È facile comprendere perché Jon Krakauer sia rimasto affascinato dalla figura di Pat Tillman al punto da dedicargli un libro. Al pari di Chris McCandless, protagonista di Nelle terre estreme, Pat Tillman è una figura di giovane eroe moderno, una figura idealista, anticonformista, avventurosa, tragica.
E' un campione di football, a poco più di vent’anni ha un contratto di tre milioni e seicentomila dollari, ha i capelli lunghi, gira in bicicletta e rifiuta il telefonino. A otto mesi dall’attentato alle Torri gemelle, fa la scelta della vita: si arruola nei Rangers e parte per l’Iraq. Vuole difendere il suo paese. Lo fa mantenendo un distacco critico dalle scelte politiche e strategiche di Bush. Dopo l’Iraq viene mandato in Afghanistan, dove muore, a ventisette anni, ucciso da fuoco amico. Su di lui fioriranno leggende, la propaganda se ne impadronirà mettendo a tacere le reali circostanze della sua morte. Attraverso diari, lettere, interviste agli amici e ai familiari, Krakauer indaga su una figura così complessa e sorprendente e offre al lettore un mosaico sfaccettato e straordinariamente ricco di Pat Tillman, un ragazzo che nella vita cercava qualcosa di diverso, di profondo, forse di incomprensibile. A lui Jon Krakauer dedica il suo libro.
"Lo storico non ha il diritto di interrompere il racconto nel punto culminante di interesse. Avevo il dovere assoluto di proseguirlo, e di descrivere, per lo meno, ciò che il resto dell’esercito pensò di quell’atto prettamente anticostituzionale compiuto dalla Guardia di Palazzo; e ciò che ne pensò dal canto suo il Senato."
Claudio è un uomo affabile, un uomo mite, è uno studioso la cui vita cambia improvvisamente e inaspettatamente quando viene acclamato imperatore dai pretoriani. Circondato ma non travolto dagli intrighi di corte, dalle passioni, dai tradimenti che falcidiano sia la sua famiglia sia i suoi avversari, riuscendo quasi involontariamente a rimanere a margine delle lotte di potere, Claudio giunge a passo regolare e misurato verso l’apice del successo. Ma la sua vita, sino a ora e da ora in poi, non è una vita facile, non è neppure felice, né tantomento gloriosa: è la vita di un riformatore prudente, calunniato e temuto come tiranno capriccioso e sanguinario. Attorno a lui si muovono le ambizioni sfrenate delle "sue". donne, come Messalina, sua giovanissima e sfrenatamente ambiziosa moglie, o Agrippina, che, forse, fu responsabile della sua morte prematura.
Il 27 giugno 1970 i due fratelli altoatesini Reinhold e Günther Messner realizzano la prima salita della parete Rupal del Nanga Parbat, la parete di roccia e ghiaccio che con i suoi 4500 metri di altezza è la più imponente della Terra. Ma la discesa lungo l’altro versante, sconosciuto, che finisce nella valle Diamir, ha un epilogo tragico: la morte di Günther, travolto da una slavina. Il capo spedizione si adopera affinché vengano taciute le circostanze reali in cui si è verificata la catastrofe. Il resoconto di Reinhold Messner sulla drammatica odissea, concepito come una sceneggiatura, viene vietato, poiché il capo spedizione aveva fatto firmare a tutti i partecipanti un documento in cui si impegnavano a non pubblicare nulla sulla spedizione. Il titolo era Die rote Rakete (Il razzo rosso), proprio come l’ingannevole segnale luminoso che avrebbe dovuto segnalare ai fratelli Messner l’evoluzione prevista delle condizioni meteorologice.
Per decenni Reinhold Messner è stato vittima di campagne denigratorie, viene accusato di aver sacrificato il fratello minore in nome della sua ambizione personale, accuse che incredibilmente non si placano nemmeno nel momento in cui il Nanga Parbat restituisce i resti mortali di Günther dove Messner aveva detto che dovevano essere, e la versione di Reinhold Messner viene confermata in sede giudiziaria. Oggi, a quarant’anni dall’eroica e tragica impresa, Razzo rosso sul Nanga Parbat vede finalmente la luce, con una nuova prefazione dell’autore e splendide fotografie.
Sulla Wehrmacht ci sono molti studi parziali e relativi a singoli episodi della guerra o a teatri di operazioni belliche. Wehrmacht di Guido Knopp, invece, si propone come un libro complessivo sull’esercito tedesco dal 1935, quando fu riformato da Adolf Hitler, fino al suo dissolvimento dopo la disfatta del Terzo Reich. Numerosi sono i temi affrontati, dal riarmo all’ingresso in guerra, dalla scelta di attaccare l’Unione Sovietica alle battaglie d’Africa, dai crimini commessi dall’esercito alla resistenza interna al nazismo, fino agli ultimi, disperati mesi di combattimento. Knopp si pone alcune questioni cruciali: come è stato possibile che un’arma elitaria come l’esercito prussiano, si sia trasformata in uno strumento politico del nazismo? Come ha fatto a diventare una gigantesca macchina da guerra risorgendo in pochi anni dalla sconfitta del 1918? È vero che ha attivamente collaborato ai crimini di guerra di cui si ritengono responsabili le SS? Qual è stato il suo contributo nella resistenza ad Hitler? Perché ha combattuto fino alla fine, quando la Germania era ormai una nazione sconfitta?
L’autore unisce l’analisi attenta della storiografia a numerose interviste con i sopravvissuti. E utilizza una fonte preziosissima e poco usata: le registrazioni delle intercettazioni effettuate nella villa di Trent Park a Londra, dove erano tenuti prigionieri gli ufficiali tedeschi che, a ruota libera, non solo fornivano involontariamente notizie di interesse strategico, ma lasciavano anche trapelare i sentimenti diffusi nell’esercito verso il potere politico e verso il nazismo.
La montagna a modo mio riassume il pensiero di Messner sulla vita che ha scelto. Racconta senza veli le sue idee più radicate e profonde sulla natura e sull’essenza dell’alpinismo, sull’andarsene e sul tornare, sulla motivazione e sulla realizzazione, sul percorso verso l’interiorità. In questo libro vengono toccati tutti i grandi temi: i primi successi in campo alpinistico, la rivoluzione dello stile alpino, i grandi risultati, la fama internazionale dopo la salita del monte Everest senza fare ricorso all’ossigeno, il ciclo degli ottomila, le spedizioni attraverso i deserti del mondo, il suo impegno sociale e politico, la fondazione di musei, ma anche la sua vulnerabilità di fronte alle polemiche seguite alla morte del fratello sul Nanga Parbat.
Molte sono le interviste raccolte, che si fondono armoniosamente con altri testi di Messner, resoconti di spedizioni, reportage, articoli, attraverso i quali è possibile scoprire un uomo sorprendente che obbedisce sempre e solo alla sua legge interiore: la vita straordinaria di un idealista con i piedi ben piantati per terra, che ha cercato e percorso le creste più elevate così come gli abissi più profondi.
Pochi intellettuali si opposero al regime fascista; pochi protestarono apertamente contro le leggi razziali. Furono molti, invece, quanti si formarono all'interno delle istituzioni fasciste di cultura e che poi, con il 1943, abbracciarono gli ideali dell'antifascismo e della resistenza, vivendo questa svolta come un'esperienza di "redenzione". Mirella Serri ricostruisce, anche sulla base di documenti inediti, segmenti della biografia dei molti intellettuali italiani che non furono "dissimulatori onesti", e neppure "voltagabbana", ma uomini che "vissero due volte" e che rappresentano il doloroso processo di maturazione di un'Italia democratica all'interno di un regime totalitario messo in crisi dalla guerra mondiale.
Alexander Huber: la perfetta armonia fra corpo e mente. A undici anni ha affrontato il suo primo quattromila, dal 1998 è arrampicatore professionista ed è considerato uno dei più bravi alpinisti al mondo. Con il fratello Thomas forma la famosa cordata Huberbuam ("i ragazzi Huber"). Insieme, Alexander e Thomas ottengono risultati straordinari, sulle grandi montagne del mondo così come sulle big wall della Yosemite Valley. Alexander è considerato uno dei pionieri dell'undicesimo grado nell'arrampicata sportiva e ha ripetutamente riscosso stupore e ammirazione con i suoi free solo mozzafiato. In questa appassionante autobiografia, Alexander Huber racconta i suoi successi più importanti, le sconfitte, le scelte giuste e quelle sbagliate, e mette a nudo i propri limiti - proprio lui che ha aperto parecchie vie spettacolari sulla roccia, che affascina con la sua creatività e caparbietà e sorprende per il modo in cui affronta il rischio. Parla di senso di responsabilità, delle tendenze più recenti nel mondo dell'alpinismo e di come il futuro degli sport alpini vada tutelato, tutti temi che emergono con immediatezza anche dalle conversazioni, che Alexander Huber ripropone nel suo libro, fra la giornalista Karin Steinbach e le persone - parenti e amici - che lo conoscono da vicino.
Quando venne nominato corrispondente dall'Africa per il Daily Telegraph, Tim Butcher lesse il maggior numero di libri e articoli sull'argomento. L'unica costante che trovò nella tormentata storia di un continente dimenticato dalla crudeltà dei colonialisti belgi fino agli eccessi apocalittici di politici senza scrupoli -, di cui il Congo è l'emblema, fu il pesante fardello di sofferenza umana inflitto a generazioni di africani che sembrano condannati a vivere in un paese in cui le normali regole di sviluppo e progresso non sono ammesse. Ma ciò che fece crescere l'interesse di Tim per il Congo fu la scoperta che un altro reporter, Henry Morton Stanley, era stato inviato in Africa dal Telegraph più di un secolo prima. Per di più sua madre da bambino gli aveva raccontato di un viaggio che lei aveva fatto negli anni Cinquanta sul fiume Congo con un'amica. Per Tim il Congo diventa il totem che simboleggia l'Africa come continente mancato. In breve decide che la sua missione è partire sulle orme di Stanley per ripercorrere la rotta originale dell'esploratore, ma da solo. Zaino in spalla e poche migliaia di dollari nascosti negli stivali, dopo aver a lungo studiato le mappe dell'epoca coloniale e aver preso contatti con vari leader ribelli, Tim parte per il suo viaggio. Per tanti si tratta di un'avventura folle e suicida, ma Tim dentro di sé sa che per disfarsi del suo sguardo di sufficienza sull'Africa moderna e comprenderla correttamente, deve recarsi proprio lì dove tutto era cominciato.
Cerro Torre, la guglia di roccia più spettacolare della Patagonia: in questo libro Reinhold Messner si addentra nella storia della "montagna impossibile". A cominciare dalla tragedia del 1959, quando Cesare Maestri sostenne di aver raggiunto la vetta insieme a Toni Egger, prima che una slavina travolgesse e uccidesse il compagno. Sulla vicenda molto si è detto e molto si è scritto. Speculazioni alle quali non ha posto termine nemmeno la successiva salita di Maestri, nel 1970, con l'ausilio di compressore e chiodi a espansione, e lungo un'altra via. Reinhold Messner, che a lungo ha studiato il Cerro Torre e che, non avendolo mai salito, non è coinvolto in prima persona, cerca di fare chiarezza immedesimandosi nelle situazioni ma mantenendo al contempo il giusto distacco critico. Penetra nella psiche dei suoi eroi e ricostruisce i dettagli della "vicenda Torre", dando vita a un racconto appassionante su tutti gli aspetti naturali e umani della "montagna impossibile". La parete sommitale, estremamente ripida, la sua struttura, il ghiaccio, la lunghezza della salita, l'attrezzatura di allora, le condizioni meteo, il vento, e poi ancora la pressione psicologica di voler raggiungere il successo a tutti i costi. Cinquant'anni dopo la spedizione del 1959, sensazionale quanto discussa, Messner aiuta a capire i fatti, in modo inequivocabile. Con la presunta prima scalata che si trasformò in tragedia il Cerro Torre si trasforma in mito.