Chi è il Cristo per Teresa? A partire da questa domanda viene tentata una proposta di riflessione teologica, quale chiave di interpretazione del vissuto esperienziale di Teresa in cui il Cristo, Verbo incarnato glorioso, appare come unico protagonista. Dopo una ampia e articolata introduzione che mette in luce il percorso della mistica di Avila e la caratteristica peculiare della sua spiritualità, vengono presentati i brani significativi al riguardo, tratti da tutte le opere di Teresa. In otto capitoli (la ricerca di Dio, il cammino di Teresa, la sua esperienza, nell'eucaristia, cristologia riflessiva e sponsale eccetera), i testi di Teresa rivelano la sua aspirazione a conoscere Gesù Cristo, che percorre tutta la sua esistenza storica e teologica: attenzione concreta continua e contemplazione mistica, nel riconoscimento dei favori e delle rivelazioni di Gesù.
La locuzione latina Noli me tangere ("non toccarmi, non trattenermi") evoca un episodio del vangelo di Giovanni, l'appello che Gesù rivolge a Maria Maddalena subito dopo la risurrezione. La frase evoca un divieto di contatto, un ritrarsi, una fuga impaurita o pudica. In nessun altro momento Gesù ha vietato o rifiutato di essere toccato. Qui, al mattino di Pasqua e nel momento della sua prima apparizione, egli trattiene o previene il gesto di Maria Maddalena. Nell'episodio, i pittori hanno saputo cogliere non la visione estatica di un prodigio, ma un intreccio delicato, intessuto tra il visibile e l'invisibile, dove ciascuno chiama e respinge l'altro, ciascuno sfiora l'altro e lo allontana da sé.
In continuità con le istanze espresse dal Concilio Vaticano II e in ascolto delle sollecitazioni di Papa Francesco, i docenti della Sezione San Luigi della Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale si interrogano sulla rilevanza dell'umano come luogo di incontro con Dio in Gesù Cristo, in vista del prossimo Convegno Ecclesiale di Firenze sul nuovo umanesimo. Filosofia e Teologia costituiscono vie privilegiate per la comprensione dell'umano nella misura in cui non pretendono di partire da definizioni statiche e astratte, ma interrogano l'esperienza e la storia in cui Dio stesso ha posto la sua dimora. Intenzionalità della coscienza, esercizio del discernimento, riconoscimento della presenza di Dio nelle ferite dell'umano, ascolto e interpretazione dei dialoghi di Gesù, scoperta del volto divino-umano della Chiesa costituiscono piste di riflessione per riconoscere in Gesù Cristo la pienezza dell'umano e nell'uomo l'efficacia della presenza di Gesù Cristo. Un invito a leggere in modo non ingenuo la complessità del presente e al tempo stesso una provocazione a riconoscere i segni dei tempi senza cedere a fughe collaterali o letture dimissionarie.
Un approfondimento storico-teologico sulla figura di Gesù.
La risurrezione corporale di Gesù dai morti, in quanto operata dal Dio di Israele, esula dal campo d’indagine della scienza storica ed è, per conseguenza, un’ipotesi di per sé scientificamente indimostrabile. Ma non per questo si tratta di un’ipotesi irrazionale, né in contrasto con la scienza.
Come fare teologia e verso dove orientare la conoscenza sapienziale del mistero di Cristo? Due domande sottese alle riflessioni proposte in questo saggio, frutto del cammino che la comunità teologica della Facoltà San Bonaventura di Roma cerca di percorrere accogliendo la sfida della post-modernità. Il testo percorre una via che dal metodo da seguire nel fare teologia, conduce alla teologia come sapienza dell'amore che cerca di gustare anche affettivamente il mistero di Dio. Perché la teologia è anche bellezza, fascino, sorpresa e gioia! Un'analisi che indica alcune strade o sentieri per entrare nel cuore e nella vita dell'uomo di oggi e rendere la teologia una sapienza capace di attrarre e appassionare.
All’inizio del cap. 20, il testo giovanneo presenta una dettagliata descrizione della visita compiuta alla tomba di Cristo da parte di due suoi discepoli, Pietro e «il discepolo che Gesù amava» (cfr. Gv 20,3­10). Questo racconto, che può senz’altro essere definito l’ultimo evento storico della vita di Gesù Cristo, riporta alcune informazioni determinanti per la decisione che prenderà il giovane discepolo che accompagna Pietro. Infatti, dopo l’attenta verifica dello stato della tomba in cui era stato sepolto Gesù fatta dai due discepoli, il testo afferma con decisione che «il discepolo che Gesù amava» «vide e credette» (Gv 20,8). Cosa ha visto il discepolo? Non certamente il Risorto. Da questo punto di vista egli sta vivendo la stessa situazione vissuta da ogni credente la cui beatitudine viene proclamata in Gv 20,29, in quanto crede senza vedere il risorto. Ma se il credente in Cristo crede sulla base della testimonianza dei primi discepoli, «il discepolo che Gesù amava» crede alla vista delle tracce rinvenute nella tomba.
Cogliere il pensiero di Lonergan in evoluzione, significa inserirlo nel più ampio contesto dell'attuale sviluppo, o crisi che dir si voglia, della teologia. Basti accennate a problemi quali: i rapporti tra esegesi e teologia; qual è l'impatto della modernità sulla teologia; l'importanza delle categorie "storia" e "storicità" e la loro connessione con il carattere trascendente della verità; l'ecumenismo e il dialogo con le grandi religioni. Il filo rosso che lega tutti questi discorsi è sempre la cristologia, che Lonergan ha insegnato e sulla quale è spesso tornato, ma che non ha mai concluso con un lavoro di sintesi. Forse perché era un cantiere troppo vasto per essere racchiuso in una sola opera.
Questo volume propone una raccolta di scritti di p. Daniel Ols, alcuni dei quali finora inediti, elaborati nel corso di una quarantina d'anni. I contributi toccano diversi ambiti della teologia: cristologia, teologia morale, teologia dei sacramenti, ecumenismo, mariologia. Personaggio centrale di questa raccolta è san Tommaso d'Aquino, sul cui pensiero l'autore ha imperniato il proprio insegnamento e la propria ricerca, auspicando di portare in tal modo qualche contributo a una migliore conoscenza e a una più vasta diffusione della sua dottrina, al fine di indicare e illustrare, specialmente in un momento di crisi come quello attuale, una via sicura a coloro che si mettono in cerca della verità. Alcuni testi sono in italiano, altri in francese.
Con questo scritto proverò ad evidenziare le ragioni che inducono la Chiesa cattolica a ritenere l'arte religiosa e sacra, anche nel XXI secolo, un testimone credibile del Vangelo. Attraverso la ricostruzione storica dei primi secoli del Cristianesimo, metterò in luce l'impegno profuso dalla Chiesa nel salvaguardare le sacre immagini e nel promuoverne la diffusione e la venerazione. Particolare attenzione sarà dedicata all'attività artistica dei primi iconografi che, con ammirevole dedizione, si dedicarono alla ricerca, alla fedele riproduzione e alla trasmissione dei lineamenti autentici del volto di Cristo. Infine utilizzerò alcune opere d'arte religiosa come strumento di riflessione e catechesi.
Stampata per la prima volta a Napoli nel 1768, la Pratica di amar Gesù Cristo entrò presto a far parte di quelle opere che, nella trattazione dell'amore di Dio, si sono acquistata una fama classica nella letteratura cristiana. Accanto agli scritti di Bernardo, Alberto Magno, Bonaventura e Francesco di Sales, quest'opera gode di una popolarità pressoché ecumenica. Tradotta nelle principali lingue, è stata ristampata più di cinquecento volte nel giro di duecento anni, a testimoniare l'ininterrotto interesse da parte dei lettori di tutto il mondo.
Se è facile comprendere l'umanità di Gesù, ben più controversa è l'accettazione della sua divinità, una fede che nasce nel mondo religioso del giudaismo ed e presente, secondo categorie proprie, nei testi del Nuovo Testamento.
Questo studio, che propone un approccio essenzialmente storico critico, scarta l'idea di un uomo divinizzato dai suoi seguaci è ritenuta da escludere nell'ambiente giudaico in cui e nata la prima comunità cristiana - e focalizza l'attenzione sui titoli con cui egli presenta se stesso. Le parole e l'attività del Gesù pre-pasquale rivelano infatti una coscienza relazionale (filiale in rapporto a Dio, pro-esistente in rapporto all'uomo) e funzionale, cioè consapevole di un mandato unico nella storia della salvezza.
L'unanime testimonianza degli scritti neotestamentari svela l'orizzonte di un Gesù «innestato in Dio», non uomo divinizzato né altro Dio accanto a YHWH, ma volto del Dio unico nella sua realtà di comunione.
Che significato ha il tutto? Noi guardiamo stupiti ai segni della morte a cui in precedenza non avevamo mai prestato attenzione e sorge il sospetto che l'intera vita propriamente sia solo una variazione della morte; che noi siamo ingannati e che la vita propriamente non è un dono, ma una pretesa. E allora si presenta questa oscura risposta: Dio provvederà. Una risposta che suona più come una scusa che come una spiegazione. Dove questa opinione s'impone e il riferimento a "Dio" non è credibile, lo humor muore; l'uomo non ha più nulla da ridere, e resta solo un crudele sarcasmo o quella irritazione contro Dio e il mondo che noi tutti conosciamo. Ma chi ha visto l'agnello - Cristo in croce - sa: Dio ha provveduto. Il cielo non viene squarciato, nessuno di noi ha scorto "gli invisibili santuari della creazione e i cori degli angeli". Tutto ciò che possiamo vedere è - come per Isacco - l'agnello, del quale l'apostolo dice che "fu predestinato già prima della fondazione del mondo" (1 Pt 1,20). Ma lo sguardo sull'agnello - sul Cristo crocifisso - ora coincide proprio con il nostro sguardo sull'eterna provvidenza di Dio. In questo agnello tuttavia intravvediamo lontana, nei cieli, un'apertura; vediamo la mitezza di Dio, che non è né indifferenza né debolezza, ma suprema forza. In questo modo e unicamente in questo vediamo i santuari della creazione e percepiamo in essi qualcosa di simile al canto degli angeli, possiamo addirittura cantare un po' insieme nell'alleluia del giorno di Pasqua.