Descrizione dell'opera
«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto». Così inizia la celebre parabola nella quale l’evangelista Luca racconta che nessuno si fermò a curare il ferito, a eccezione di un samaritano che decise di non passare oltre e di lasciarsi guidare dal cuore, divenendo così icona della compassione di Dio.
I racconti biblici dell’incontro e della guarigione dei malati mostrano l’importanza di una cultura dell’attenzione alle persone nei vari momenti della loro storia, al fine di cogliere anche nelle esperienze di fragilità e vulnerabilità i luoghi privilegiati di una cura reciproca, di uno scambio d’amore e di un «con-forto» abitato dallo Spirito. Una ricchezza che spesso resta nascosta tra le pieghe di una compassione a senso unico e di una pastorale che avverte la necessità di un approfondimento e di un aggiornamento.
Sommario
Introduzione. Non passò oltre. 1. Annunciare con gioia: una Chiesa in uscita. 2. Comunicare il vangelo oggi: i segni presenti nel tempo. 3. La teologia pastorale o pratica: una vera e propria disciplina teologica. 4. Il multiforme agire ecclesiale: verso un modello relazionale. 5. Una pastorale integrata: la persona al centro. 6. Uscire dalle porte: la Chiesa ospedale da campo. 7. Verso Emmaus e ritorno: ministri di speranza. 8. Annunciare la vita: l’eloquenza dei gesti. 9. Perdono e riconciliazione: attenzioni pastorali. 10. Da Gerusalemme a Gerico: la compassione pastorale. Conclusione. Aver cura di sé.
Note sull'autore
Luciano Sandrin, sacerdote camilliano, è professore di Psicologia della salute e della malattia al Camillianum (Roma) e presidente dell’Istituto internazionale di Teologia pastorale sanitaria. Per EDB ha pubblicato Vivere il dolore e la speranza (2009) e Aver cura di sé. Per aiutare senza burnout, con Nuria Calduch-Benages e Francesc Torralba Roselló (2009).
La crisi delle narrazioni tradizionali, le visioni apocalittiche nella letteratura e nel cinema, l'affermazione di cyborg, zombie o vampiri nella cultura pop sollevano un interrogativo: l'uomo è una macchina insensibile che abita mondi virtuali anestetici e invulnerabili? Le teologie cristiane hanno perso il loro rilievo anche perché si sono immunizzate nei confronti di queste domande, creando mondi separati nei quali gli sviluppi sociali e culturali sono stati poco o per nulla considerati. Se ci si è confrontati con la cultura, lo si è spesso fatto nella prospettiva della presunta superiorità e sicurezza del mondo redento. Le pagine del volume si interrogano sul contributo che il cristianesimo può dare a un nuovo umanesimo recuperando la comprensione della mortalità e uno sguardo rivolto alla fragilità e alla vulnerabilità, due aspetti che ricollocano al centro della riflessione la virtù della misericordia.
Descrizione dell'opera
La lettura degli scritti di sant’Ireneo, vescovo di Lione (Smirne 130 - Lione 202), consente di attraversare un’ideale galleria di raffigurazioni del volto di Gesù. Si tratta di quadri dalle dimensioni notevolmente diseguali, che oscillano dal tratteggio brevissimo all’argomentazione lunga e articolata.
Il primo ritratto, quello del Cristo pastore, introduce alle concrete problematiche del ministero ecclesiale di Ireneo, costretto a confrontarsi nel II secolo con le diverse scuole gnostiche e con Marcione e i suoi seguaci.
Il secondo profilo è quello del maestro, connotato da caratteristiche di autorevolezza e coerenza, mentre il terzo è alquanto insolito: è raro, infatti, sentire parlare di Gesù come padre dai tratti fortemente materni, che genera l’umanità nell’ora suprema della sua Croce e che nutre alla «mammella della sua carne». Questa raffigurazione consente di apprezzare la profondità della riflessione credente della prima antichità cristiana e la sua capacità di rendere in immagini pregnanti il contenuto del mistero pasquale.
Il quarto ritratto è il Gesù della trasfigurazione, che consente di contemplare il volto del Verbo che Mosè aveva visto solo di spalle, il quinto è il Cristo che insegna alla Chiesa l’eucaristia, il sesto è il crocifisso,«la Vita appesa davanti ai nostri occhi», e il settimo il risorto, che affranca dalla morte la carne mortale.
La galleria espone infine il ritratto riassuntivo di tutto il percorso: Gesù è la ‘cerniera’ tra Antico e Nuovo Testamento, tema centrale e cruciale nel contesto dell’aspra polemica con la gnosi e con l’eresia di Marcione.
Sommario
Introduzione. «In ovile Patris» (IV,33,1). Il Cristo Pastore. «Magistrum nostrum videntes» (V,1,1). Il Cristo maestro. «Pro patribus nati sunt tibi filii» (III,22,4). Il Cristo padre. «Facie ad faciem in altitudine montis» (IV,20,9). Il Cristo trasfigurato. «Novi Testamenti novam docuit oblationem» (IV,17,5). Il Cristo insegna alla Chiesa l’eucaristia. «Et erit Vita tua pendens ante oculos tuos» (V,18,3). Il Cristo crocifisso. «A carne eius rutila» (IV,20,2). Il Cristo risorto. «Una salus omnibus credentibus in eum» (IV,6,7). Il Cristo cerniera dei Testamenti. Conclusione. Sigle e Abbreviazioni.
Note sull'autore
Domenico Scordamaglia, sacerdote della diocesi di Roma, è stato aiutante di studio al Servizio nazionale per il progetto culturale della CEI e ha insegnato nella facoltà di Teologia della Pontificia Università Gregoriana. Per EDB ha pubblicato Dio padre nella teologia di Tertulliano (2011).
La direzione spirituale tocca i dinamismi più delicati e intimi direzione
della vita cristiana e per essere praticata con intelligenza esige profondo rispetto delle persone, saggia discrezione e solida competenza.
Partendo da una lettura teologica della realtà cristiana, l'autore descrive la direzione spirituale come un ministero pastorale inscritto nella comunità ecclesiale e a servizio dell'azione dello Spirito. E con equilibrato senso teologico e umano racconta la pratica del colloquio spirituale, l'educazione degli atteggiamenti cristiani di fondo, l'introduzione alle scelte di vita e al discernimento degli spiriti.
Il volume espone infine i principi generali sulla funzione educativa della direzione spirituale, offrendo al lettore orientamenti sull'unione con Dio, l'abnegazione evangelica, la dimensione ecclesiale e apostolica della vita cristiana.
Gli individui sono tutti diversi fra loro. E non è solo questione di genere, statura, pelle, capelli, iride degli occhi. Non è un fatto che riguarda solo il corpo, ma anche il carattere, le emozioni, le simpatie e le antipatie, le paure, i ritmi del pensare e del vivere. Ciascuno di noi lascia un'impronta, anche solo digitale, che è solo sua. In questo scenario di tante diversità, ve ne sono alcune che possono ingannarci e farci credere che la realtà umana sia composta da due categorie, riconducibili al normale e all'anormale. In realtà, tutti nasciamo fragili, anche se ci illudiamo che si tratti di una malattia infantile che passa crescendo, oppure di qualcosa che appartiene agli altri e che si possa conoscere solo dall'esterno attraverso una fredda e scientifica diagnosi. Invece, nessuno è al riparo dalla fragilità, dalla quale cerchiamo comprensibilmente e invano di difenderci, una dimensione che riguarda tutti e coinvolge pienamente i processi dell'educazione e le pratiche della cura di sé e degli altri.
Questa indagine sulla Sindone si propone di offrire un'informazione corretta e documentata sul dibattito, ricco e complesso, a volte confuso e tormentato, che circonda il telo di Torino. Il volume ricostruisce la storia del lenzuolo funebre e di sudari e veli analoghi, commenta i testi sulla passione di Gesù, illustra le ricerche della scienza e le posizioni della Chiesa cattolica, la storia delle ostensioni pubbliche e della devozione popolare. In appendice, cinque interviste offrono altrettanti sguardi sul mistero del telo torinese: la parola passa dunque al biblista Giuseppe Ghiberti, allo storico Andrea Nicolotti, al giornalista Marco Fracon, al fondatore del Gruppo Abele e di Libera Luigi Ciotti e al parroco ortodosso Lucian Rosu. L'intento è "raccontare" la Sindone senza pregiudizi, ingenuità e forzature, evitando di prendere posizione a favore o contro la sua autenticità, ma anche senza dimenticare che il telo di Torino, con il suo fascino, i suoi lati oscuri e problematici, è una straordinaria icona cristiana, testimone della sofferenza dell'uomo in ogni tempo.
Lo scudo di Achille, minuziosamente descritto da Omero nell'Iliade, è una raffigurazione del mondo che attribuisce la difesa della vita felice e prospera al guerriero valoroso, all'eroe, al re capace di governare il suo paese e di proteggerlo dai nemici. La Bibbia, lontana dal mondo aristocratico e sublime dell'epopea, non conosce oggetti simili; la morte che si aggira sugli omerici campi di battaglia assume qui il volto prosaico della fame che il profeta Eliseo, nel Secondo libro dei Re, scongiura con una semplice manciata di farina. In un racconto di Dostoevskij si narra invece della cipolla che cresce in ogni orto e non richiede né poteri eroici, né sapienza profetica per strapparla e tenderla a chi ne ha bisogno, perché la salvezza consiste nel trovare l'elemento giusto al momento e nel modo giusto.
"Accendere la passione per la lettura è un processo misterioso. Non ci sono regole e non si danno istruzioni per l'uso. È in gioco la motivazione. Il docente appicca un fuoco destinato a bruciare in modo autonomo. Non è solo un docente. Casualmente, come accade, è un piromane". Quando Stendhal scopre che del suo libro De l'amour, dopo anni dalla pubblicazione, si sono vendute solo tre copie si fa dare dal libraio l'indirizzo dei tre compratori e vuole conoscerli di persona per chiedere loro un giudizio su quelle pagine. Oggi anche gli scrittori dispongono di profili Facebook e i lettori hanno dimestichezza con i mezzi di comunicazione elettronicamente assistiti, che velocizzano ogni ricerca, ma ridimensionano la funzione che la pagina scritta ha sempre esercitato: il raccoglimento interiore e la conoscenza di sé. Il pamphlet di Franco Ferrarotti riassume i rischi individuali e sociali del tramonto della "civiltà della carta" e critica la pervasività del digitale. "Non credo, come molti dicono, che si tratti solo di usare bene Internet. Usato bene o male, questo straordinario strumento ha effetti collaterali inevitabili: schiaccia sul presente, non consente il ritorno critico su di sé e sulle proprie esperienze passate, attenua il vincolo logico nella costruzione delle proposizioni, privilegiando l'affastellamento dei temi su un piano orizzontale".
Un inno di Quaresima ricorda che il digiuno, non solo del cibo, favorisce l'autentica vita cristiana: "Usiamo in modo più sobrio parole, cibi, bevande, sonno e giochi, e rimaniamo, con maggior attenzione, vigilanti". In un messaggio per la Quaresima, Benedetto XVI indicò ai cristiani il digiuno come pratica penitenziale da riscoprire. Prese spunto dall'episodio del Vangelo di Matteo in cui si narra che Gesù rimase nel deserto quaranta giorni senza cibo e alla fine ebbe fame. Le parole e l'esempio del Signore, diceva il papa, mettono in luce la ragione profonda del digiuno e rigettano il fariseismo di chi si limita ad osservare le prescrizioni legali, ma con il cuore lontano. Molto diffuso nella prima comunità cristiana, come appare dagli Atti degli apostoli, il digiuno è stato considerato dai Padri della Chiesa una forza che aiuta a contrastare peccato e bramosie, aprendo la strada di Dio. Nell'odierna cultura del benessere la pratica terapeutica della dieta ha preso il sopravvento su quella religiosa del digiuno e sul suo significato più profondo, che consiste, come aveva intuito Paolo VI, nella chiamata cristiana a non vivere per se stessi, ma per il Signore e per i fratelli.
La superbia appare come espressione di un vasto insieme di vizi: orgoglio, tracotanza, boria esteriore, desiderio di abbassare gli altri per emergere, arbitrio. San Tommaso, sulla scia di sant'Agostino, la definisce "desiderio disordinato di eccellenza". Esiste, infatti, in ciascuno di noi il legittimo desiderio di realizzare pienamente se stesso. Si tratta di uno stimolo, potente e positivo, a cercare di dare il meglio nelle diverse situazioni. La forza seducente e il fascino della superbia consistono proprio nell'esaltare il desiderio naturale di eccellere, incentrando in modo assoluto l'attenzione su se stessi e oltrepassando la propria misura. Esistono rimedi? Innanzitutto favorire una sana autostima, virtù laica che si contrappone alla superbia ed è una qualità indispensabile per vivere, e poi trovare il modo di entrare nella complessità propria e altrui, affinando la capacità di ascoltare e la curiosità di capire se stessi e gli altri. La virtù opposta alla superbia è l'umiltà, che non va confusa con la ritrosia, la timidezza, la mediocrità, la vigliaccheria. L'umiltà, infatti, non comanda di esagerare i difetti né di negare le proprie doti né di fuggire tutti gli onori, ma ne reprime ogni ricerca esagerata e non giustificata per beneficiare dell'eccellenza in modo equilibrato.