Il libro è dedicato a una delle più affascinanti leggende dell'ebraismo: quella di Enoch, già citato nella Genesi in relazione al suo rapimento divino ("Poi ... non fu più perché Dio l'aveva preso"), ed esaltato nella vasta letteratura posta sotto il suo nome come depositario d'un sommo sapere celeste. Grazie alle rivelazioni dell'angelo Uri'el, signore delle stelle, contemplò infatti tutti i segreti del cosmo, oltre a visitare meravigliosi reami paradisiaci e ad ascendere in sogno ai palazzi della dimora divina. Tutto ciò è narrato nel Libro di Enoch, celebre apocalisse apocrifa giudaica di cui il presente saggio esplora la trama simbolico-esoterica. Il lavoro comprende anche la prima traduzione italiana della versione greca del Libro dei Vigilanti (la sezione più nota del Libro di Enoch) e le relative note esplicative e filologiche.
"Da bambino leggevo questi racconti biblici con uno stupore misto ad angoscia. Immaginavo Isacco sull'altare, e piangevo. Vedevo Giuseppe principe d'Egitto, e ridevo...". A questo stupore e a questa angoscia Elie Wiesel fa partecipare i lettori di queste pagine. A partire dalle fonti bibliche e attraverso le leggende del Midrash, parla di alcuni grandi personaggi della Bibbia e riscopre il senso della loro storia con una interpretazione poetica e al tempo stesso problematica. Adamo, Caino e Abele, Abramo e Isacco, Mosè, Giobbe sono qui rievocati nella densità della loro umanità, nel significato della loro vita, nella perenne attualità del loro messaggio.
Reduce dalla deportazione ad Auschwitz e Ravensbrück, l'undicenne Ceija Stojka giunse nel campo di concentramento di Bergen-Belsen al principio del 1945. Vi sarebbe rimasta - insieme alla madre e ad altri parenti - fino all'aprile dello stesso anno, quando il lager venne liberato dai soldati dell'esercito britannico. Di lì a poco poté intraprendere il lungo viaggio per tornare nella sua città, Vienna. Dopo oltre mezzo secolo, l'ormai settantenne Ceija Stojka ricorda i mesi trascorsi a Bergen-Belsen. Descrive senza enfasi la spaventosa quotidianità - l'onnipresenza della morte, il tormento della fame, le violenze subite, la ferma volontà di sopravvivere - e ce ne restituisce un'immagine vivida. Pur avendo visto di quali crudeltà gli esseri umani sono capaci, le parole di Ceija Stojka non tradiscono odio né amarezza. Da esse traspare piuttosto un ostinato interrogarsi su un aspetto: come hanno potuto, tanti uomini, mettersi così ciecamente nelle mani di un altro uomo, di un regime sanguinario? Il suo racconto non fornisce risposte al riguardo ma trae esplicitamente origine da una impellente necessità: ricordare per combattere la sopraffazione e l'oblio, poiché ciò che è stato può ripetersi.
Le difficoltà che una persona estranea al mondo ebraico trova nel penetrare a pieno l'Ebraismo ed a comprenderne tutte le forme di espressione è da collegare soprattutto alla varietà ed alla molteplicità dei suoi aspetti. L'affermazione secondo cui l'Ebraismo equivale ad uno stile o ad un sistema di vita si riferisce giustamente al valore pragmatico della dottrina ebraica che permea ed investe ogni aspetto della vita sia dell'individuo che della società. Questa asserzione evidenzia la complessità dell'Ebraismo che è altrettanto vario come la vita nei suoi tanti aspetti. Ripercorrere i vari modi di espressione dell'Ebraismo, modi che ritrovano la loro fonte nella Torà, la Parola divina, così come avviene nell'opera di Ernest Gugenheim, significa al tempo stesso individuare i motivi fondamentali da cui l'ebreo di ogni epoca e condizione ha ricavato il sostegno spirituale e lo stimolo per la propria religiosità. (dalla Prefazione di Elio Toaff)
Nelle taverne di un porto del mar Nero, Ismaele Baruch, il bambino prodigio, canta i dolori e le gioie dei miserabili, degli emarginati, degli esclusi. Il suo talento affascina il poeta in crisi Romain Nord e la sua amante, la "Principessa", una ricca vedova in cerca di nuove emozioni. Strappato al suo mondo di miseria, Ismaele diventerà il giocattolo di una società aristocratica, pronta all'entusiasmo quanto al disprezzo, che finirà per umiliarlo inesorabilmente.
Il volume, che raccoglie gli atti del convegno per i trenta anni dalla morte di Hannah Arendt, offre una visione sfaccettata di una pensatrice così complessa, che ha sviluppato la sua riflessione a fronte delle questioni più cruciali del Novecento, di cui ha saputo cogliere i prolungamenti nel presente e nel tempo avvenire. Le autrici e gli autori dei saggi di questo libro si sono già cimentati a più riprese con i testi di Hannah Arendt.
Il dizionario italiano-ebraico, ebraico-italiano contiene oltre 50.000 voci comprese espressioni idiomatiche e slang; traslitterazione completa in due lingue con indicazione della pronuncia corretta; spiegazioni utili per la scelta della traduzione.
L'ebraismo, rifiutando con decisione l'idea di fato, riconosce all'uomo la possibilità di plasmare il proprio futuro, abbandonando il peccato e facendo ritorno a Dio. Teshuvà, che in ebraico significa appunto "ritorno", nel linguaggio rabbinico indica pentimento, rifiuto del peccato, confessione della colpa e richiesta di perdono alla parte lesa, e rappresenta l'unico mezzo per alterare il rapporto obbligato tra peccato e punizione. In questo breve trattato, articolato in dieci capitoli, Maimonide espone le norme che aiutano l'uomo a raggiungere il pentimento, delineando autentici "percorsi di ritorno".
"Qohelet Rabbah" cerca di dare ragione delle tante enigmatiche affermazioni di Qohelet (Ecclesiaste), uno dei testi più enigmatici della letteratura biblica. Redatto in Palestina tra VIII e IX secolo e.v. in ebralco e aramalco, il Qohelet Rabbah, qui tradotto per la prima volta in italiano, è un midras esegetico che analizza e interpreta il testo di Qohelet da vicino, versetto per versetto, addirittura parola per parola, servendosi di materiale tratto da midrasim più antichi - soprattutto Genesi, Levitico e Lamentazioni Rabbah - e da altre opere della tradizione rabbinica, tra cui i Talmudim di Palestina e di Babilonia e i Pirqé Avot.
Nell'ambito del nuovo indirizzo dell'ermeneutica dantesca, che sottolinea la necessità di uno studio che chiarisca i nessi con altre tradizioni simboliche ed esegetiche, questa ricerca evidenzia il sostrato, di base neoplatonica comune alla mistica ebraica e a quella cristiana. Partendo da un esame dello stilnuovo come un processo mirante a ricontestualizzare i topoi neoplatonici di stampo sapienziale della lirica occitanica e siciliana, per rinnovarli in una direzione mistica che sfrutta la qabbalah come deposito di tecniche utili per il raggiungimento dell'estasi, il lavoro propone una lettura in cui le diverse opere rappresentano gli stadi successivi dell'iter mistico che il poeta intende esemplificare.