Vengono da lontano. Si chiamano Makan, Idowu, Teresa, Bomani, Trésor, Mariela, Amadou. I loro fragili passaporti li condannerebbero a restare dove sono, nel deserto della miseria e della guerra, ma non hanno altra scelta. Come Giacobbe che combatte tutta la notte al buio in un estenuante corpo a corpo con uno sconosciuto, attraversano il mare in una lacerante e disumana ricerca di salvezza, di identità. Identità che non hanno neppure le parole per esprimere. Laura Bosio, che insieme a tanti volontari li accoglie nelle aule della sua scuola senza muri, dove "italiano" significa ascolto, dialogo, incontro inaspettato, dà voce alle loro storie, incrocia i loro sguardi, accoglie le loro reazioni quando, costretti a rispondere "bene" alla domanda "come stai?" del manuale, "ridono, rovesciandosi all'indietro sullo schienale della sedia e allargando le braccia". E in questo mondo di rabbia e disprezzo, di pregiudizi e di muri, trova spazio il più autentico cuore di un sogno, quello dei migranti e il nostro: perché, dice Laura, nonostante tutto noi siamo qui, "sulle sedie multicolore, gomito a gomito, davanti a un libro aperto, a guardarci negli occhi mentre diciamo: Io sono, affermando il semplice diritto di esistere".
Si può parlare con il silenzio? Può il silenzio essere un’alternativa all’eccesso verbale, alle parole vuote, ripetitive, aggressive, urlate? Che ruolo ha il silenzio nella società contemporanea, dove siamo tutti iperconnessi, dove ogni giorno consumiamo centomila parole fra tablet, cellulari, social e siti? Quali orizzonti apre alla letteratura e alla poesia, alla natura e alla scienza, alla psicoanalisi e all’antropologia, al cinema e al teatro, alla musica e alla linguistica? Quando è una scelta consapevole, il silenzio ci conduce dal dire autoreferenziale al dialogo inteso come ascolto, come contrappunto fecondo di pieni e di vuoti. Perché il silenzio è il linguaggio dei sentimenti e delle passioni forti, è un potente strumento di relazione autentica, indispensabile alla comunicazione. Offre al ritmo quotidiano dell’esistenza il ristoro di una pausa, la dimensione del mistero, il privilegio di potersi fermare. Per andare più a fondo, più lontano.