In questi versi, che talora s'allungano a mo' di pseudo alessandrini imprimendo ritmo di narrazione distesa, le voci e gli stilemi alti della poesia italiana e inglese si mischiano a toni e timbri "familiari", ai lemmi i più umili di lingue maggiori e minori, ricomponendo a suo modo una "linea lombarda" di ascendenza, riconoscibile nelle sequenze di un diario poetico trasfigurato in purgatorio dell'anima, con l'idea che la "proprietà letteraria" sia forma prima dell'universo personale di luoghi, immagini, ricordi.
"Paolina, adesso ti spiego cos'è successo", azzarda a un certo punto Ennio Cavalli. Ed è il racconto di un istante, il "precipitato" insolubile di una morte improvvisa. Da lì inizia una nuova dimensione, la vita incrocia l'indomabile assenza dell'amata. Ma nulla è asimmetrico o cauterizzato. "Il poeta non si permetta di saltare un risveglio e un assopimento senza un pensiero a lei", scrive Erri De Luca nella postfazione, "senza l'ascolto teso che vuole cogliere un cenno di presenza, una sillaba di Paola, staccata a goccia dalla tenuta stagna della morte. È lui Euridice che va dietro a Orfeo, al suono che la estrae dagli assenti, solo per la sua musica e non per nostalgia di vita. Non è poeta Orfeo, ma Euridice". "Trattativa con l'ombra" diventa così un canzoniere d'amore sottratto al lutto e l'ombra non è un abito fatto con scampoli di memoria, ma il misterioso e costante riflesso del nostro esistere. "Per un lettore, per chiunque abbia conti in sospeso con un'assenza mai giustificata", conclude Erri De Luca, "queste pagine fanno da supplenza. Gli offrono le parole, il tono e la tenacia di una resistenza".
Nella raccolta "Maternalia", opera a due voci di Brunella Pelizza e Susanna Piano, che indaga il tema della maternità in tutto il suo farsi, dall'attesa al divenire madre, con incursioni nel passato e nel futuro, a prevalere è sempre la grazia della semplicità, dato che accomuna le due autrici, pur nel loro tangenziale e non sempre congruente accordo sul significato dell'essere madre. Le due voci si intrecciano, si sfiorano, si accordano e si distanziano, giungendo a conclusioni ed esiti diversi nella loro ricerca di senso, riuscendo tuttavia a non perdere mai l'aspirazione ad una (ardua) semplicità di parola, che le porta ad esplorare attraverso uno stile limpido e musicale, una condizione che alla fine appare tutt'altro che trasparente ed univoca.
"La nuova raccolta di Gian Maria Annovi situa il suo autore non più nell'indistinto futuro delle promesse poetiche, ma con forza nell'oggi, confermando le aspettative suscitate da 'Kamikaze (e altre persone)' (2011) e, prima ancora, da 'Terza persona cortese. Reality in sette visioni' (2007, Premio Russo- Mazzacurati). Miscellanea di testi scritti tra l'ottobre 2002 e, simbolicamente e retroattivamente, la data liminale del 10 settembre 2001 'Italics' riprende serie inedite e parzialmente inedite. All'eterno, raggelato gioco delle personae/maschere e dei soggetti fissi nella loro interlocutorialità, che accompagna da sempre lo scrivere infinitamente rastremato, asintotico di Annovi, si accompagna qui il senso dello straniamento spaziale e temporale, più sottile dello sradicamento ma suo comunque affine, che in modo diffuso possiamo collegare anche allo stato migrante del suo autore negli Stati Uniti. 'Italics', in anglo-americano, è l'espressione che indica il corsivo tipografico, ma che qui s'innesta come indicazione di un'altra voce, di un tono distinto (privato?) e/o di un rimando ironico all'origine, a sua volta stratificata, fatta palinsesto, resa altra o perduta sullo sfondo di quella frontiera rivoltata all'interno che sono gli Stati Uniti oggi, tra Manhattan e 'Los Angeles, l'oceano mediatico, il deserto'." (Laura Pugno)
Prendendo il suo titolo dal primo poemetto, "L'autra armada", il nuovo libro rivela tutto il fuoco centrale della passione che anima il dettato. E la vitalità, anche, di una denuncia che va dal particolare al tutto. Quale "autra armada" se non quella, sì delle vite 'partigiane', ma più ancora della vita che ci chiama a una guerra tutta interiore, tutta risolta nelle imboscate del sangue, nei colpi del cuore, nel risveglio "d'aquel drai que duerm dins nos"? "Autra", dunque, perché? Autra perché insieme con la guerra degli eserciti sta la guerra dei negati, dei dolori, la battaglia dei giorni consumati nell'ombra e consunti nell'inutile "Tem dau Colera". Ma nella carne nostra, nel destino del corpo che si strazia e non trova conforto. C'è l'armata dei ricordi "arditats". C'è l'armata dei "jorns negats". C'è l'armata (anche "armeia") "desperdua que da siecles/ e siecles va a querre novels pastorals" (con la felice invenzione della retroguardia dei suicidi). C'è l'armata "de trebulats". C'è l'armata "vegetal/ da arbol a arbol". C'è "una armeia a la desbranda" o "al champ d'la desfacha". C'è "una armeia a travers i prats", che è tutta un discorrere d'erbe e di parole sonanti come "un plettro". A fare da conduttore è ancora e sempre il filo della poesia, il linguaggio occitano a forte densità metaforica, la sua ricchezza di invenzione, la sua altezza di sguardo, la sua difesa d'amore ("Arparats da la mòrt/ degun es estat a garda de l'amor"), la sua natura meravigliosamente vocale.