Dalla loro lontana enclave in territorio americano o cinese, i gesuiti hanno avuto un ruolo fondamentale nell'evoluzione delle idee e della mentalità del Secolo dei Lumi. Le loro lettere, che oggi dormono nelle biblioteche, hanno conosciuto un enorme successo di pubblico. Hanno appassionato Voltaire, Montesquieu e, più in generale, gli "intellettuali", eruditi o filosofi che fossero. Per la loro ampiezza, serietà, diversità dei soggetti trattati, esse meritano di figurare al fianco di opere monumentali del XVIII secolo come "Essai sur le moeuts" di Voltaire, "Encyclopédie" di D'Alembert e Diderot, "Histoire philosophique des deux Indes" di Raynal. Questo volume è dedicato alle lettere dalla Cina, che offrono al pubblico una documentazione su un mondo contemporaneo bizzarro e portentoso.
"La memoria custodisce ciò che sceglie di custodire. Come il sogno, anche la memoria cerca di attribuire agli eventi un qualche significato." Aharon Appelfeld in questo libro autobiografico accetta infine il confronto con la propria memoria. Impresa dolorosa che scortica l'anima perché la sua memoria nasconde l'esperienza di un'infanzia spezzata dall'orrore della Storia, nasconde la solitudine di un bambino costretto a vagare da solo per mesi nei boschi con l'incubo di essere riconosciuto, nasconde il suo peregrinare per mezza Europa fino all'arrivo in Israele e il suo difficile inserimento in una nuova realtà. Appelfeld sfida il dolore e disseppellisce quei ricordi che per poter continuare a vivere aveva spinto nelle zone buie e cieche della propria memoria, ci racconta la lotta di un ragazzo che ricostruisce la propria identità a partire dallo sradicamento degli affetti, della cultura, della lingua.
Eretici, giullari, provocatori e trasgressori, ma anche sante e angeli: sono i personaggi che popolano i racconti di Dario Fo, voci fuori del coro che compongono le vicende di una storia "alternativa". Eretica sarà dichiarata Mainfreda, della famiglia dei Visconti di Milano, colei che nel tredicesimo secolo raccolse l'eredità di una donna e di un angelo gigantesco, capaci da soli di difendere l'abbazia di Chiaravalle dal saccheggio furioso dei mercenari lanzichenecchi. Non eretica, ma pur sempre trasgressiva nel nome dell'amore, è Eloisa, quando ormai invecchiata racconta il suo incontro con il famoso Abelardo, la loro folle e irresponsabile passione, la terribile punizione che a lui toccherà in sorte. Trasgressori e provocatori furono senz'altro gli autori comici dell'antica Grecia, da Aristofane a Luciano di Samotracia. Ed è dunque sui loro testi, non su quelli della storia ufficiale che Fo cerca la verità della civiltà classica a cui altrimenti non si potrebbe accedere: parole di un teatro lontano, ma che parla di tirannia e di falsa democrazia, della loro mistificazione.
Mentre la Guerra civile americana è ormai alla fine, a Redemption Falls, la capitale di un immaginario territorio di frontiera nel Nordovest degli Stati Uniti, James O'Keeffe fatica a svolgere il ruolo di governatore, abbandonato da Washington e guardato con sospetto dai suoi rudi concittadini. Irlandese di nascita, con un rocambolesco passato da oppositore della Corona britannica, O'Keeffe è sposato con un'ereditiera di New York, la bella e ombrosa Lucia-Cruz McLelland. Il loro matrimonio - un'unione tormentata, cui sono dedicate alcune delle pagine più intense del romanzo - è però in crisi da un pezzo. Quando, dopo anni di separazione, Lucia decide comunque di raggiungere il marito nei selvaggi territori del West, trova non solo un uomo spaesato e distante, ma anche, con lui, un misterioso ragazzino, probabilmente uno dei tanti orfani del conflitto. Né lei né O'Keeffe - figura eroica e feroce, capace di grandezza e di meschinità, vero emblema di un periodo tempestoso e cruento - possono immaginare che, dal Sud al Nord, una giovane donna stia attraversando il paese alla ricerca proprio di quel ragazzino, in un lungo viaggio che avrà conseguenze sorprendenti sulla loro vita e sul destino di molte altre persone.
In un'ex scuderia reale di Stupinigi, vicino a Torino, una ragazza di quindici anni, figlia di un operaio Fiat, non va più a scuola e aiuta la madre a vendere verdura al mercato. Un giorno però, l'incontro con un venditore di libri le cambia la vita, perché la ragazza si imbatte per caso nelle antiche poesie dei trovatori provenzali e si mette in mente di diventare una di loro. Affascinata da quelle letture, scappa di casa: non per fare politica come tutti quelli che ha intorno, ma per... cercare l'"amore da lontano". Il romanzo, tra il realistico e il paradossale, racconta con toni un po' ilari e un po' dolenti le avventure di questa ragazza, così distante dalla storia che le scorre accanto: per amore della celebrata lontananza lei commetterà errori a volte piccoli, a volte più gravi, si infilerà in storie a volte mediocri, a volte sublimi, fino a che, alle soglie della maturità, incontrerà il sogno che - forse - nemmeno sapeva di avere.
Un giovane scrittore fiorentino, Emilio Bettazzi, va ad abitare in una grande casa di campagna che un suo caro amico, prima di morire, aveva preso in affitto. Spera di riuscire, su quelle incantevoli colline del Chianti, a scrivere un bel romanzo. Ma fin dai primi giorni gli capitano cose strane e misteriose. Sente le voci concitate di un litigio provenire da una grande villa che a detta di tutti è abbandonata da anni per via di una vecchia e terribile tragedia. Vede nella notte una sagoma umana mezza nuda che corre nei campi. E scopre che da tempo ci sono delle stragi di galline e conigli che nessuno sa spiegare, nemmeno i carabinieri. Emilio cercherà di venire a capo di quei misteri, inventandosi detective, e nel frattempo conoscerà una ragazza, Camilla, che fa il medico in quella zona. E la sua singolare indagine privata lo porterà a scoprire una verità incredibile, capace di lasciarlo sbalordito... Ma sarà anche una vicenda che lo legherà inestricabilmente a quei luoghi, tanto da indurlo a decidere di restarci a vivere per sempre.
Capelli di uno strano colore biondo ramato, occhi blu, un fascino irresistibile sugli uomini che la incontravano, la diciannovenne May era fuggita dall'Irlanda verso gli USA rubando i risparmi della sua povera famiglia di contadini. Giunta prima a Chicago e poi a New York, aveva lavorato come ladra, come ballerina e come prostituta, facendosi conoscere per la sua violenza e i suoi anelli di diamanti. Era la "regina dei bassifondi" della città. E poi l'incontro con il grande amore della sua vita, un altro viaggio transoceanico verso Parigi, i primi anni di carcere, il tentativo di uccidere l'uomo che amava, la condanna ad altri dieci anni di reclusione. E il ritorno a New York, nel 1917, una città profondamente cambiata che la accoglie nelle vesti di un nuovo amante violento, ancora la prostituzione, ancora un'altra fuga.
Concepite come annotazioni private, appunti sparsi in cui anche l'ordine cronologico viene a volte a mancare, le pagine del "Diario indiano" non vogliono essere la fedele registrazione di una vicenda autobiografica legata a un viaggio. Il viaggio naturalmente c'è, ed è quello compiuto da Allen Ginsberg nella penisola indiana tra il marzo del 1962 e il maggio del 1963, in compagnia dell'amico Peter Orlovsky e di Gary Snyder, anche loro poeti della Beat Generation; e ben avvertibile è anche la dimensione "on the road" del libro; ma molto più intenso è il lato introspettivo del viaggio, scandito dai tentativi di una presa di coscienza diretta e partecipata della vita indiana; l'autore cerca di immergersi nell'India, piuttosto che di conoscere l'India, che così diviene soprattutto il luogo ideale per un'esperienza spirituale. Assai lontano quindi dal poter essere letto come una cronaca o un reportage, il "Diario" deve la sua suggestione al fascino visionario che emanano le sue pagine, in cui le poesie "urlate" si alternano agli stati di allucinazione, le descrizioni cittadine alle trascrizioni dei sogni, le risposte laconiche dei guru agli smarrimenti dell'uomo messo di fronte all'insondabilità dello spirito e della morte. Ma, ancora di più, il libro trova misura, coesione e intensità entro i modi e i tempi della sua prosa uniforme e cadenzata, quasi scandita dal ritmo mentale di versi lunghissimi e ipnotici, fino a confondere se stessa e le poesie con cui si avvicenda in una sola lentissima musica.
Pascal Bruckner torna a trattare il tema della vergogna di sé, che egli crede di riconoscere come il male della civiltà occidentale contemporanea. Il filosofo cerca di comprendere e spiegare un paradosso: "Tutto il mondo bussa alle porte dell'Europa, vuole avere la meglio nel momento in cui quest'ultima si macera nella vergogna di sé". Riferendosi all'Europa appunto, il masochismo di cui parla l'autore nel titolo di questo saggio non è soltanto l'eccesso di pentimento, ma anche la tendenza a negare le nostre tradizioni liberali e repubblicane. Le élite europee non hanno più il coraggio di rivendicare la propria eredità politica e morale. In particolar modo di fronte alla pressione che viene dal mondo musulmano, le cui autorità richiamano regolarmente gli Occidentali all'autocritica, ma restano mute davanti alle violenze perpetrate in nome dell'Islam. Uno scambio autentico tra i due mondi non può esistere, ci ricorda Bruckner, senza una mutua capacità d'autocritica.
Il teatro e l'impegno politico e civile; il rapporto con Milano e quello con la religione; l'interesse per la tradizione popolare italiana e quello per le arti figurative: seguendo il ritmo pacato delle domande postegli dalla giornalista del "Corriere della Sera" Giuseppina Manin, il premio Nobel racconta se stesso, attraversando in molte direzioni la sua esperienza di attore e autore e offrendo a chi lo ascolta il senso di un percorso intellettuale, una sorta di bilancio ma anche una riflessione rivolta al futuro, piena di curiosità e di emozione, di intelligenza e anticonformismo.