In un'epoca di crisi, cosa significa appartenere e trasmettere? Contrariamente a ciò che affermano i fondamentalismi, la trasmissione di un retaggio non deve essere una replica dell'identico. Oggi come ieri, per far emergere l'inedito essa dipende da una parziale infedeltà. Coniugando filiazione e rottura, la tradizione ebraica si rinnova nutrita dal suo incontro con gli altri. Ciò implica l'apertura allo straniero, così come l'apertura al femminile. Questo libro è dunque prima di tutto un'esortazione a fertilizzare i testi sacri con letture inedite. Con questa visione aperta della religione, Delphine Horvilleur rivisita alcuni episodi della Genesi, in particolare quelli di Adamo ed Eva, Caino e Abele: la storia biblica dei primi genitori e dei primi figli dell'umanità. Tre sono poi i temi affrontati: come si forma, secondo l'ebraismo, un genitore, una identità e un desiderio, ossia la possibilità di generare il futuro. Con chiarezza e humour, citando la Torà e II Talmud, ma anche Romain Gary e Amos Oz, la Horvilleur conclude il suo libro con una analogia tra il testo sacro e il femminile, dotati entrambi della capacità di crescere e moltiplicare.
Il dottor Eitan Green è una persona onesta e un ottimo medico, impegnato a salvare vite. Una notte, guidando la sua jeep a tutta velocità nel deserto, investe un uomo, un migrante africano. L'uomo è ferito mortalmente e il dottor Green, preso dal panico, fugge. Questa decisione cambierà la sua esistenza. Il giorno dopo, una donna bella, misteriosa e dalla pelle nera bussa alla porta della casa di Eitan e gli porge il portafoglio perduto nel luogo dell'incidente. La donna lo ricatterà, ma non chiedendo soldi. Lo condurrà invece in luoghi, reali e interiori, che il dottor Green non avrebbe mai immaginata di dover esplorare.
Il nonno polacco di Eduardo Halfon arrivò in Guatemala nel 1946 dopo essere sopravvissuto alla Shoah e non tornò mai in Polonia. Aveva sempre proibito alla sua famiglia di andarci. I polacchi, diceva, ci hanno tradito. Ma poco prima della sua morte Eduardo disse ancora una volta al nonno che voleva visitare Lodz, la sua città natale. Ma lui ancora una volta si arrabbiò e sbatté la porta. Però, poco dopo, tornò con un foglietto dove c'era scritto l'indirizzo della sua casa a Lodz e lo dette al nipote come un ordine o un'eredità. Questo racconto è la storia di dove quel foglietto ha finalmente portato Eduardo: in Polonia, nelle vecchie strade di Lodz.
Ida Bonfiglioli, ebrea antifascista ferrarese, a novantanove anni festeggia la visita del nipote con un gesto guascone: una gita a tutta velocità sulla sua spider. Ha ancora lo stesso spirito anticonformista e battagliero della gioventù quando il 21 settembre 1941 corre al tempio israelitico della sua città per fotografare lo scempio operato dai fascisti che distruggono arredi e oggetti sacri. Suo marito è già stato mandato al confino per la sua opposizione al regime e i due figli cacciati dalla scuola. In un racconto-intervista, la protagonista, ripercorrendo le vicende drammatiche della sua famiglia, narra un secolo di storia italiana, dal padre irredentista che si lascia morire a Vienna pur di non combattere per l'Austria, alle leggi razziali, alla strage della lunga notte del '43 e alla fuga in Svizzera durante la quale la madre viene catturata dalle SS. E lo fa infilando gli occhiali nelle cui stanghette è celato l'apparecchio acustico, gli "occhiali del sentimento" come li chiama, giocando sul doppio senso fra udito e cuore. Ne emerge il ritratto di una donna lucida e dalla grande umanità che sopporta lutti e dolori con un'arma formidabile: quella dell'ironia. Profonda conoscitrice della musica classica, lettrice vorace di gialli, Ida accanto al ricordo dei parenti mai più tornati dai lager descrive i giorni spensierati delle partite di tennis in casa dello zio Silvio Finzi-Magrini, alla cui figura si ispira Giorgio Bassani nel romanzo "II giardino dei Finzi-Contini". E ancora rievoca la ricostruzione postbellica attraverso aneddoti e curiosità sui concerti organizzati a palazzo Bonfiglioli con grandi pianisti come Benedetti Michelangeli e Dallapiccola. Un libro che parla di passione politica e coraggio, di processi della vergogna e gesti di altruismo. E del piccolo segreto che Ida nella sua lunga vita non ha mai svelato.
Raffaele Jaffe, l'uomo che regalò a Casale un incredibile scudetto alla vigilia della Grande Guerra. Giorgio Ascarelli, il fondatore del Napoli in una stagione contraddistinta da tante felici intuizioni. Renato Sacerdoti, il presidente che per primo fece assaporare ai tifosi della Roma il sogno tricolore. Tre protagonisti del nostro calcio, oggi quasi del tutto dimenticati. Fu il fascismo, e più precisamente furono le leggi razziali, a renderli degli indesiderati. Ascarelli era già morto da tempo quando le leggi entrarono in vigore. Ma ciò non gli evitò una feroce ritorsione postuma. Jaffe e Sacerdoti, pur convertiti al cristianesimo da tempo, furono messi ai margini della società. Il preludio a quello che sarebbe successo di lì a poco. Il fascistissimo Sacerdoti, in clandestinità, riuscì a scamparla. Jaffe invece, arrestato da militi in camicia nera, terminò la sua vita ad Auschwitz. Questo libro vuole ricostruire le loro storie, non accontentandosi di ripercorrere cronologicamente fatti e situazioni. È uno sguardo d'insieme a una stagione di scelte e responsabilità, in ogni senso. Perché l'orrenda pagina del pregiudizio e della violenza fascista riguarda un po' tutti. Rileggerla attraverso lo sport, linguaggio universale per eccellenza, può forse aiutare a fare chiarezza. E al tempo stesso contribuire ad aprire nuove strade, a rafforzare la sfida di una memoria realmente consapevole.
Frutto di un'approfondita ricerca tra le fonti della Cabbalà, compresi testi difficilmente accessibili e mai tradotti, questo nuovo libro di Yarona Pinhas si presenta come una raccolta di insegnamenti e suggestioni legati alla tradizione spirituale che ruota attorno all'alfabeto ebraico. Citando Gershom Scholem, le lettere ebraiche sono nella tradizione mistica le configurazioni della forza creatrice di Dio e non esiste un mondo spirituale se non a partire dal linguaggio e dai segni potenti che gli danno voce. La comprensione della Creazione e delle sue energie passa necessariamente dai misteri che si celano nelle lettere; al tempo stesso la nostra presenza nel mondo, il saper vivere pienamente ed eticamente passa dalla consapevolezza della forza insita nella singola lettera e dell'importanza di un uso corretto del linguaggio. Questo libro vuole essere uno strumento per lo studioso di Cabbalà ma anche una porta d'ingresso, fatta di allusioni e fascinazioni, per chiunque percepisca il richiamo della mistica e la potenza delle lettere con cui l'universo è stato creato.
"Un'ebrea". Così rispondeva Hannah Arendt alla domanda "chi sei?", rivoltale quotidianamente nei tempi bui e ripresa nel 1959 per il conferimento del premio Lessing. "Un'ebrea" dunque. Lei, come tante altre. Lei, come le altre. Lei, come le donne presentate in questo libro. Ora, la prospettiva arendtiana relativa a tale condizione, situazione, imposizione - o come dire diversamente? - di essere "un'ebrea" è applicata anche alle intellettuali ebree del Novecento che sono state scelte come guide, come protagoniste o semplicemente come compagne di viaggio, ma anche come oggetto di studio di questo volume. Tale prospettiva è infatti qui utilizzata come prisma di lettura per una ricerca in comune e condivisa, volta a comprendere e a raccontare l'ebraismo nella differenza, seguendo diversi percorsi, molteplici, differenziati e singolari, sia filosofici che letterari, o semplicemente percorsi di vita, di un ebraismo declinato "al femminile". Questo libro esamina in quale modo l'origine ebraica di alcune pensatrici, scrittrici e figure femminili difficilmente classificabili abbia caratterizzato non solo le loro vite e i loro destini durante le guerre, l'esilio, le persecuzioni, lo sterminio e nel "dopo", ma come tale origine abbia anche segnato i loro percorsi intellettuali, spesso radicalmente diversi, fin dentro la scrittura delle loro opere. Allo stesso tempo, esso si propone di accostare e studiare queste autrici a partire dal punto di vista della differenza, ovvero, non tanto, non solo a partire dalle lotte per il riconoscimento della differenza sessuale e dei suoi diritti ma, soprattutto, più problematicamente, a partire dalle lotte per il riconoscimento della differenza in quanto tale. Esso si interroga quindi sul modo in cui la condizione di essere donne, di essere magari anche donne differenti e nella differenza, le abbia perfino guidate nelle loro riflessioni e nelle loro scelte di vita, a volte esplicite e di adesione, altre volte più implicite e critiche o addirittura di radicale rifiuto proprio nei confronti dell'ebraismo. In quanto donne e in quanto ebree, queste intellettuali hanno dovuto necessariamente confrontarsi (anche per la via negativa), a volte senza volerlo, con la loro nascita, con la loro appartenenza a una comunità e a un genere. In particolare, hanno dovuto ripensare, riformulare, ridire, perfino rinnegare, disdire o decostruire l'ebraismo stesso, con un'attenzione, una sensibilità e intelligenza tutte femminili, così come hanno dovuto necessariamente confrontarsi, nelle loro vite e nelle loro opere - opere nutrite di vita - con la storia, fino a farne materia del loro agire, pensare, scrivere.
«Ci sono forse uomini, bambini, pesci, uccelli o cactus capaci di capire il dolore che ci afferra quando il cane amato muore? Come si apra una voragine profonda e non ci sia niente con cui riempirla?». "La Bibbia è terminata duemila anni fa. Ma Dio ha parlato ancora. Attraverso i profeti, i santi, attraverso la vita e la morte di uomini e animali. Sì, Dio ha scelto di continuare a parlarci attraverso tutti gli esseri del creato: gli esseri che nascono, ci amano e muoiono prima di noi. Il cane Pierre, protagonista del presente libro, è in questo senso il testimone della volontà divina di rivelarci la morte." (Dalla postfazione di Paolo De Benedetti)
Scrivere poesia è, per Agi Mishol, «trovare le parole tra cui scocchi una scintilla elettrica». Scintille che illuminano con il loro bagliore improvviso frammenti di vita quotidiana, il profilo di un oggetto, l'emozione di un incontro, la tenerezza di un contatto o di un ricordo. Figlia di una tradizione poetica millenaria, Mishol si muove nella realtà che la circonda trasfigurando la banalità del quotidiano, conferendo significati inattesi a gesti, momenti e paesaggi che credevamo di conoscere. Allo stesso modo il suo sguardo ora dolente e compassionevole, ora graffiante, ma sempre alieno da ogni retorica, si posa su squarci di storia recente e contemporanea sollecitando nuovi interrogativi e nuove risposte.
Nell'estate del 1934, all'età di trentasette anni, Jacob Glatstein si mise in viaggio da New York a Lublino, in Polonia, per accorrere al capezzale della madre morente, attraversando l'Atlantico, la Francia e la Germania nazista e ripercorrendo in senso inverso la rotta delle migrazioni ebraiche in un momento in cui chi poteva tentava con ogni mezzo di fuggire dalla trappola europea. Il racconto di quel viaggio è più di un semplice romanzo, è un viaggio sperimentale, poetico e artistico alla scoperta di nuove modalità espressive, tra realtà e irrealtà. E, per l'autore, è un viaggio interiore, alla ricerca della sua identità, delle sue origini, del motivo profondo del suo essere al mondo e del suo essere ebreo. È anche un viaggio nel tempo, dove passato e presente, tradizione e modernità si sovrappongono in un dialogo serrato, e nella storia, dove il presente incombe minaccioso e la riflessione si fa politica e filosofica.