione del lettore italiano tutte le preghiere recitate ogni giorno dagli ebrei che seguono il rito sefardita o spagnolo, integrate dalle varianti del rito italiano e, parzialmente, di quello ashkenazita o tedesco.La ricchezza dei testi è già di per sé prova inconfutabile di come la preghiera costituisca l'anima d'Israele, in quanto popolo eminentemente sacerdotale. Nei suoi testi liturgici si rispecchiano il pensiero, la consapevolezza dell'elezione divina, le speranze, l'intero mondo spirituale.La preghiera quotidiana d'Israele si suddivide in tre momenti obbligatori che, in tutti i riti ebraici, scandiscono la giornata: la preghiera del mattino, la più ampia della liturgia giornaliera, la preghiera del pomeriggio e la preghiera della sera.A questi tre momenti si aggiungono le preghiere che si consiglia di recitare individualmente appena prima del riposo (un po' come la compieta della tradizione cristiana) e soprattutto le benedizioni che, in varie occasioni, devono essere recitate in lode al Signore. Tra esse emerge per rilevanza la «Benedizione per il pasto», obbligatoria ogni volta che la famiglia si riunisce attorno alla mensa.
Raccontando la lunga storia dell'odio verso gli ebrei e le sue metamorfosi fin nella contemporaneità, Taguieff delinea un panorama, articolato e documentato, della "giudeofobia", termine che predilige rispetto a quello largamente diffuso, ma a suo parere ambiguo e fuorviante, di "antisemitismo". Dall'antiebraismo religioso cristiano al moderno antisionismo radicale, dalla giudeofobia antireligiosa dell'Illuminismo a quella anticapitalistica e rivoluzionaria del socialismo delle origini, dall'antisemitismo in senso stretto, razziale e nazionalistico, alla "demonizzazione dello Stato d'Israele", l'autore traccia la genealogia e la tipologia di pregiudizi, comportamenti, pratiche, ideologie e modi di pensare che continuano ad alimentare il mito negativo dell'"ebreo".
"L'ebraica parola Cabala vuol dire tradizione ricevuta; e con essa i Rabbini indicano la legge tramandata oralmente agl'Israeliti fin dagli antichissimi tempi. Più particolarmente poi questa parola è riservata a quel complesso d'insegnamenti mistici o ascetici, che dirigono gl'Israeliti nelle loro preghiere e nelle loro meditazioni. Il più splendido maestro di Cabala fu nel secondo secolo dell'era cristiana il Rabbino Simeone Ben Yohhaï: e le sue lezioni vennero raccolte nel libro intitolato 'Zohar', che vuol dire chiarezza. Dal 1843 il Dott. Franck nel suo libro 'La Kabbale' pretese di mostrare che i cabalisti ebrei son tutti panteisti, e che il fondo della Cabala è il panteismo; e ciò per procacciare a questo sistema un sostegno non dispregevole. Nel libro del signor Drach, orientalista insigne, si dimostra evidentemente che quell'imputazione è onninamente falsa, e che essa potè essere sostenuta dal Dott. Franck, perché in luogo di ricorrere ai testi ebraici più accreditati dei libri cabalistici, ricorse a tradizioni errate e a citazioni difettose. Questo opuscolo del Dott. Drach nella sua brevità ha grande forza di raziocinio, e suppone una conoscenza profonda della lingua e della erudizione ebraica."