Max Kutner, un povero calzolaio ebreo polacco, emigra a Rio de Janeiro negli anni '30. Un giorno, casualmente, viene convocato dalla polizia per tradurre lettere e documenti scritti in yiddish da sottoporre agli addetti alla censura. Entra così nell'intimità di tante vite, scopre sentimenti a volte banali, ma anche profondi e commoventi. Fra tutte le lettere, sono quelle scritte da Hannah alla sorella che vive a Buenos Aires che lo colpiscono di più per la saggezza e la sensibilità che racchiudono. Mosso da un sentimento di curiosità e di crescente amore per questa sconosciuta, Kutner non potrà fare a meno di cercarla, ma Hannah si rivelerà però assai diversa dalla donna che lui aveva romanticamente immaginato. Il suo amore lo spingerà a seguirla in un susseguirsi di avventure che lo porteranno in mondi sconosciuti pieni di un'umanità disperata e assetata di vita dove imparerà che la realtà non è così semplice da poter essere tradotta in desideri avverati.
Il libro affronta da un punto di vista esegetico e spirituale l'analisi dei quindici Salmi che, dal Salmo 120 al 134, portano il titolo di "Canti dei gradini". L'analisi è condotta utilizzando i metodi interpretativi della Scrittura propri della tradizione ebraica e privilegia un approccio al testo che mira a fare emergere quei sensi che la Parola in sé contiene ma che, per essere svelati, hanno bisogno di un lavoro di ricerca umile, continuo e pronto ad affidarsi solo alle parole del testo, alla loro leggerezza e alla loro pesantezza, alla loro semplice e piana voce di preghiera e alle loro complesse risonanze spirituali. Se è vero, come insegna la tradizione rabbinica, che nella Torà non c'è un prima e un dopo, ogni parola della Scrittura può essere una porta che si apre su infiniti microcosmi che solo l'interpretazione è capace di svelare e di compiere. Fra le parole contenute nella Scrittura quelle dei quindici Canti dei gradini hanno una forza particolare perché ci inducono alla elevazione del cuore e perché ci confortano nel cammino dell'attesa in quanto proclamano la fedeltà di Dio alle promesse. I quindici Salmi sono, quindi, quindici gradini di un percorso spirituale che consente all'uomo di cercare Dio là dove si lascia trovare e di procedere, gradino dopo gradino, lungo la scala che dall'abisso, in cui ad ogni passo rischia di cadere, lo eleva al bene che può essere compiuto in ogni momento e in ogni luogo quando si affida completamente a Dio e compie la sua Parola.
I testi medievali della mistica ebraica dedicano molte pagine alla musica e al canto, ma non è agevole ricostruire dai numerosi passi che trattano questo tema una concezione rigorosa e coerente. Tuttavia dalle affascinanti e spesso fantasiose osservazioni sulla funzione del canto nell'ebraismo si possono ricostruire le idee portanti su ciò che la musica ha rappresentato nel corso dei secoli. Se è vero che esiste un ebraismo più volto verso una concezione razionalistica e un ebraismo più volto verso il misticismo, indubbiamente quest'ultima corrente ha privilegiato la musica e il canto, sino a identificarli con la preghiera. Lo Zohar, il grande testo medievale della mistica ebraica, ha rappresentato una fonte inesauribile di osservazioni su questo tema: questa ricerca ha puntato soprattutto a una lettura, spesso tra le pieghe di questo affascinante libro esoterico, delle pagine dedicate alla musica. Ne emerge una concezione ovviamente molto lontana da ciò che nella cultura occidentale si è inteso per l'arte dei suoni. Ma l'interesse nasce proprio dal confronto tra due tradizioni culturali molto diverse tra loro ma che in qualche modo hanno entrambe portato il loro contributo allo sviluppo della civiltà musicale in cui viviamo.
Yosef, il protagonista del romanzo, è arabo da parte di padre ed ebreo da parte di madre. Nel suo desiderio di appartenenza e nella sua anima sensibile d'artista si rispecchiano la storia e le ambizioni di due popoli irrequieti: un'eredità eccessiva e non sostenibile. In una lunga confessione, Yosef scandaglia la storia della sua famiglia ripercorrendo con commozione gli amori e i rapporti di amicizia che si sono intessuti nel tempo e che hanno dato vita a quel frutto ibrido e sofferente che egli sente di essere. Sullo sfondo, scorre inarrestabile e paradossale la storia d'Europa e del Medio Oriente, e a Yosef non servirà dipingere il deserto di rosso né portare la pioggia al Caffé Kassit per modificare il corso degli eventi. Yoram Kaniuk scava in profondità nelle radici della lotta tra due popoli per la stessa terra, e le contraddizioni, narrate senza filtri ideologici, danno al romanzo un timbro di favola stravagante e commovente che rispecchia la dissacrante filosofia e l'originalità dell'autore.
"Questo libro sicuramente non è un libro di Qabbala. L'ho voluto più vicino a un soffio che alza nell'aria spore sfuggevoli, da trattenerne a stento qualcuna in mano. Tuttavia ho cercato di non stemperare, di non scendere a miti compromessi. Spero risulti consapevolezza di una ritrosia della trascendenza. Piccole scintille da braccare per metterle - perché no - in sorriso." (Haim Baharier)
"Questo libro si è sviluppato nel corso di molti anni, come il frutto maturato lentamente di un lungo lavoro di ricerca e di interpretazione della grande letteratura chassidica, dei suoi insegnamenti e delle sue leggende". Con queste parole Martin Buber ci introduce agli otto saggi che compongono "Il messaggio del chassidismo", che, scritti tra il 1921 e il 1943, costituiscono il necessario complemento metodologico di quelle centinaia di storie e leggende chassidiche che il filosofo raccolse nell'arco della sua intera vita. Qui, anche attraverso una serie di paralleli che vanno da Shabbetay Tzvi a Baruch Spinoza, da Plotino a Meister Eckhart, da Jakob Frank ai profeti dell'Antico Israele, fino alla mistica sufi e al buddhismo zen, si dispiega la formulazione classica dell'interpretazione buberiana del chassidismo, la quale, intrecciandosi con le tesi del pensiero dialogico, di cui Buber fu sommo esponente, trova una sua densa sintesi nel sintagma "mistica divenuta ethos". Dei numerosi volumi dedicati da Buber alla mistica ebraica dell'Europa orientale - riconosce espressamente il filosofo - "questo è l'unico in cui esprimo in modo immediato quel messaggio che il chassidismo non volle essere ma che fu, ed è - per l'umanità".
L'importanza della storia della lingua ebraica va molto al di là dell'aspetto meramente linguistico. In quanto lingua della Bibbia, l'ebraico fu considerato per molto tempo dai teologi come «la madre di tutte le lingue». La sua storia è tutt'uno con quella del popolo ebraico nella sua terra prima e nella Diaspora poi. Dopo secoli di torpore, durante i quali l'ebraico era diventato solo una lingua liturgica e una lingua scritta, miracolosamente è tornato a rivivere nella terra che l'ha visto nascere.
"Non sono sicuro di cosa ricordo per davvero, perché non mi fido della memoria. La memoria è furba e non possiede un'unica ed esclusiva verità. E poi che cosa conta sul serio? Una bugia che viene dalla ricerca della verità può essere più vera della verità. Tu pensi e un attimo dopo ricordi solo quello che vuoi. Avevo diciassette anni e mezzo, ero un bravo ragazzo di Tel Aviv finito in mezzo a un bagno di sangue. Sto cercando di pescare me stesso da dentro quel che mi pare siano ricordi". "1948" non è soltanto la cronaca della nascita di uno Stato, ma è un romanzo sulla crudeltà della guerra, sull'incoscienza della gioventù, sui paradossi della storia e su quella labile eppure fondamentale ancora di salvezza dell'uomo chiamata memoria.
"Reinventando una zoologia del folclore ebraico, il tratto straordinariamente brillante di Mark Podwal unisce un ingegno strabiliante a una gioiosa originalità. Il suo disegno dell'ombra dell'impero romano è il condensato di un'intera storia di tirannia politica. Questo solo disegno - un piccolo capolavoro - è la prova della grande capacità di concettualizzazione di Podwal. Il suo è il genio della metafora attraverso il tratto, un tratto così potente che deve essere caduto da una delle penne del fantastico."
"A quei tempi, non esisteva alcun canone della scrittura sulla Shoah, e neanche la parola. Non si sa come raccontare l'inenarrabile. Marek Edelman è uno dei primi a tentare. Il risultato: questo testo è oggi più attuale che mai. Lo è perché non è un racconto epico delle gesta belliche, ma una storia su come un gruppo di ragazzi e ragazze abbia tentato di riscattare la dignità e salvare la vita di un'intera città che si voleva condannata a morte e all'ignominia." (dall'Introduzione di W. Goldkorn)