Nel 2008, a sedici anni dalla scomparsa dell'artista, nel pieno di uno sviluppo storiografico che deve rinunciare al rapporto con la sua persona e con l'evoluzione della sua opera, la critica si trova in una fase così delicata da richiedere una verifica del modo di leggere e recepire l'arte di Francis Bacon. Luigi Ficacci torna a indagare un aspetto particolare della sua poetica: il profondo rapporto che lega i due grandi maestri nell'identica percezione di un flusso della spiritualità umana in cui entrambi collocano l'arte, un flusso che condurrà l'occhio odierno a guardare Michelangelo con l'esilarante disperazione di Francis Bacon. Il fulcro del saggio è "Study from the Human Body" di Melbourne: un titolo simile avrebbe potuto essere attribuito facilmente a un disegno di Michelangelo. È un eroe-uomo colto in un passaggio di evanescenza dalla propria potenza; figura dalla sensualità oscura, gravata da un imprecisabile senso di tragedia, carica di potenza e disfatta. Bacon di spalle, mentre esce di scena, rivela un aspetto di grevezza del meccanismo della forza, qualcosa che svela il peso schiacciante della potenza e la vulnerabilità dell'uomo; ma anche lo stato latente della sua forza animale e la possibilità, nell'azione, di elevarsi istantaneamente a una violenza oltre i limiti; e anche che la potenza e la sua capacità di trasfigurare il corpo sono governati da un'incombenza dell'irrazionale o del fato, più che da un'azione determinata dalla volontà.
Il tema di questo libro è la rivoluzione della pittura, anzi dello "sguardo", attorno all'anno 1300. Il giovane Giotto ne è il protagonista: se ne seguono i tragitti attraverso i luoghi più colti e alla moda del tempo, la corte dei papi, la città di Firenze, il nord-est ricco e studioso tra la corte malatestiana di Rimini e il Veneto, con la Padova dei magnati e dei finanzieri. È soprattutto la storia dei due grandi cantieri che furono la scena della prima parte della sua vita: la basilica di Assisi, e Padova, tra la cappella degli Scrovegni e la basilica del Santo. Attorno all'operare del maestro e delle sue botteghe, prendono vita i personaggi e i luoghi dell'Italia del voltare del secolo: usando le chiavi dell'indagine stilistica e di quella tecnica, la lettura dei programmi iconografici e dei metodi della bottega e del cantiere, spiando gli indizi nelle opere e nei documenti, si comprende come Giotto abbia saputo, come nessuno, segnare il nuovo contatto con il mondo, la moderna capacità del narrare con le immagini, il ritrovato amore per la natura.
La collezione di Ardea è costituita da più di ottanta opere tra sculture, bozzetti e medaglie, quasi tutte in bronzo, realizzate da Manzù tra il 1927 e il 1984, e da circa trecentotrenta opere tra disegni, incisioni e bozzetti di costumi teatrali, eseguiti tra il 1940 e il 1980. La mostra presenta una selezione di un centinaio di disegni e incisioni dell'artista dal 1937 al 1980, la maggior parte dei quali molto raramente esposta al pubblico. La divisione cronologica permetterà di avvicinarsi al lavoro dell'artista, evidenziando i suoi cicli tematici quali le serie di schizzi dedicati a Papa Giovanni, i Partigiani, sua moglie Inge o ancora gli Amanti.
Nell'immaginario europeo e americano lo zen ha assunto connotazioni estranee al mondo del sacro, ma che devono a mode estemporanee, retaggio forse della passata ricezione istintuale e poco rigorosa dal punto di vista specifico di un messaggio che è prima di tutto un insegnamento religioso. Per liberarsi di questi luoghi comuni occorre partire dal buddhismo. Lo zen è infatti una scuola buddhista originatasi in Cina dove era conosciuta sotto il nome di chan, meditazione, a indicare l'identificazione stessa della scuola con la pratica per eccellenza che la caratterizza, trasmessa dalla Corea. Intento del dizionario è quello di suggerire percorsi di approfondimento all'interno della storia, della realtà e della pratica quotidiana dello zen.
Un volume dedicato alla civiltà indiana, in cui definire l'India da un punto di vista geografico è una premessa indispensabile. L'India antica è più vasta dello stato che conosciamo con questo nome. Per questa ragione l'espressione "Subcontinente indiano" è preferibile, soprattutto in riferimento al periodo precoloniale. A livello temporale invece, a parte una parentesi sull'arte rupestre, l'inizio della civiltà indiana viene convenzionalmente fisato nella protostoria, con la civiltà della Valle dell'Indo. L'arco cronologico è qui esteso fino al 1857, anno della caduta dei Moghul e dell'annessione ufficiale da parte dell'Impero britannico.
Quando le culture della Mesoamerica si svelarono in tutto il loro splendore agli occhi dei primi europei, suscitarono reazioni contrastanti. Da un lato c'erano l'orrore dei sacrifici umani e del cannibalismo rituale, dall'altro una vita urbana ricca e articolata in cui non mancava quasi nulla di ciò che, secondo i criteri del XVI secolo, doveva caratterizzare la civiltà: la scrittura, la matematica, l'arte, il calendario, l'architettura e organizzazioni socio-politiche basate sull'ordine, la coesione e la gerarchia. A partire dal XX secolo, tuttavia, questi atteggiamenti contrastanti hanno lasciato spazio a una sempre crescente ammirazione per le culture precolombiane. In questo clima, dunque, è abbastanza frequente leggere che i Maya erano grandi astronomi e grandi matematici, che i Toltechi erano grandi architetti ecc. A ben vedere, però, quest'esaltazione finisce per rimuovere la radicale diversità di queste culture. Scopo di questo volume è quello di documentare tale diversità.
Il volume presenta alcuni percorsi della storiografia artistica del Novecento raccogliendo i testi "in memoriam" dedicati da illustri studiosi a storici dell'arte europei che ne sono stati tra i maggiori protagonisti. La peculiarità del genere, che sull'antica radice umanistica ha visto fiorire la tradizione anglosassone degli "obituaries", sta nell'intreccio di dati biografici e riflessione critica sull'attività delle singole figure che emerge attraverso la lente di un confronto ravvicinato. Nella loro varietà cronologica e geografica questi epitaffi restituiscono il dialogo tra le generazioni e, nel rapporto tra destini individuali e sviluppi della disciplina, disegnano una mappa degli scambi di idee, dei temi di ricerca, dei problemi di metodo che hanno segnato la storia dell'arte sullo sfondo delle maggiori vicende politiche del XX secolo.
Il genere "paesaggio" è sostanzialmente estraneo alla cultura figurativa greca e romana. I paesaggi raffigurati sulle pareti delle case romane sono paesaggi tipizzati, con un continuo ripetersi degli stessi motivi, e con una noncuranza per un qualsivoglia sistema prospettico costruito secondo una logica matematica unitaria. Ogni pittura è composta da oggetti che vivono più o meno isolatamente dagli altri in uno spazio continuamente negato come elemento unificante. Era diffusa, invece, la pittura cartografica che voleva la mano di veri pittori di paesaggi, detti "topographoi", i quali, pur adottando le medesime tecniche e formulazioni prospettiche della grande pittura di fantasia, producevano vere e proprie carte "corografiche", come la Città dipinta dal Colle Oppio o la Zuffa tra Pompeiani e Nucerini presso l'anfiteatro da Pompei, simili per molti versi a quelle moderne prodotte lungo la Galleria delle Carte Geografiche nei Palazzi Vaticani.
Il volume è il catalogo della mostra di Milano (Castello Sforzesco, 7 dicembre 2007 - 2 marzo 2008). La mostra presenta, attraverso rari e unici materiali originali, la passione di Leonardo da Vinci per gli studi sulle proporzioni della figura umana e sulla divisione modulare del corpo del cavallo. Leonardo da Vinci dedicò, infatti, numerosi capitoli del suo Trattato della Pittura alle proporzioni delle membra umane e alla "membrificazione" degli animali e al loro moto anche attraverso descrizioni di battaglie e di cavalli in lotta. Il volume raccoglie disegni rari, schizzi e documenti legati a questa produzione e ne riporta intatta tutta l'armonia.