Nel 1952 a Ivan Bunin, ormai confinato in un letto a causa delle pessime condizioni di salute, capitano tra le mani i volumi dell'epistolario di A.P. Cechov, che si andava allora pubblicando in Urss. E quella lettura è per lui come una scossa improvvisa perché gli fa rivivere i momenti di una intensa amicizia - nata nel 1895 e interrotta soltanto dalla morte di Anton Pavlovic nel 1904 -, in cui il vincolo affettivo si fondeva con la venerazione per il talento del maestro. Turbato, commosso, Bunin scopre ora con quale fervida considerazione Cechov parlasse di lui nelle lettere agli amici, e decide di contraccambiare il calore di quei sentimenti scrivendo o dettando alla moglie i suoi ricordi. L'amico è evocato soprattutto nella dimensione quotidiana, alle prese con la malattia, nel rapporto con i suoi cari, assorbito da un ideale artistico assoluto, intento a riflettere sui princìpi etici che devono governare la vita. La sua indole complessa e schiva, eppure sempre benevola, si manifesta attraverso conversazioni, giudizi, impressioni fuggevoli, battute, frammenti di lettere. Ma Bunin si imbatte anche in un'altra sorprendente rivelazione: le memorie della scrittrice Lidija Avilova, pubblicate postume nello stesso periodo, fanno riemergere l'amore impossibile, e gelosamente custodito fino alla tomba, che legò il destino di Anton Pavlovic a quello di lei.
"L'esile volume di 146 pagine sfidava la nostra immaginazione di diciottenni innamorati delle visioni di Jim Morrison e di William Blake con una visionarietà ironicamente erudita, minuziosa fino a sembrare perversa e abbastanza vaga da spingerci a cercare di decifrarla come una lingua straniera. Ora 'Finzioni' torna in una nuova e splendida versione italiana accresciuta dai tre racconti che Borges vi aggiunse ... E a percorrere di nuovo i sentieri biforcuti dell'argentino, a rileggere certi memorabili attacchi, ci si accorge non solo che il loro potere pacatamente incantatorio è immutato, ma in qualche modo si è ramificato, come in un racconto di Borges. Che cosa è successo? Solo che quasi tutta la letteratura degli ultimi quarant'anni, da Calvino a Pynchon a Molina a infiniti altri, si è confrontata o scontrata con l'universo onirico e lievemente delirante scaturito da 'Finzioni'." (Giuseppe Montesano)
Il connubio tra immagini e parole, oggi così pervasivo, ha in realtà una storia ben più antica di quel che si tende a credere, e nobili progenitori tanto celebrati in passato quanto ignorati o trascurati dal presente. Tra questi è da annoverare Andrea Alciato, erudito, umanista, "austero e insofferente" giurista ricordato tra i numi tutelari della gloriosa università di Pavia. Il suo "Emblematum liber" (1531), galleria di situazioni umane trasfigurate in metafore, doveva trasmettere - similmente agli ""Adagia" di Erasmo da Rotterdam, suo corrispondente - un patrimonio di saggezza e moralità facendo ricorso anche all'efficacia del mezzo iconografico. Divenne invece l'archetipo di un genere di letteratura che non solo conobbe successo in Europa fin dalla sua nascita, quasi cinquecento anni fa, ma esercitò un influsso sbalorditivo, tanto da costituire la chiave che dà accesso a molta parte dell'arte e della letteratura successive.
Ottavo volume della raccolta delle opere di Maigret. Le inchieste del commissario Maigret raccolte in questo volume sono state scritte tra il 1951 e il 1952.
"Confidarsi in pubblico è come perdere l'anima. Qualcosa bisogna pur tenere per sé" ha detto Wislawa Szymborska. E ha detto anche: "Cerco di non pensare troppo a me, e non lo dico per smanceria o per ingraziarmi il lettore. È la verità: non sono al centro dei miei interessi". Scavare nella vita di chi tanto detestava mettersi pubblicamente a nudo e ha fatto della riservatezza la propria insegna potrebbe dunque sembrare un'indebita intromissione. Peggio: un tradimento. Anna Bikont e Joanna Szczesna sono riuscite a evitare questo scoglio. "Cianfrusaglie del passato" (espressione tratta dalla poesia "Scrivere il curriculum") è una biografia non solo rigorosa e documentata, frutto di ricerche e di conversazioni con la Szymborska stessa e con quanti l'hanno frequentata, ma soprattutto discreta. Giacché a risuonare, in ogni pagina, non è la loro voce, ma quella, irresistibilmente ironica, di una donna che - ha scritto Adam Zagajewski - "sembrava appena uscita da uno dei salotti parigini del Settecento". Scopriremo così il suo ambiente familiare, le letture, i giochi dell'infanzia, la vita nel "kolchoz dei letterati" di Cracovia e la giovanile adesione all'idea comunista, la rapida disillusione, e poi la simpatia per Solidarnosc negli anni Ottanta, infine lo spartiacque del Nobel. E scopriremo, alla fine, la sua gravità, la sua profondità, puntigliosamente celate dietro lo schermo della leggerezza giocosa e della impenetrabile discrezione.
Nella Premessa a "La provincia dell'uomo" Canetti rivela che dedicarsi ai quaderni di appunti lo salvò dalla opprimente concentrazione su un'unica opera, "Massa e potere", e da "un irrigidimento fatale". Una "valvola di sfogo", dunque, che col tempo conquistò tuttavia sempre più spazio, sino a diventare uno dei pilastri della sua opera, giacché l'acutezza e l'intensità di pensiero che vi sono dispiegate annoverano Canetti fra i più grandi autori di aforismi. Si può allora capire quale meraviglia e quale sensazione abbia suscitato la scoperta di un manoscritto autografo dove sono radunati centoventinove 'aforismi' risalenti al settembre-ottobre 1942: testi non solo in gran parte sconosciuti ma che, come ha notato Jeremy Adler, "contengono già le linee fondamentali della prosa breve di Canetti". Redatto in inchiostro blu scuro, con titoli e dedica in pastello giallo, e rilegato da un cordoncino dorato, il manoscritto fu offerto come dono di compleanno alla pittrice Marie-Louise von Motesiczky, con la quale Canettì aveva avviato in Inghilterra una relazione destinata a durare oltre mezzo secolo. E fu offerto il 24 ottobre 1942, mentre i tedeschi ingaggiavano contro i russi la terribile battaglia di Stalingrado e in Inghilterra - dove Canetti e la Motesiczky erano esuli - giungevano incessanti le notizie delle violenze perpetrate nei paesi occupati.
Élie Nagéar non sapeva neanche come si chiamasse esattamente l'uomo che aveva ucciso a colpi di chiave inglese sul treno Bruxelles-Parigi. Sapeva solo che aveva con sé dieci mazzette di banconote, e che era olandese: tant'è che la sera prima, quando quel grosso personaggio ridanciano aveva cominciato a offrire champagne alle entraîneuse del night club, Sylvie lo aveva soprannominato Van der Coso. A Bruxelles, Élie contava di vendere certi tappeti bloccati alla dogana, ma l'affare era andato a monte, i soldi stavano per finire, e Sylvie aveva cominciato a trattarlo in modo sprezzante. Così, senza quasi rendersi conto di quel che faceva, aveva comprato la chiave inglese e aveva seguito l'olandese sul treno delle 00.33. Quando è tornato a Bruxelles, è stata Sylvie a prendere in mano la situazione e a decidere dove sarebbe andato a nascondersi: nella pensione per studenti tenuta da sua madre a Charleroi. A poco a poco, la casetta con le tendine bianche e i mattoni anneriti dalla polvere di carbone è diventata per Élie una sorta di bozzolo caldo e protettivo, da cui vorrebbe non uscire mai più. Ma che cosa accadrà quando la sorella di Sylvie, o qualcuno dei pensionanti, o la stessa affittacamere, che prova per lui una tenerezza quasi materna, comincerà a sospettare che l'assassino di cui parlano i giornali è proprio lui? O quando la polizia deciderà di interrogare Sylvie?
Tre anziane, eccentriche signore, una cadente dimora di campagna, e il problema di metterla a reddito. Come? Una soluzione: far intervenire l'onnipresente National Trust, se non fosse che il suo emissario si è rivelato un po' troppo entusiasta di certi vecchi pitali e del loro utilizzo da parte di alcune, antiche, celebrità. Molto meglio, per il momento, andare sul sicuro, cioè accettare l'offerta di un produttore, che in cambio di parecchio denaro chiede soltanto di rimanere in un angolo, mentre la sua troupe sistema il set del film che si accinge a girare: un porno, naturalmente. L'ultimo Bennett come il lettore sta imparando a conoscerlo: più esplicito, più feroce e più comico di quanto non sia mai stato.
Neurologia e letteratura hanno reso celebre Oliver Sacks, ma non sono i suoi unici amori. Le opere dei naturalisti dell'Ottocento, che sapevano fondere entusiasmo scientifico, senso dell'avventura e spirito di osservazione, sono un'altra delle sue passioni: una passione - verrebbe da pensare -irrevocabilmente relegata nel passato dall'Accademia contemporanea. Invece Sacks ha saputo trovare un'isola di affinità, di amicizia intellettuale e di genuina e disinteressata erudizione riscoprendo il suo interesse infantile per le piante più antiche al mondo - le felci - e frequentando regolarmente le riunioni dell'associazione che se ne occupa, la American Fern Society. Non stupisce dunque che nel 2000, insieme a una trentina di altri pteridologi più o meno dilettanti, sia partito per una spedizione scientifica informale nella regione in cui sopravvive la più alta concentrazione mondiale di specie di felci - lo Stato di Oaxaca, in Messico - e che abbia tenuto un diario di quei dieci giorni di viaggio. La curiosità debordante, l'acume disinvolto e le capacità associative di Sacks hanno poi fatto il resto: lungi dal limitarsi alla tassonomia botanica, il suo sguardo spazia con levità dall'osservazione del passeggio nello zócalo di Oaxaca de Juárez alla storia del tabacco e del cacao, dalla distillazione del mezcal all'architettura antisismica degli Zapotechi.
Quando una notte la polizia fa irruzione nel suo ricovero, sequestrandole le decine di cani che accudiva, Chiara consegna alla sua amica d'infanzia, che scrive di mestiere, il grosso quaderno in cui da sempre raccoglie dati, abitudini e fotografie dei suoi beneficiati. È un libro degli ospiti indubbiamente singolare ("Tutti i cani hanno le loro rime: Balù pensaci tu, Billo guardiano tranquillo, Banga attento alla vanga, Lisetta dolce canetta..."), ma anziché rimetterlo in ordine come Chiara vorrebbe, l'amica decide di scriverne una versione nuova. Decide cioè di raccontare la propria vita di ex randagia spaventata, indocile, ma per fortuna anche mordace: insieme a quella degli uomini - uno soprattutto, l'infernale Edi Sereni - e delle donne che, nel tempo, hanno preteso di addomesticarla. Così ci regala il copione di una commedia nera e rosa che fa genere a sé.