Talvolta si coltiva un'immagine della preghiera come astrazione dal mondo che consente di entrare nei cieli rarefatti della mistica e incontrarvi l'insondabile mistero divino. Le cose, almeno per la preghiera cristiana, non stanno così: i salmi, che ne sono il modello, lo dimostrano con suggestiva sovrabbondanza. Questi centocinquanta componimenti poetici ci parlano di uno stare ?davanti a Dio' fatto dei molteplici toni e colori dell'esperienza umana, di quella terra con cui sono impastati i figli di Adamo. I registri che risuonano nei salmi sono infatti quelli della lode, del ringraziamento, della benedizione, ma insieme anche quelli della domanda smarrita, dell'invocazione e perfino dell'invettiva. I salmi ci insegnano a superare il mutismo dei nostri sentimenti nel colloquio con Dio, offrendoci una sorta di lessico e di grammatica della preghiera. La verità dell'esperienza umana, con tutte le sue durezze e i suoi interrogativi senza risposta, non viene mai dissimulata attraverso quella prospettiva spiritualizzante o edificante che sempre fa tornare i conti della vita. Nello stesso tempo, i salmi attestano che questi molti modi di stare davanti a Dio sono accomunati da una radicale, e talvolta nuda, fiducia in lui. La tensione così disegnata è all'origine del fascino che queste preghiere tutt'oggi continuano a esercitare. Bruno Maggioni nei suoi rapidi commenti al libro dei salmi mostra di essere in piena sintonia con lo spirito che li anima. Questi sobri suggerimenti di lettura conducono fino alla soglia del salmo. Tocca al lettore varcarla.
La tradizione ebraica presenta la storia di Abramo come una serie di dieci prove divine che gli consentono di apprendere l'obbedienza e di diventare un uomo di fede. Questo disegno, che non emerge direttamente dal testo della Genesi, ma prende forma nel midrash, indica un elemento fondamentale della narrazione biblica: la presenza di YHWH in tutto il percorso del patriarca, da quando lascia la sua terra fino all'incontro sulla montagna del sacrificio.L'esegesi classica non avrebbe mai colto questa costante dal momento che affida gli elementi unificanti della storia di Abramo al filo rosso delle due grandi promesse divine che riguardano la discendenza e la terra. In realtà, ciò che unisce profondamente gli episodi a volte diversi di questa storia è il rapporto che YHWH intesse pazientemente con Abramo; è al cuore di questa relazione che il patriarca acquisisce gradualmente la sua consistenza umana e spirituale apprendendo il significato della spoliazione.
«Lungo i fiumi di Babilonia...»: è questo il celebre inizio del Salmo 137, intriso di una nostalgia che attraversa i secoli e coinvolge tutti gli esiliati, protesi verso la terra che hanno dovuto abbandonare o da cui sono stati cacciati. Ha ispirato il superbo coro "Va' pensiero", caro al Risorgimento italiano, intonato dagli ebrei prigionieri nel terzo atto del "Nabucco" di Verdi. In modo più letterale, è all'origine dell canzone rasta "Rivers of Babylone", resa celebre dai gruppi The Melodians e Boney M, e poi ripreso da Jimmy Cliff e Liz McComb.La terra promessa, perduta e ritrovata, è certamente uno degli elementi essenziali del grande intreccio della Bibbia. C'è la terra nella sua accezione più ampia, quella di cui il libro della Genesi racconta la creazione ad opera di Dio. C'è la terra particolare promessa ad Abramo e data al popolo di Israele, un luogo dove «scorrono latte e miele», ma sul quale è stato versato anche tanto sangue.
Nella linea di ricerca inaugurata con Storia e ideologia nell'Israele antico e proseguita poi con Mito e storia nella Bibbia, il nuovo volume di Giovanni Garbini raccoglie una serie di contributi recenti, in parte inediti, dedicati alla storia e alla cultura dell'Israele antico e ai loro sviluppi fino agli albori del cristianesimo. Preceduto da pagine che si muovono nell'ambito biblico dai primi capitoli della Genesi a profeti come Michea e Isaia, passando per i libri storici ai quali si deve gran parte della nostra conoscenza della storia antica di Israele, l'ultimo studio espone la problematica dell'esistenza di un vangelo aramaico di Matteo, di cui parla un celebre nome del secondo secolo cristiano, Papia vescovo di Ierapoli in Frigia. A detta di Garbini l'interesse di questo vangelo attribuito a Matteo - e scritto nella lingua parlata da Gesù stesso - sta nella straordinaria importanza che sotto il profilo sia cronologico sia letterario esso riveste per l'affermazione della forte componente giudaica che nei primi decenni del movimento cristiano venne a contrapporsi al filone più propriamente messianico che predicava l'imminenza del regno di Dio.
«Ricordare» è uno degli imperativi fondamentali della coscienza credente. Da questo punto di vista, il Salterio costituisce il tesoro di preghiera dell'Israele credente e anche uno dei repositori della sua memoria. Come si articola, nei salmi, il rapporto tra memoria e preghiera? Come l'esigenza del ricordare ha plasmato la selezione e la forma poetica di questi testi? Lo studio cerca di offrire una risposta a queste domande analizzando il terzo libro del Salterio (Sal 73-89) e, in particolare, al suo interno, uno dei più importanti «salmi della memoria»: il Sal 78. Dall'analisi emerge come il ricordo costituisca uno degli elementi portanti della preghiera e della scrittura dei salmi, dato che la relazione stessa di alleanza tra Dio e il popolo - e le relazioni tra i membri che lo compongono - viene rappresentata come una «comunità di memoria», forgiata dalla lotta contro la tendenza umana all'oblio e dall'esperienza oscura del venire dimenticati da Dio.
Il discorso della montagna non dà risposte rassicuranti, a buon mercato, ma pone domande decisive, nel rispondere alle quali viene interpellata da cima a fondo la nostra condotta di vita. Tradurre per il nostro presente il discorso tenuto da Gesù in Matteo 5-7 esige grande onestà, richiede cioè che lo si accetti come una spina nel fianco del cristianesimo. La tentazione di "addomesticare" le Beatitudini e le cosiddette antitesi di Gesù, per disinnescarne il potenziale dirompente, è sempre dietro l'angolo. Schockenhoff, noto teologo tedesco studioso di etica, raccoglie la sfida di leggere il testo in modo rigoroso e credibile, cercando di applicarne le sollecitazioni esigenti alle sfide etiche del presente - nell'ambito privato dell'esistenza personale, nella convivenza sociale degli uomini e nella cooperazione tra i popoli nel sistema internazionale degli stati.
In un celebre passo il profeta Ezechiele parla del cuore dell'uomo come di un cuore che si è fatto "di pietra": immagine efficace che, come quella Kantiana "dell'albero storto", dice l'alienazione dell'umano fallito nella sua vocazione ad amare. Dio non si rassegna a questa alienazione e, attraverso la stessa voce profetica, promette: "Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne" (Ez 36,26). Partendo dal termine "cuore", Armido Rizzi accompagna il lettore alla riscoperta affascinante di questa categoria intesa come coscienza etica interpellata dal bene-bontà o benevolenza, e ricostruisce l'originale e paradossale movimento ternario dell'antropologia biblica dell'alleanza: dalla "costituzione del cuore" alla sua "pietrificazione" e dalla sua pietrificazione alla sua "spietrificazione" o risurrezione.
Combinando narratologia e metodo storico-critico, in queste pagine Daniel Marguerat offre nuove chiavi di lettura e ripensa consolidate ipotesi interpretative sull'apostolo Paolo. Ma innanzitutto affronta la questione della triplice, parallela ricezione dei suoi scritti, della sua biografia e della sua figura di primo teologo della chiesa lasciandosi alle spalle i paradigmi contrapposti della continuità e della rottura. «Ogni fenomeno di ricezione implica coerenza e cambiamento, continuità e rottura nei confronti dell'origine. Quand'è che la ricezione di Paolo abbandona la coerenza per rompere con il suo modello al punto di tradirlo? L'esegeta non può sottrarsi alla domanda, ma può rispondervi a due condizioni: verificare la propria conoscenza di chi fu realmente Paolo e riconoscere la necessità e la legittimità del fenomeno della ricezione.» (Daniel Marguerat)
La dottrina del peccato originale, che l'autore di questo libro dimostra essere radicata nel testo biblico, ci pone di fronte a una sorta di logica disgiuntiva: o siamo condannati per i nostri propri peccati (e il ruolo di Adamo perde la sua rilevanza), oppure siamo condannati per il suo peccato (e appare allora difficile cogliere la logica del trasferimento della sua colpa).
L'enigma di questa condizione non ci deriva da concezioni antiche e superate ma è un fatto che ci accompagna e si manifesta quando guardiamo all'esperienza della vita degli uomini. Il nostro mondo è segnato dalla presenza del male in forme che richiamano sia una sua incomprensibile propagazione lungo le generazioni sia la nostra volontaria adesione.
In questo libro l'autore è in grado di argomentare a favore della dottrina biblica passando attraverso l'intreccio della teologia storica, della teologia biblica e di quella sistematica, per giungere alla fine a conclusioni fresche ed elaborate alla luce della Scrittura.
«Questo libro deve essere letto e meditato con grande cura» (D.A. Carson).
Che cosa significa precisamente studiare Gesù di Nazaret e il suo movimento secondo una prospettiva storica? La storia è una via efficace per comprendere uno dei personaggi più affascinanti e influenti di tutti i tempi? Cosa ci si può attendere dallo studio storico della figura di Gesù? Qual è il rapporto tra fede e storia? Questi gli interrogativi ai quali il volume intende dare una risposta. Le voci di alcuni dei migliori specialisti del settore si alternano a presentare un'esposizione documentata e sintetica dei risultati della ricerca su Gesù, attraverso l'analisi delle fonti, spiegando i termini del dibattito in corso in Italia e difendendo con passione e rigore le ragioni del metodo storico.
Il nostro intento è di valorizzare il Messianismo con Messia, e non un generico Messianismo, più o meno senza Messia, come si è talvolta presentato, che implica una "salvezza in genere", presente o futura, certamente presente e determinante nella Bibbia, ma che non designa il carattere messianico in qualche modo personale, e, per noi cristiani, cristologico del testo sacro.