
"Lady non stop è un taccuino di bordo, un libro di viaggio, un'odissea tra il degrado, la miseria, la violenza, la morte, nell'Africa depredata, nell'Asia vittima delle sue terribili contraddizioni, nel Sudamerica incapace di fare giustizia con le sue immense ricchezze, ma anche nell'Europa contemporanea e tra i nuovi poveri di un'Italia che è riuscita a sedersi al tavolo dei paesi più ricchi, e tuttavia non è stata capace di eliminare le sacche di miseria.
Un periplo, dunque, alla ricerca degli "ultimi" da aiutare ma, anche, alla scoperta di se stessi, nel desiderio di trovare una strada che può portare fino al "senso della vita".
Le persone che ho imprigionato in questo libro, come fossero fotografie - io sono una fotografa -, sono persone che oggi posso solo ricordare e altre che ancora confortano, con la loro stessa presenza, i miei giorni. Sono le persone che ho incontrato nei miei viaggi e nelle mie missioni: mi hanno aiutato nel servizio umanitario o hanno contribuito alla formazione della mia personalità.
La mia tensione umanitaria si è accresciuta quando mi sono persuasa che la solidarietà è fondamento imprescindibile della pace e dello sviluppo globale, e non può più essere intesa semplicemente come sostegno da assicurare ai più poveri. In un pianeta che si è fatto piccolo e interdipendente, nessun paese può chiudersi nel suo egoismo.
Ora, che sono passati sessantasei anni da quando ho cominciato a percorrere la strada che conduce agli "ultimi" in ogni angolo del mondo, si fa in me sempre più pressante l'interrogativo: perché? Perché la ricchezza della terra è nelle mani di pochi privilegiati? Perché ogni giorno muoiono di fame trentamila bambini? Perché ci sono terre incolte e terre che non si vogliono coltivare, mentre due miliardi di esseri umani non hanno da mangiare?
Ho ritenuto di fare la mia parte, per lenire alcune sofferenze, per restituire qualche sorriso ai bambini poveri del mondo. Non potevo certo ardire di pensare che avrei potuto asciugare ogni lacrima, soddisfare ogni bisogno. Eppure, mi sembra di sentire rimorso per quello che non ho potuto fare. Ho davanti a me ancora tempo, non mi farò vincere dalla tentazione di voltarmi indietro. Continuerò a passo svelto il cammino, il popolo dei sofferenti mi aspetta ancora."
Il volume traccia un profilo sintetico quanto informato dell'imperatore normanno-svevo Federico II (1194-1250), una delle figure più discusse del Medioevo europeo. La prima parte è dedicata alla storia politica di Federico, segnata dalla lotta con il Papato e i Comuni; la seconda si occupa dell'uomo, della sua sfera famigliare, dei suoi interessi filosofici e scientifici, e del suo entourage, di cui facevano parte anche studiosi ebraici e arabi; la terza segue la formazione del mito di Federico attraverso i secoli fino ai giorni nostri. Pur essendo un uomo del suo tempo e non, come volle dirlo un grande storico dell'Ottocento, "il primo uomo moderno sul trono", Federico II con i suoi interessi multi-culturali e il suo tentativo di dialogo con il mondo arabo-musulmano, insoliti per un imperatore medievale, affascina ancora oggi.
Hubert Houben insegna Storia medievale nell'Università del Salento a Lecce ed è membro del Consiglio scientifico dell'Istituto Storico Germanico di Roma. Ha pubblicato, fra l'altro, "Ruggero II di Sicilia, un sovrano tra Oriente e Occidente" (Laterza, 1999; Premio Basilicata 2000) e "Normanni tra Nord e Sud: immigrazione e acculturazione nel Medioevo" (Di Renzo, 2003).
A cinquantanove anni, trentotto dei quali trascorsi in cella, Renato Vallanzasca rimane nei ricordi di questo paese, nell'immaginario delle vecchie e delle nuove generazioni, il volto del bandito, l'emblema di una vita criminale "al massimo", l'icona violenta di una città e di un'epoca: l'inquieta e brumosa Milano degli anni Settanta. Di lui tanto si è detto e si è scritto, i contorni della cronaca sono presto sfumati nella leggenda, ed è proprio questo uno dei motivi che hanno portato l'uomo a guardarsi allo specchio, a frugare nel secchio della memoria, a incontrare Carlo Bonini per raccontare una volta per tutte la propria versione dei fatti, "la vera storia di Renato Vallanzasca". L'ex boss della Comasina ha rapinato, ha ucciso. "Per pudore" nei confronti delle sue vittime, spiega, non ha mai chiesto perdono. "Per lealtà con se stesso" e con il suo personale codice d'onore, ha sempre rifiutato di vestire i panni del collaboratore di giustizia. E con lo stesso rigore e la stessa lucidità ricostruisce il suo passato, senza cadere in compiacimenti, facili ipocrisie o repentine e sospette conversioni. È una storia di sangue, quella di Renato Vallanzasca, una storia non priva di sorprese, stravaganze e inediti retroscena, una storia che affonda le sue radici in un'infanzia ribelle, in quella che appare come una precoce vocazione al crimine.
Quando Dalila si mette in ascolto del cuore, ecco che esso le parla d’amore. Le racconta dell’affetto ricevuto e di quello regalato, nel corso di una vita vissuta con intensità, in ogni momento. Dagli innamoramenti giovanili – fatti di slancio e passione – alle relazioni più mature e coinvolgenti della donna divenuta ormai icona del cinema italiano, Dalila sceglie di raccontare le storie, gli incontri, gli affetti più cari di un’esistenza spesa a inseguire quella verità dei sentimenti capace di trasformare ogni giorno in un miracolo d’amore.
Accanto alle vicende vissute in prima persona, Dalila accosta altre voci: frammenti di storie semplici e discrete, confidenze raccolte da amici e conoscenti, noti e meno noti, ma ugualmente rappresentativi di quella grande avventura che è la vita di chi crede all’amore. Il tutto per dare vita al romanzo autobiografico di una scrittrice capace di coinvolgere, emozionare, commuovere.
Per ricordarci che l’amore è più forte di tutto. Sempre.
Senza una lira. Con le scarpe rotte. Armato solo di un diploma da geometra. Animato da un'ambizione bruciante. Così comincia, alla fine degli anni Cinquanta, l'avventura umana e imprenditoriale di Steno Marcegaglia, "lo zappaterra", come lo schernivano i suoi colleghi, che oggi, a 79 anni, è alla guida di un gruppo industriale attivo soprattutto nell'acciaio, e fondatore di un impero, le cui province si estendono dall'Italia al Brasile, alla Cina. Un'infanzia durissima, segnata dalla povertà e dall'abbandono: il padre falegname, emigrato in Eritrea, in cerca di fortuna. Il piccolo Steno, che per la sua insaziabile curiosità viene chiamato "bambino perché", cresce con la mamma che, durante la guerra, si stabilisce a Gazoldo degli Ippoliti, paesino nella provincia mantovana. Qui, nel cuore della pianura padana, assolutamente priva di qualsiasi tradizione siderurgica, nel 1959 Steno Marcegaglia in una sorta di "bugigattolo" comincia a produrre, in società con un amico e con l'aiuto di due operai, guide per tapparelle. Magmatico, eclettico, stravagante, istrionico, generoso, appassionato e intransigente: il ritratto dell'uomo si intreccia con la storia e con l'economia. E poi la storia di Emma, prima donna alla guida di Confindustria; di Antonio, il figlio maggiore, oggi vero e proprio pilastro del gruppo, e della moglie Mira, "la signora", come la chiamano in azienda.
Perso il figlio Christian in un tragico incidente d’auto nel 1991, Dalila Di Lazzaro non si è mai arresa alla sua prematura scomparsa. La sua forza e il suo amore ostinati per il figlio perso, appena ventiduenne, sono stati presto ricompensati, poiché lo stesso Christian ha cominciato a inviarle segni della sua presenza, a partire da una lettera, scritta da una medium, in cui assicurava alla mamma che le sarebbe stato sempre accanto, come uno dei suoi angeli.
Per Dalila ha così avuto inizio una nuova vita, o meglio la vita di prima si è rivelata in tutta la sua pienezza, mostrando la ricchezza di quelle presenze che riempiono l’esistenza di chiunque abbia il cuore e gli occhi aperti per scorgere una dimensione “oltre” la normalità della vita terrena; una dimensione in cui non si è mai soli, in cui ognuno è sempre accompagnato dai propri angeli, custodi fedeli in ogni prova e difficoltà della vita.
Edward W. Said resta tra gli intellettuali più stimati del nostro tempo, per l'importanza dei suoi studi critici ma anche per la coraggiosa militanza in difesa dei diritti umani. Nasce a Gerusalemme nel 1935, erede di una ricca famiglia palestinese cristiana, e conduce i suoi primi studi nel prestigioso Victoria College del Cairo. Il futuro re di Giordania Hussein e Omar Sharif sono tra i suoi compagni. Ma il giovane Edward rifiuta il modello educativo dei cosiddetti Wog (Westernised Oriental Gentlemen) e incoraggiato dal padre, imprenditore ambizioso ed esigente, si trasferisce in un college del Massachusetts. Nel 1948, dichiarato lo stato di Israele, la sua famiglia è espropriata di tutti i beni. Edward decide di combattere per i diritti del popolo palestinese, per uno stato binazionale, laico e democratico. Diventa un rifugiato politico. Vita intensa la sua, brillante ma anche scomoda, segnata dalla sofferta condizione dell'esilio ma anche da una ricchissima esperienza, in bilico tra i luoghi più prestigiosi della cultura occidentale e un Medioriente agitato da ingiustizie e conflitti. Un'autobiografia che contiene l'avventura degli incontri e delle idee ma anche la drammaticità della lotta e dell'esclusione. Al suo apparire, quest'opera ha suscitato un feroce dibattito sui giornali americani, israeliani e inglesi, come a dimostrare che l'infaticabile impegno di Said continua ancora a generare fecondi insegnamenti e inquietudini. Un testamento spirituale.
A Maria Montessori (1870-1952) dobbiamo una nuova comprensione del bambino e un nuovo modo di intendere l'insegnamento e la formazione dei docenti. Il suo famoso Metodo è utilizzato in tutto il mondo e trova echi e riflessi anche dove non viene ufficialmente citato. Maria Montessori è però molto più di questo. Ambasciatrice di pace (fu proposta tre volte per il Premio Nobel), viaggiò instancabilmente in Europa, America e India per annunciare "la scoperta del bambino" e far capire che se si vuole un'umanità migliore è dal bambino che bisogna cominciare, perché il bambino è il padre dell'uomo, è la speranza per il futuro. In questo libro vengono indagati e messi in luce aspetti ancora poco noti della vita della grande pedagogista: le sue lotte per il femminismo e per il diritto della donna al voto, il complesso rapporto con Mussolini e il regime fascista, la pesante contraddizione che non le consentì di tenere presso di sé il figlio Mario, nato da una libera relazione con un collega. Solo a quindici anni Mario potè unirsi alla madre, divenendo il suo miglior collaboratore. E ancora: il rapporto di Maria Montessori con la teosofia e la Società Teosofica, rapporto molto più importante di quanto si sia finora pensato. Un ritratto ampio e completo di una personalità complessa quale è stata Maria Montessori, una donna che ha vissuto appieno la sua epoca, superandola e proiettandosi al tempo stesso verso i tempi moderni.
Questa è la storia di Titan Paul,
il ragazzo dal ginocchio bionico.
Ha avuto paura, in questi mesi:
paura di non farcela. Ma ha imparato
a tener duro. Ha capito che deve
continuare a ridere sfrontatamente
di fronte alle sfighe della vita e a
sognare come ha sempre fatto.
Un giorno farà lo chef
sulle navi da crociera.
NON MOLLARE TITAN PAUL!
Paolo ha appena finito la seconda media quando, nell’estate del 2008, mentre è in campeggio con gli amici, si accorge che qualcosa non va, il suo ginocchio sinistro è gonfio. Una volta a casa gli esami lo mettono di fronte all’ultima cosa che si sarebbe aspettato: ha un osteosarcoma… Cento casi all’anno in Italia: “Ma proprio a me?” Da quel momento cambia tutto: niente basket, niente computer (perché in ospedale non ci si può connettere), niente uscite con gli amici. Paolo capisce di dover mettere in campo una risorsa che non gli manca: un po’ di sfrontatezza; il coraggio di affrontare la “sfiga” tra impegni e distrazioni. Una lotta che decide di raccontare prima in un blog e poi in questo libro. Quattordici cicli di chemioterapia, quattro interventi chirurgici, sfilze di esami e terapie di riabilitazione sono narrati, da questo quattordicenne costretto a maturare troppo in fretta, in presa diretta e con incredibile leggerezza di sguardo. La vita d’ospedale (le sveglie all’alba, i deprimenti menù prosciutto-purè), l’antidoto del gioco (le bische clandestine coi compagni di stanza, le sgommate in carrozzina, gli scherzi dei clown). La paura, lo sconforto, e persino il dolore si possono superare grazie all’affetto di chi gli sta vicino e con la caparbia riconquista di spazi di normalità. Paolo rientra in classe dopo mesi di lezioni a domicilio, torna sui campi di basket a tifare per la sua squadra, esce coi compagni per una pizza. L’antidoto più potente, però, è la sua incredibile volontà di non lasciarsi sopraffare dalla malattia e non rinunciare mai ai propri sogni: vuole diventare un grande chef e lavorare sulle navi da crociera. Insieme alla capacità di andare incontro ai giorni con il sorriso sulle labbra.
Parte del ricavato dei diritti d’autore sarà devoluto all’AIRC, Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro.
Al circolo Parioli di via Tiziano era per tutti "Ascenzietto", il figlio del custode. Eppure, nonostante un'infanzia vissuta sui campi da tennis e in mezzo alla banda di "ragazzacci" di Nicola Pietrangeli e Bitti Bergamo, l'incontro di Adriano Panatta con lo sport che avrebbe segnato la sua vita è stato soprattutto un caso, io volevo fare nuoto, ma i corsi erano già chiusi. "Ti ho iscritto al tennis" mi disse mio padre. "Vabbe"' risposi. Lui ebbe un colpo di genio: prese una racchetta dismessa dal circolo e ne tagliò un pezzo con la sega consegnandomi una racchettina, attrezzo che a quei tempi non esisteva. Poi pitturò una rete sul muro e per terra delle righe che tracciavano un campo, io facevo il resto, immaginando grandi partite, nelle quali, non so come, ero sempre io a battere il muro." Adriano Panatta si racconta, e nei suoi ricordi rivivono il jet set di una Roma che oggi non c'è più, sorniona, fresca e godereccia, e quel tennis anni Settanta di cui proprio Adriano fu inventore, capo cordata, locomotiva. Grazie al suo gioco solare e mediterraneo, che rispondeva per la prima volta al bisogno di stupire e divertire il pubblico, gli italiani scoprirono in massa uno sport che in molti, fino ad allora, consideravano un passatempo per pochi. E fu grande amore.
Di lei credevamo di sapere tutto: dalla nascita a Kiev nel 1903 alla morte ad Auschwitz nel 1942, dall'avventura del manoscritto di "David Golder", inviato anonimo nel 1929 all'editore Grasset, al manoscritto salvato di "Suite francese", apparso nel 2004 e tradotto ormai in trenta lingue. Sbagliavamo: Philipponnat e Lienhardt ce lo dimostrano in questa biografia. Per tre anni, costantemente affiancati dalla figlia di Irène, Denise Epstein, gli autori hanno consultato le carte inedite della scrittrice: la corrispondenza con gli editori come gli appunti presi a margine dei manoscritti, i diari come i taccuini di lavoro. Un'opera che non solo fa risorgere dall'oblio con una vividezza sorprendente le diverse fasi dell'esistenza di Irene (l'infanzia nella Russia prima imperiale e poi rivoluzionaria, la fuga prima in Finlandia e poi in Svezia, la giovinezza dorata in Francia, i rapporti con la società letteraria degli anni Trenta, gli sconvolgimenti della guerra, gli ultimi mesi di vita nel paesino dell'Isère dove si è rifugiata con la famiglia), ma coglie e restituisce tutte le sfaccettature di una personalità complessa, affrontandone senza remore di alcun tipo anche gli aspetti più discussi e contraddittori.