"Se volessimo tener fermo il senso proprio, filosofico e non meramente letterario della parola romanticismo, dovremmo audacemente sostenere che esiste un unico, grande romantico: Novalis. E come corollario dovremmo dire che il più grande testo romantico, se non l'unico, sono gli 'Inni alla notte'. [...] Cos'è dunque, in breve, la poesia per Novalis? La poesia è magia immaginativa dell'io. Novalis riprende quindi l'idea fichtiana dell'io assoluto, interpretandolo però non come semplice soggetto trascendentale, ma come fonte infinita di realtà; l'idealismo diviene magico: la fantasia e la volontà del soggetto individuale - cioè del poeta - si fanno onnipotenti, dal momento che sono in grado di creare e trasformare il mondo. La poesia è dunque l'atto supremo, la libertà creativa assoluta; la trasformazione reale del mondo terreno, il fare dei casi della vita quel che ci pare, il servirsene a proprio capriccio: 'quel che io voglio essere, io lo sono'." (dall'Introduzione di Susanna Mati)
Alla richiesta del figlio di ricevere in regalo un pupazzo dei Simpson, il padre gli regala invece un salvadanaio a forma di porcellino, per insegnargli il valore del denaro. Se il bambino berrà il latte tutte le mattine senza vomitare, riceverà una moneta, che metterà nel porcellino. Quando le monete smetteranno di tintinnare nel salvadanaio di terracotta vorrà dire che è pieno e il bambino potrà comprarsi il pupazzo dei Simpson. Quando arriva il giorno tanto atteso il padre consegna al figlio un martello e lo invita a rompere il salvadanaio. Nel frattempo però il bambino si è affezionato al porcellino, che è diventato il suo compagno di giochi preferito, e l'idea di ucciderlo gli fa orrore. Come potrà salvarlo dagli intenti educativi del padre? Un'edizione speciale, illustrata da David Polonsky, per il racconto di Etgar Keret. Una storia di formazione che parla del valore del denaro e che cosa significa davvero amare. Per grandi e piccini. Età di lettura: da 6 anni.
Può una donna decidere di cambiare vita a settant'anni? Secondo Ellinor, sì. Anche se ha sempre lasciato che fossero le circostanze a scegliere per lei, appena rimasta vedova abbandona gli agi dei sobborghi di lusso per tornare nel quartiere operaio del centro di Copenaghen dove ha trascorso l'infanzia e l'adolescenza. Il quartiere è cambiato: adesso ci sono le prostitute, i pusher e gli hipster, ma a lei non importa, le importa solo che dalle finestre della sua nuova casa si veda il portone di quella in cui ha vissuto da bambina. In una lunga lettera alla sua migliore amica, morta tanti anni prima, fa il bilancio della propria vita, segnata da inganni e tradimenti, da dolori e lutti, e da un grande, terribile segreto.
Due fratelli indagano sulla morte del padre, ex operaio Fiat ucciso nel suo bar di Centocelle durante una rapina. A raccontare è il più giovane, che scopre una misteriosa dedica in codice - "Non lasciarmi sola, Clelia1979" - sul retro di una cornice. Si apre così uno spiraglio sul passato insospettabile del padre. Dietro all'immagine del barista ironico e tifoso della Roma emerge uno sconosciuto segnato da segreti e contraddizioni che affondano negli anni della contestazione e della lotta armata. Tito, il primogenito, di quel passato è certo: ha raccolto con scrupolo le prove che dimostrano come il padre abbia sempre fatto la scelta più onorevole, dalla parte dello Stato. Il minore invece, tormentato dai dubbi, si trova a fare i conti con il fantasma del padre, che gli appare in forme e visioni sempre più allucinate per dire la sua storia e mostrare una strada verso la possibile verità sul suo omicidio. I due fratelli - che da anni non si parlano, schierati su versanti ideologici opposti - sono costretti a collaborare, diffidano l'uno dell'altro, si rinfacciano colpe, si passano alcune informazioni ma ne omettono molte altre. Il maggiore, un poliziotto convinto protagonista dei fatti avvenuti alla Diaz e a Bolzaneto, è aiutato dall'accesso a documenti riservati dei servizi segreti attorno agli anni di piombo; il minore ha al suo fianco due amici scalcagnati e irresistibili. E poi c'è Elena, un'hacker che lo accompagna con intuito e rigore matematico nella ricerca dell'assassino, sciogliendo la sua cronica incapacità di decidere e spingendolo oltre l'indolenza e la paura. Per svolte inaspettate, supposizioni e disvelamenti, la domanda "chi ha ucciso il padre?" trascina il lettore in un groviglio di colpe e responsabilità dove, in un crescendo hitchcockiano, sembra impossibile giungere alla verità. E, più che mai, essere in grado di dimostrarla.
Siete alle prese con capi egocentrici o poco rispettosi? Con manager preoccupati di mettersi in bella mostra e di mantenere, senza riguardo, la loro posizione di potere? E che dire di colleghi o sottoposti che, più o meno subdolamente, avvelenano la vita lavorativa esaltando se stessi, mettendo gli altri in difficoltà o svilendoli? I narcisisti popolano la nostra sfera lavorativa e, di volta in volta, si mostrano adulatori, megalomani, egocentrici, supponenti, prepotenti, irascibili, subdoli, egoisti, bugiardi, insensibili, colpevolizzanti: in una parola, stronzi! Dover lavorare con soggetti simili è una vera sfida, non solo perché possono avere effetti deleteri su colleghi e collaboratori, ma anche, e soprattutto, perché avere a che fare con loro obbliga a confrontarsi con le ferite personali, con i bisogni, i vuoti e le insicurezze che si vorrebbero tenere nascosti, soprattutto in ufficio. Scovare e comprendere i narcisisti è il primo passo per neutralizzarli. Bärbel Wardetzki, in questo saggi, ci spiega come.
Emmanuel Lévinas è un ebreo lituano che diventa allievo di Martin Heidegger nella Germania dell'ascesa hitleriana, si trasferisce in Francia e porta con sé il lessico drammatico dell'esistenzialismo tedesco. Si riavvicina gradualmente alle sue radici, ripercorre la ricchissima tradizione della teologia ebraica fino ad arrischiare una toccante, radicale, personalissima rivisitazione della tradizione ebreo-orientale dei lettori e commentatori della Torah. Si trova a lavorare al confine tra due mondi e tra due linguaggi. Tra due sapienze, come le definisce Silvano Petrosino. Da un lato c'è l'invenzione greca della filosofia, della scienza dell'essere, del sapere come ricerca della verità, della tecnica e dell'economia come estrema realizzazione di quella ricerca e di quella vocazione antica. Dall'altro c'è l'invenzione ebraica del monoteismo, la fede inaudita di un popolo in un Dio che promette, che giudica, che consegna all'uomo una parola decisiva ed enigmatica. L'Europa di oggi, con le sue contraddizioni e le sue ricchezze, con le sue aperture irrinunciabili e le sue chiusure catastrofiche, è la terra dilaniata in cui greci ed ebrei continuano questo loro millenario e sorprendente dialogo. Con un'ipotesi interpretativa che coglie il filo rosso dell'intera opera di Lévinas, Silvano Petrosino, uno dei massimi specialisti del suo pensiero a livello internazionale, ci accompagna con appassionata chiarezza nel laboratorio vertiginoso di questo grande classico contemporaneo.
Alejandro Jodorowsky ci regala pillole di saggezza e di sentimento, per allontanare i cattivi pensieri, correggere posture mentali distorte, cominciare la giornata con una carica di ottimismo. E lo fa interagendo con i suoi lettori, in un dialogo continuo, come spiega nella sua introduzione: "La letteratura da eremiti narcisisti giace nel mausoleo del Ventesimo secolo. Adesso la letteratura, e specialmente la poesia, nascono dalla collaborazione stretta fra lo scrittore e i suoi lettori: insieme creano l'opera. Si connettono con te, ti seguono, ti rispondono ma se quello che dici non è quello che vogliono sentirsi dire, ti chiudono la bocca con un unfollow e ti abbandonano. Te li devi guadagnare giorno per giorno, devi sorprenderli, convincerli, coccolarli, accarezzarli. Tu sei la barca che li traghetta, navigando sull'oscuro mare dell'inconscio per arrivare alla Coscienza". Nella parte finale, una serie di domande frequenti da parte dei suoi lettori e follower, cui risponde dando anche suggerimenti di psicomagia.
Non ingombrare, non essere ingombranti: è l'unica prospettiva che si possa contare fra quelle positive, efficaci, forse anche moralmente e politicamente buone. Gabriele Romagnoli ha avuto modo di pensarci in Corea, mentre era virtualmente morto, chiuso in una cassa di legno, per un bizzarro rito-esperimento. Nel silenzio claustrofobico di quella bara, con addosso solo una vestaglia senza tasche (perché, come si dice a Napoli, "l'ultimo vestito è senza tasche"), arrivano le storie, le riflessioni, i pensieri ossessivi che hanno a che fare con la moderazione. Il bagaglio a mano, per esempio. Un bagaglio che chiede l'indispensabile, e dunque, chiedendo di scegliere, mette in moto una critica del possibile. Un bagaglio che impone di selezionare un vestito multiuso, un accessorio funzionale, persino un colore non invadente. Il bagaglio del grande viaggiatore diventa metafora di un modello di esistenza che vede nel "perdere" una forma di ricchezza, che sollecita l'affrancamento dai bisogni, che non teme la privazione del "senza". Anche di fronte alle più torve minacce del mondo, la leggerezza di sapersi slegato dalla dipendenza tutta occidentale della "pesantezza" del corpo, e da ciò che a essa si accompagna, diventa un'ipotesi di salvezza. Viaggiare leggeri. Essere leggeri. Vivere leggeri. Gabriele Romagnoli centra uno dei temi decisivi della società contemporanea e della sopravvivenza globale e scrive una delle sue opere più saporite, il racconto di una rinascita, di un risveglio.
Un'isola uncinata al cielo con le sue rocce plutoniche, attracco difficile, fuori dai tracciati turistici, dove buca il cielo un faro tuttora decisivo per le rotte che legano Oriente e Occidente. Paolo Rumiz, viandante senza pace, va a dividere lo spazio con l'uomo del faro, con i suoi animali domestici: si attiene alle consuetudini di tanta operosa solitudine, spia l'orizzonte, si arrende all'instabilità degli elementi, legge la volta celeste. Gli succede di ascoltare notizie dal mondo, e sono notizie che spogliano l'eremo dei suoi privilegi e fanno del mare, anche di quel mare apparentemente felice, una frontiera, una trincea. Il faro sembra fondersi con il passato mitologico, austero Ciclope si leva col suo unico occhio, veglia nella notte, agita l'intimità della memoria (come non leggere la presenza familiare della Lanterna di Trieste), richiama, sommando in sé il "gesto" comune delle lighthouse che in tutto il mondo hanno continuato a segnare la via, le dinastie dei guardiani e delle loro mogli (il governo dei mari è legato all'anima corsara delle donne), ma soprattutto apre le porte della percezione. Nell'isola del faro si impara a decrittare l'arrivo di una tempesta, ad ascoltare il vento, a convivere con gli uccelli, a discorrere di abissi, a riconoscere le mappe smemoranti del nuovo turismo da crociera e i segni che allarmano dei nuovi migranti, a trovare la fraternità silenziosa di un pasto frugale.
L'epica storia d'amore tra la giovane Alma Belasco e il giardiniere giapponese Ichimei: una vicenda che trascende il tempo e che spazia dalla Polonia della Seconda guerra mondiale alla San Francisco dei nostri giorni.