L'italiano perfetto non esiste, e non è mai esistito. L'italiano continua a cambiare: cambia il nostro modo di usarlo, perché cambia il mondo in cui lo usiamo. In pochi anni si è passati dall'epistola all'e-pistola: e-mail, chat, messaggini, social network. E così - per la prima volta nella sua storia l'italiano si ritrova a essere non solo parlato, ma anche scritto quotidianamente dalla maggioranza degli italiani. Giuseppe Antonelli racconta la storia di ognuno di noi: noi che scrivevamo le lettere e oggi scriviamo su Whatsapp. Ci accompagna tra sigle e parole inglesi, tra punteggiatura ed email, tra dialettismi ed espressioni alla moda. Con un tono agile e godibile, ci spiega come si stanno modificando alcuni aspetti della grammatica. Ricostruisce il passaggio epocale dall'italiano all'e-taliano: dai cyberpioneri al salto con l'hashtag, passando per le leggende metropolitane sugli effetti del computer e sulla lingua degli sms. Un libro per tutti: per quelli che "digito ergo sum", ma anche per quelli che quando sentono chiocciola pensano ancora alle lumache.
La linguistica educativa studia le questioni dell’apprendimento e dell’insegnamento della lingua, delle lingue, dei linguaggi e lo sviluppo delle competenze e delle abilità linguistico-comunicative in risposta alle sollecitazioni provenienti dalla società. Il volume ripercorre l’evoluzione storica della linguistica educativa in Italia e ne delinea la posizione rispetto alle altre scienze del linguaggio; propone inoltre una mappa dei problemi e dei temi che incontrano coloro che, operando nella scuola, vivono le questioni dello sviluppo linguistico: i discenti, gli insegnanti e chi definisce le linee dello sviluppo linguistico e comunicativo di una società.
Con garbo nella scrittura e rigore nell'indagine, Gian Luigi Beccaria ci accompagna tra le pieghe delle parole, sottolineando l'elemento permanente di quell'organismo mutevole che è una lingua. Della nostra, rileva il filo rosso dell'eredità classica che ne ha foggiato la consistenza stilistica. Sino a ieri la lingua letteraria procedeva attraverso libri fatti coi libri; ora lo scrittore fa di meno i conti con la tradizione: cinema, televisione, l'oralità, determinano la sensibilità generale verso la scrittura. Si osserva un evidente processo di "mondializzazione", che sembra uniformarsi verso standard universali riconoscibili ovunque. L'autore sviluppa anche il tema della bellezza intrinseca che possiedono le parole "abbandonate", ma soprattutto affronta polemicamente punti chiave della vita civile attuale: gli slogan, il deteriorarsi della vita politica, i problemi della scuola e degli studi umanistici, le nostre provinciali inclinazioni esterofile, la crisi della lettura attenta e consapevole.
"Ragazzi, tutti attenti! Oggi parliamo dei plurali dei nomi composti. Allora, le regole sono troppe e piene di eccezioni. Non ci provate neanche a impararle a memoria. Usate il buon senso e soprattutto un buon vocabolario." Se Massimo Roscia salisse (e non salirebbe) in cattedra, la sua lezione andrebbe (e non andasse) più o meno così. Perché nella grammatica crede fermamente, un po' meno nell'approccio paludato tutto nozioni e casi noiosi. Così ha deciso di svecchiarlo, per dimostrare che le norme possono essere semplici, intuitive e persino amichevoli. Un po' Rodari e un po' Flaiano , passa in rassegna i fondamenti dell'italiano e si diverte a calarli in esempi contemporanei (dai ritmi rap alle serie tv, dai fantasy ai videogame); riprende gli svarioni più comuni (dall'uso maldestro dell'accento all'abuso disinvolto dell'apostrofo) creando giochi promemoria per non essere più indotti in errore; si batte per la salvaguardia delle forme (utili) in estinzione, come il congiuntivo, e invoca il debellamento della pandemia di ciaone e apericena. Sempre all'insegna dell'uso pratico e vivo, perché la lingua è fatta per essere parlata , adattata, modificata, arricchita, cambiata, rivista, aggiornata, corretta, sempre e comunque amata.
Che ne è dell'italiano nel villaggio reso sempre più globale dal web 2.0 e dai social network? Quali sono le strategie che la comunicazione mmtimediale adotta nel parlato e nello scritto? Il volume si sofferma sugli usi dell'italiano che nel periodo recente hanno conosciuto la loro prima diffusione (Internet, smartphone, whatsapp) o un significativo rinnovamento (come la lingua dei politici digitati). Ma gli spunti sono molti: dal cybertesto dei videogame alla lingua della nuova narrativa, della pubblicità, delle fiction tv.
Da agnizione a ofiologia, da scozzone a telestesia, da uranoscopia a zeugma. Tutti, ma proprio tutti i termini che devi sapere: per accrescere la tua conoscenza, diventare un campione a Scarabeo, fare bella figura in società, risolvere qualsiasi cruciverba, stupire gli amici e impressionare i colleghi.
Esprimersi in buon italiano è il miglior biglietto da visita in tante occasioni: a scuola, nel lavoro, negli incontri di tutti i giorni.
Ma che cosa vuol dire usare un linguaggio corretto?
Per rispondere a questa domanda, gli autori hanno raccolto le regole essenziali di un discorso e uno scritto in perfetta forma.
Con semplicità e con l'aiuto di molti esempi, spiegano come mettere gli accenti e la punteggiatura al posto giusto, come evitare le trappole dell'ortografia, come destreggiarsi fra congiuntivi e condizionali.
I due linguisti incoraggiano a adoperare con sicurezza parole nuove o poco frequenti, come avvocata, ministra e altri nomi di professioni al femminile (ancora guardate con diffidenza benché impeccabili dal punto di vista grammaticale) e a tenersi invece alla larga dalle mode e dalle frasi fatte.
E infine smascherano l'artificiosità e l'inutilità di cattivi modelli molto diffusi: il burocratese, l'aziendalese, l'itanglese e lo scolastichese.
Chi li usa dice «effettuare» invece di «fare», chiama «team» il proprio gruppo di lavoro, nasconde i tagli della spesa dietro una spending review e corregge «passare le vacanze » in «trascorrere l'estate».
Dagli studiosi che hanno inventato il modo più efficace e divertente per imparare la grammatica, una guida essenziale all'uso dell'italiano, uno strumento prezioso per abituarsi a parlare e a scrivere in una lingua chiara, piacevole e senza neanche un errore.
La svolta istituzionale e politica del 1946 rinnovò profondamente l'Italia, nel costume, nella cultura e nel linguaggio. Le città erano piene di cumuli di macerie, ma nella pace ritrovata le speranze prevalevano. In quel bisogno di esprimersi, la lingua comune fu chiamata a rispondere a una pluralità di impieghi e registri prima sconosciuta, e così accadde anche ai dialetti. Parte da questa volontà di nuovo la Storia linguistica dell'Italia repubblicana, che si propone di continuare fino all'oggi la Storia linguistica dell'Italia unita dedicata agli anni dal 1861 al secondo dopoguerra. Il libro racconta il quadro delle condizioni linguistiche e culturali del paese a metà Novecento: un paese contadino segnato da bassa scolarità, analfabetismo, predominio dei dialetti. Individua poi i mutamenti di natura economica, sociale, politica e le luci e le ombre di quel che è avvenuto nel linguaggio: largo uso dell'italiano nel parlare, ma continua disaffezione alla lettura, nuovo ruolo dei dialetti, scarsa consuetudine con le scienze, mediocri livelli di competenza della popolazione adulta, difficoltà della scuola. L'ultimo capitolo, infine, mostra come tutto ciò incida sui modi di adoperare la nostra lingua: sul vocabolario e la grammatica che usiamo, parlando in privato o in pubblico, o scrivendo testi giornalistici, amministrativi e burocratici, letterari o scientifici.
A che serve il latino? È la domanda che continuamente sentiamo rivolgerci dai molti per i quali la lingua di Cicerone altro non è che un'ingombrante rovina, da eliminare dai programmi scolastici. In questo libro personale e appassionato, Nicola Gardini risponde che il latino è - molto semplicemente lo strumento espressivo che è servito e serve a fare di noi quelli che siamo. In latino, un pensatore rigoroso e tragicamente lucido come Lucrezio ha analizzato la materia del mondo; il poeta Properzio ha raccontato l'amore e il sentimento con una vertiginosa varietà di registri; Cesare ha affermato la capacità dell'uomo di modificare la realtà con la disciplina della ragione; in latino è stata composta un'opera come l'Eneide di Virgilio, senza la quale guarderemmo al mondo e alla nostra storia di uomini in modo diverso. Gardini ci trasmette un amore alimentato da una inesausta curiosità intellettuale, e ci incoraggia con affabilità a dialogare con una civiltà che non è mai terminata perché giunge fino a noi, e della quale siamo parte anche quando non lo sappiamo. Grazie a lui, anche senza alcuna conoscenza grammaticale potremo capire come questa lingua sia tuttora in grado di dare un senso alla nostra identità con la forza che solo le cose inutili sanno meravigliosamente esprimere.
Ciascuno di noi sa come la ricchezza dei volti che ci circondano tenda a scivolare tra le maglie del linguaggio. Le parole sembrano incapaci di cogliere ciò che rende unico un volto. Eppure accade che, leggendo un romanzo, un racconto o una poesia, s'incontrino personaggi il cui viso, appena evocato, appare più reale delle persone conosciute nella vita di ogni giorno. In che modo le parole fanno vedere la singolarità di un viso? Rispondendo a questo interrogativo, Patrizia Magli percorre l'intreccio di tecniche descrittive che da sempre si sono confrontate nell'impresa di catturarla. Parla delle temerarie astuzie per rappresentare la bellezza più ineffabile, la mostruosità più sconcertante o i moti quasi inavvertibili delle emozioni più segrete. Ma soprattutto rivela in cosa consista il magico potere delle parole quando riescono a mettere "sotto gli occhi" l'invisibile. È quando, tra segni imperfetti o semplici accenni, avviene improvvisa la rivelazione di un volto.
Di qualcuno che è capace, buono o onesto, si dice che è una brava persona. Applaudendo un artista o gratificando un figlio per un buon voto esclamiamo bravo! Come mai allora una bravata o una notte brava non sono imprese di cui andar fieri? E come mai i bravi evocati nei Promessi sposi tutto erano meno che bravi? Lo, sapremo ripercorrendo, come fa questa divertente mappa, l'alterna storia del termine: dalle origini alla sua diffusione internazionale, una piccola parola testimone di tante qualità, buone e cattive, degli italiani.
La parola per eccellenza, quella che dà il nome a tutto ed è un dono. Un vocabolo affascinante dai numerosissimi significati. Li esplora questo piccolo libro in un racconto che va dalla parola di Cristo alla parola d'onore, dalle parole alte della poesia e della letteratura a quelle "basse", le parolacce, che sempre più passano dal parlato quotidiano alla pagina a stampa. E poi ancora le parole inventate come il "sarchiapone", quelle ormai "ingiallite" come buonalana, o quelle nuovissime che si usano forse troppo come selfie.