La sera in cui Giada si ammazza, Daria precipita in una sofferenza che nutre con devozione religiosa, perché è tutto ciò che le resta della figlia. Una sofferenza che la letteratura non deve aver paura di affrontare. Per questo siamo disposti a seguire Daria nel suo buio, dove neanche il marito e l'altro figlio riescono ad aiutarla; davanti allo scandalo di una simile perdita, ricominciare a vivere sembra un sacrilegio. Daria si barrica dietro i ricordi: quando non riusciva ad avere bambini e ne voleva uno a ogni costo, quando finalmente ha adottato Giada e il mondo «si è aggiustato», quando credeva di essere una mamma perfetta e che l'amore curasse ogni ferita. Con il calore avvolgente di una melodia, Michela Marzano dà voce a una madre e al suo struggente de profundis. Scavando nella verità delle relazioni umane, parla di tutti noi. Del nostro desiderio di essere accolti e capiti, della paura di essere abbandonati, del nostro ostinato bisogno di amore, perché «senza amore si è morti, prima ancora di morire».
Ambientato nel 1939 a Istanbul, nell'imminenza di un nuovo conflitto mondiale, Serenità è la storia di un gruppo di personaggi alla ricerca di un'identità, individuale e collettiva, in un mondo fortemente in bilico fra tradizione e modernizzazione, fra Oriente e Occidente, fra un passato di splendori e le ansie per un futuro incerto. Soprattutto è la storia di Miimtaz, giovane intellettuale che si rifugia nella letteratura e nella musica di un tempo che sta scomparendo; l'incontro con l'affascinante e complicata Nuran lo porterà invece a vivere una rinascita sensuale e mentale. Uscito nel 1949, "Serenità" è l'altro grande romanzo di Tanpinar, scritto prima dell'Istituto per la Regolazione degli Orologi, ed è una fotografia magistrale della Turchia nella difficile transizione dall'Impero ottomano alla Repubblica. Un libro tragico ma al tempo stesso bello come una sera d'estate sul Bosforo, passata a bere raki con gli amici ascoltando musica dal vivo.
Un grande scrittore e una psicoterapeuta si confrontano sulla necessità dell'uomo di raccontarsi e di inventare delle storie. J. M. Coetzee e Arabella Kurtz prendono in considerazione la pratica psicoterapeutica, e il suo più ampio contesto sociale, partendo da prospettive diverse, ma al centro di entrambi i loro approcci vi è il comune interesse per la verità e per le storie. Uno scrittore lavora in solitudine, ed è l'unico responsabile della storia che racconta. Il terapeuta, viceversa, collabora con i pazienti per far emergere un racconto della vita e dell'identità del paziente che sia allo stesso tempo significativo e vero. Che tipo di verità le storie create dal paziente e dal terapeuta cercano di scoprire? La verità oggettiva o quella mutevole e soggettiva dei ricordi esplorati e rivissuti durante la relazione terapeutica? Confrontandosi con le opere di grandi scrittori come Cervantes e Dostoevskij o di psicoanalisti quali Freud e Melarne Klein, e discutendo di psicologia individuale o dei gruppi (le classi scolastiche, le bande giovanili, le società coloniali), Coetzee e Kurtz propongono al lettore illuminanti intuizioni sulla nostra capacità - e difficoltà - di analizzarci e di raccontare, a noi stessi e agli altri, le storie della nostra vita.
Eugenio Borgna, nel corso della sua lunga carriera, ha incontrato molte vite: le ha incontrate in manicomio, in clinica, in ospedale, nel proprio studio. Ha ascoltato la loro voce fragile e si è fatto carico di paure, angosce e speranze. Ha cercato di porre un argine al dolore attraverso il dialogo, l'ascolto, l'immedesimazione con l'altro. In queste pagine ricorda alcuni racconti clinici e lo fa sia con la razionalità e la conoscenza del medico, sia anche con i sentimenti e il calore umano dell'uomo consapevole che la psichiatria, oltre ai farmaci, ha bisogno della comprensione, della vicinanza, del riconoscimento e anche della poesia se vuole guardare negli abissi insondabili dell'interiorità. Anna, Francesca, Maria Teresa, Elena, Margherita, Angela. Nomi di fantasia che proteggono sei pazienti, o meglio, sei donne (e con loro altre donne) che provengono da differenti situazioni sociali e familiari, da diverse consapevolezze e gradi di verbalizzazione del sé, ma che condividono un comune sconforto, un comune male di vivere. C'è Francesca che vive la sua depressione all'ombra del senso di colpa per il suicidio di una persona cara. C'è Maria Teresa che non riesce ad accettare la malattia incurabile dell'unica figlia. E Anna che non conosce altro mondo al di fuori di una psicosi che sfalda spazio e tempo davanti ai suoi occhi. E ci sono Margherita, Angela, e la sorella Valeria, prigioniere della dissociazione mentale. Borgna si avvicina alle loro storie, - che potrebbero essere le storie di ognuno di noi, o di qualcuno vicino a noi -, con delicatezza e partecipazione, stando attento a rispettarne le parole ma anche i silenzi e le esitazioni. E interpretando conversazioni terapeutiche, diari e lettere dà vita a ritratti intensi, tratteggiati con una scrittura emotiva, capace, come nessun'altra, di cogliere le più profonde incrinature della mente e del cuore umano.
A tre anni dalle nozze con Rakel, Harry Hole, ormai vicino alla cinquantina, sembra aver trovato un suo equilibrio e la forza per tenersi alla larga dai guai. Da tempo ha chiuso con l'alcol e per lui non ci sono più casi e indagini sul campo, solo un tranquillo incarico come docente alla scuola di polizia di Olso. Ma in città due donne vengono uccise nella propria abitazione a distanza di pochissimi giorni, e una terza viene ritrovata ferita sulle scale di casa. A collegare le vittime, il fatto che tutte e tre fossero iscritte a Tinder. E un segno inconfondibile, quasi una firma raccapricciante, lasciata sui loro corpi.
Hisham Matar ha diciannove anni quando suo padre Jaballa, fiero oppositore del regime di Muammar Gheddafi, viene sequestrato nel suo appartamento del Cairo, rinchiuso nella famigerata prigione libica di Abu Salim e fatto sparire per sempre. Ventidue anni più tardi il figlio Hisham, che non ha mai smesso di cercarlo, può approfittare dello sprazzo di speranza aperto dalla rivoluzione del febbraio 2011 per fare finalmente ritorno nella terra della sua infanzia felice. Quel viaggio verso un presente ormai sconosciuto non è che lo spunto per un itinerario storico e affettivo ben più vasto. Visitando i luoghi e incontrando i parenti e gli amici che hanno condiviso con Jaballa decenni di prigionia nel «nobile palazzo» di Abu Salim, Hisham può recuperare un passato che risuona in lui con un'eco mai sopita e ritagliare i contorni di un padre che, in assenza di un corpo, risulta privo di confini. Le tappe del viaggio privato s'intersecano con la storia libica del ventesimo secolo, dalla resistenza all'occupazione italiana al flirt di Gheddafi con l'Inghilterra di Tony Blair. Ma anche all'antro più buio, all'orrore più raccapricciante, segue, in queste pagine, la luce di un dipinto di Manet, la melodia di un alam: la consolazione dell'arte e della bellezza come autentica espressione dell'uomo. E anche quando della speranza di ritrovare un padre vivo «non rimangono che granelli sparsi», lo sguardo di Matar continua a puntare risolutamente in avanti: «Mio padre è morto ed è anche vivo. Non possiedo una grammatica per lui. E nel passato, nel presente e nel futuro. Ho il sospetto che anche coloro che hanno sepolto il proprio padre provino la stessa cosa. Io non sono diverso. Vivo, come tutti viviamo, nell'indomani».
Attila e Zazzi hanno quattordici anni e sono amici per la pelle. A prima vista non si direbbe. Sono diversi in tutto: il carattere, le famiglie d'origine, il loro sguardo sul mondo. Attila è un Charlie Brown che sogna spesso a occhi aperti, con un padre assente, una madre bigotta, una sorella che se n'è andata a Milano e un nonno anarchico un po' bizzarro ma con qualche lampo di saggezza. Francesco Zazzi detto Franz invece è sguaiato, aggressivo, dichiaratamente fascista, incontrollabile negli slanci che punteggiano le sue giornate, sempre sopra le righe ma anche profondamente libero. A unire i due ragazzi c'è solo un'amicizia profonda e indissolubile, di quelle che possono nascere solo a quell'età.
La domanda alla quale queste pagine abbozzano una risposta è nella alternativa seguente. La causa di questo mondo detestabile è da cercare presso presunti nemici dichiarati dei diritti, che del resto sarebbero difficili da individuare, e quindi in un dato esteriore ai diritti, cioè nella loro attuazione difettosa, onde il rimedio debba cercarsi nel loro potenziamento? Oppure, la causa è diversa ed è intrinseca alla concezione stessa dei diritti, in un mondo come l'attuale, che si rivela sempre più ingiusto e violento e sempre più piccolo, non nel senso di complicato ma nel senso etimologico di totalità dove ogni parte sta in rapporto di interdipendenza con ogni altra parte? Questo nostro mondo è tenuto insieme da forze attrattive centripete potenti. Paradossalmente, la rivendicazione di diritti, invece che promuovere diversità e diversificazione, rischia di spingere all'uniformità e all'omologazione.
Enzensberger è autore poliedrico: saggista, pamphlettista, romanziere, scrittore per l'infanzia, memorialista. Però forse i suoi libri entrati più vigorosamente fra i classici del Novecento sono quelli di poesia. E "Mausoleum", uscito in Germania nel 1975, è una pietra miliare del suo itinerario poetico. E un libro costituito da trentasette ballate dedicate ad altrettanti personaggi che hanno fatto, come dice il sottotitolo, «la storia del progresso»: da Giovanni de' Dondi che nel Trecento costruì l'orologio di Padova a un altro italiano, Ugo Cerletti, che sei secoli dopo inventò l'elettroshock. In mezzo: Campanella, Leibnitz, Linneo e tanti altri pensatori e scienziati. Se già Leopardi diffidava delle «magnifiche sorti e progressive» del mondo, Enzensberger ha uno sguardo ancora più perplesso sulla modernità. Per lui l'aspirazione al dominio totale della natura ha creato un modello destinato a portare l'umanità al disastro. E a volte ha forgiato un tipo di scienziato squilibrato, sadico, dai deliri onnipotenti, come quello della ballata dedicata a Lazzaro Spallanzani che si eccitava compiendo mostruosità sugli animali «a fini di studio».
Per meglio ricordare Falcone e Borsellino, partiamo da più lontano. Da quell'undici giugno del 1969, quando si apre il processo di Bari che rompe il silenzio sulla mafia, passando per l'uccisione del giornalista Mario Francese, e Totò Riina, Leoluca Bagarella e Bernardo Provenzano, il sacco di Palermo e la guerra dei Corleonesi. E Francesca Morvillo e Ninetta Bagarella. Le morti di Boris Guliano, Cesare Terranova, Pio La Torre, Rocco Chinnici e Carlo Alberto Dalla Chiesa. La strage di Ciaculli, la nascita del pool antimafia, la stagione dei pentiti, il maxiprocesso. Arriviamo così alle stragi di Capaci e di via D'Amelio. Alla reazione dello Stato e il 41bis, la morte di don Pino Puglisi. Fino a giungere alle relazioni tra mafia e politica. E al silenzio della mafia.